Articolo 266 - CODICE PROCEDURA PENALE
Massime della Corte Costituzionale
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
Non è accolta l'eccezione di inammissibilità, per carenza di motivazione sulla rilevanza, delle questioni di legittimità costituzionale dell'art. 266 cod. proc. pen. e degli artt. 18 (nel testo anteriore alle modifiche introdotte dall'art. 3, commi 2 e 3, della legge n. 95 del 2004) e 18-ter dell'ordinamento penitenziario, nella parte in cui non consentono di intercettare il contenuto della corrispondenza postale in genere e, in particolare, di quella del detenuto. Pur omettendo di indicare specificamente i contenuti delle comunicazioni epistolari intercettate, l'ordinanza di rimessione descrive le fattispecie di causa in termini sufficienti a consentire il necessario controllo sull'applicabilità nel procedimento principale delle norme risultanti dalla richiesta pronuncia additiva, esponendo altresì le ragioni logiche e giuridiche per le quali, ai fini della decisione di merito, occorre procedere a una valutazione integrale delle predette comunicazioni, non consentita dalle norme censurate.
Correttamente la Corte di assise d'appello di Reggio Calabria - sollevando questione di legittimità costituzionale dell'art. 266 cod. proc. pen. e degli artt. 18 (nel testo anteriore alle modifiche introdotte dall'art. 3, commi 2 e 3, della legge n. 95 del 2004) e 18-ter dell'ordinamento penitenziario, nella parte in cui non consentono di intercettare il contenuto della corrispondenza postale in genere e, in particolare, di quella del detenuto - ha omesso di sperimentare una interpretazione conforme a Costituzione delle norme censurate. In presenza di una specifica regolamentazione delle intrusioni investigative sulla corrispondenza epistolare e vertendosi in materia presidiata da riserve di legge e di giurisdizione (art. 15 Cost.), non è consentita l'applicazione analogica della disciplina delle intercettazioni, di cui all'art. 266 cod. proc. pen., né l'applicazione di quella in materia di prove atipiche, di cui all'art. 189 dello stesso codice, sicché non è implausibile, bensì conforme ai principi costituzionali, concludere che, in base al vigente quadro normativo e al "diritto vivente", non possano essere utilizzate forme di captazione della corrispondenza postale diverse dal sequestro o, per i detenuti, dalla procedura mediante visto di controllo.
Sono dichiarate non fondate le questioni di legittimità costituzionale - sollevate dalla Corte di assise d'appello di Reggio Calabria, in riferimento all'art. 3 Cost. - dell'art. 266 cod. proc. pen. e degli artt. 18 (nel testo anteriore alle modifiche introdotte dall'art. 3, commi 2 e 3, della legge n. 95 del 2004) e 18-ter della legge n. 354 del 1975, nella parte in cui non consentono l'intercettazione della corrispondenza postale in genere e, in particolare, di quella del detenuto, impedendo così di captare il contenuto delle missive senza che il mittente e il destinatario ne vengano a conoscenza. Lungi dall'implicare una asimmetria ingiustificata e lesiva del principio di eguaglianza rispetto alla normativa applicabile alle altre forme di comunicazione (conversazioni e comunicazioni telefoniche, telematiche o informatiche, ovvero gestuali), delle quali è consentita l'intercettazione (ex artt. 266 e 266-bis cod. proc. pen.), la specifica disciplina dei mezzi di ricerca della prova applicabili alla corrispondenza postale in genere (attraverso il sequestro ex art. 254 cod. proc. pen.) e del detenuto in particolare (attraverso la procedura mediante visto di controllo prevista dall'ordinamento penitenziario) comporta un non irragionevole bilanciamento tra il diritto alla segretezza della corrispondenza e le esigenze di prevenzione e repressione dei reati. Il legislatore, infatti, avvalendosi della possibilità, di per sé non irragionevole, di prevedere differenti mezzi di ricerca della prova, tecnicamente confacenti alla diversa natura e grado di materializzazione del medium utilizzato per comunicare, ha individuato - per la corrispondenza epistolare - il sequestro (con conseguente acquisizione coattiva del supporto cartaceo e interruzione del flusso comunicativo) quale strumento idoneo a realizzare i contrapposti interessi costituzionali; e ha inoltre affiancato l'apposizione del visto di controllo agli altri strumenti limitativi della comunicazione previsti dall'art. 18-ter dell'ordinamento penitenziario, per realizzare nello specifico ambito della detenzione in carcere - di per sé limitativa della libertà di comunicare riservatamente - un bilanciamento tra le esigenze investigative e i diritti dei detenuti. Date le caratteristiche del mezzo comunicativo utilizzato e la particolare posizione del detenuto, deve escludersi la manifesta irragionevolezza o arbitrarietà di tali scelte, riconducibili all'adeguato margine di discrezionalità legislativa nella regolazione degli istituti processuali e dei mezzi di ricerca della prova. Ciò non vuol dire che lo stesso legislatore, nel rispetto delle riserve di legge e di giurisdizione previste dall'art. 15 Cost. e in osservanza dei canoni di ragionevolezza e di proporzionalità, non possa prevedere forme di captazione occulta dei contenuti che non interrompano il flusso comunicativo, come già accaduto per le comunicazioni telematiche e informatiche (artt. 11 e 12 della legge n. 547 del 1993); trattasi di delicate scelte discrezionali, non costituzionalmente necessitate che, come tali, rientrano a pieno titolo nelle competenze e nelle responsabilità del legislatore e non in quelle della Corte costituzionale, il cui compito precipuo è vigilare affinché il bilanciamento, fissato dalla legge, tra contrapposti diritti e interessi costituzionali risponda a principi di ragionevolezza e proporzionalità. ( Precedenti citati: sentenza n. 372 del 2006, sul bilanciamento tra il principio costituzionale della tutela della riservatezza delle comunicazioni telefoniche e l'interesse della collettività alla repressione dei reati ). Nella regolazione degli istituti processuali, e segnatamente dei mezzi di ricerca della prova, debbono essere preservati adeguati margini di discrezionalità legislativa, soggetti solo al controllo di manifesta irragionevolezza o arbitrarietà da parte della Corte costituzionale. ( Precedenti citati: sentenze n. 152 del 2016, n. 138 del 2012 e n. 141 del 2011 ). Per costante orientamento giurisprudenziale, la tutela costituzionale dei diritti fondamentali opera anche nei confronti di chi è stato sottoposto a legittime restrizioni della libertà personale, sia pure con le limitazioni imposte dalla particolare condizione in cui versa. Chi si trova in stato di detenzione, pur privato della maggior parte della sua libertà, ne conserva sempre un residuo, che è tanto più prezioso in quanto costituisce l'ultimo ambito nel quale può espandersi la sua personalità individuale. ( Precedenti citati: sentenze n. 26 del 1999, n. 212 del 1997 e n. 349 del 1993 ). Tra i diritti del detenuto, la possibilità di intrattenere rapporti con soggetti esterni riveste una particolare importanza affinché le modalità di esecuzione della pena siano rispettose dei principi costituzionali e, segnatamente, dell'art. 27 Cost.
È dichiarata non fondata la questione di legittimità costituzionale - sollevata dalla Corte di assise d'appello di Reggio Calabria, in riferimento all'art. 112 Cost. - dell'art. 266 cod. proc. pen. e degli artt. 18 (nel testo anteriore alle modifiche introdotte dall'art. 3, commi 2 e 3, della legge n. 95 del 2004) e 18-ter della legge n. 354 del 1975, nella parte in cui non consentono l'intercettazione della corrispondenza postale in genere e, in particolare, di quella del detenuto, impedendo così di captare il contenuto delle missive senza che il mittente e il destinatario ne vengano a conoscenza. A prescindere da ogni considerazione sull'affermazione del rimettente relativa alla completezza investigativa quale "precipitato naturale" del principio di obbligatorietà dell'azione penale previsto dall'art. 112 Cost., una volta ritenuta non costituzionalmente illegittima, per la corrispondenza epistolare, la restrizione della ricerca della prova a taluni mezzi (sequestro o, per i detenuti, procedura mediante visto di controllo), risultano altrettanto non illegittime le conseguenti limitazioni del materiale probatorio utilizzabile.
Nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 234 e 266 e seguenti cod. proc. pen., impugnati in riferimento agli artt. 2, 15, 24 e 117, primo comma, Cost., non può essere dichiarata l'inammissibilità della sollevata questione per mancato assolvimento dell'onere - da cui il rimettente è in linea di principio gravato - di individuare, all'interno di un determinato corpo normativo, la norma o la parte di essa che provocherebbe la lamentata lesione della Costituzione. Infatti, sebbene il giudice a quo coinvolga formalmente nello scrutinio, oltre all'art. 234 cod. proc. pen., l'intero complesso delle disposizioni regolative delle intercettazioni di conversazioni o comunicazioni (artt. 266-271), nondimeno, dal tenore delle censure emerge chiaramente come le doglianze si appuntino essenzialmente sull'art. 266, che definisce i limiti di ammissibilità delle intercettazioni, mentre il richiamo agli articoli successivi appare diretto solo ad evocare l'effetto (di sottoposizione alla disciplina da essi dettata) che conseguirebbe alla qualificazione delle registrazioni in esame come intercettazioni, anziché come documenti. Con riferimento all'onere gravante sul rimettente di individuare, all'interno di un determinato corpo normativo, la norma o la parte di essa che determinerebbe la lamentata lesione della Costituzione, v., ex plurimis , le citate ordinanze n. 21/2003, n. 337/2000 e n. 97/2000.
E' inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli artt. 234 e 266 e seguenti cod. proc. pen., impugnati, in riferimento agli artt. 2, 15, 24 e 117, primo comma, Cost., nella parte in cui - secondo l'interpretazione accolta dalla Corte di cassazione, qualificata come «diritto vivente» - includono tra i documenti, anziché tra le intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, sottraendole così alla disciplina stabilita per queste ultime o comunque non subordinandole ad un provvedimento motivato dell'autorità giudiziaria, le registrazioni di conversazioni (telefoniche o tra presenti) effettuate da uno degli interlocutori o dei soggetti ammessi ad assistervi, all'insaputa degli altri, d'intesa con la polizia giudiziaria ed eventualmente con strumenti da essa forniti, e comunque nell'ambito di un procedimento penale già avviato. La questione è stata sollevata sulla base di un erroneo presupposto interpretativo, in quanto l'asserita esistenza di un diritto vivente - secondo cui la registrazione occulta di una conversazione, effettuata da uno degli interlocutori o con il suo consenso, costituisce documento utilizzabile nel processo ai sensi dell'art. 234 cod. proc. pen., anche quando sia stata operata d'intesa con la polizia giudiziaria e con mezzi tecnici da essa forniti - risulta smentita sia da contrarie decisioni della Corte di legittimità, sia dai principi generali in materia processuale evocati dal rimettente. Un primo orientamento giurisprudenziale reputa applicabile alle registrazioni in questione la disciplina di garanzia in materia di intercettazioni almeno nel caso in cui vengano utilizzati apparecchi radiotrasmittenti mediante i quali terzi estranei siano posti in grado di ascoltare il colloquio in tempo reale, mentre un secondo indirizzo ritiene l'inutilizzabilità di tali registrazioni per surrettizio aggiramento delle regole sulle intercettazioni. L'adesione all'una o all'altra opzione ermeneutica avrebbe, rispettivamente, reso la questione meramente ipotetica (essendo incerto, nel caso di specie, se la persona offesa tenesse con sé l'apparecchio di registrazione, ovvero un microfono radiotrasmittente, tramite il quale la polizia giudiziaria ha captato e registrato la conversazione), ovvero determinato il radicale superamento degli ipotizzati dubbi di costituzionalità. Inoltre, lo stesso rimettente - nel rimarcare che, secondo la Corte di cassazione, le disposizioni del codice di rito sui documenti si riferiscono esclusivamente ai documenti formati fuori e comunque non in vista né tantomeno in funzione del procedimento nel quale si chiede o si dispone che facciano ingresso (in coerenza con il principio, tipico del processo accusatorio, di separazione tra la fase delle indagini e quella del dibattimento) - ha ammesso che la registrazione fonografica eseguita da uno degli interlocutori d'intesa con la polizia giudiziaria e con strumenti da essa forniti non costituisce più un «documento», ma la documentazione di un'attività di indagine. Detta affermazione vanifica la stessa premessa fondante della questione poiché, da un lato, contraddice il petitum , con il quale si chiede alla Corte di sottrarre le registrazioni in parola dal novero delle prove documentali, dall'altro, esige dal giudice a quo la precisazione delle ragioni per le quali non reputi praticabile nel caso di specie una soluzione analoga a quella già adottata dalla Corte di legittimità. In mancanza dell'asserito diritto vivente, il rimettente mira nella sostanza ad ottenere dalla Corte un avallo ad un'interpretazione della norma censurata diversa da quella ritenuta non condivisibile, così evidenziando un uso improprio dell'incidente di costituzionalità. Sulla (manifesta) inammissibilità di questioni sollevate sull'erroneo presupposto dell'esistenza di un diritto vivente, in realtà insussistente o non esattamente ricostruito, v., ex plurimis , le citate ordinanze n. 90/2009, n. 251/2006, n. 64/2006 e n. 452/2005.
E' inammissibile la questione di legittimità costituzionale (a prescindere da valutazioni sul merito rispetto a cui vale il dictum della sentenza n. 135 del 2002) dell'art. 266, comma 2, del codice di procedura penale, sollevata in riferimento agli artt. 13, primo e secondo comma, 14, primo e secondo comma, e 15 della Costituzione, nella parte in cui non estende la disciplina delle intercettazioni di comunicazioni tra presenti a qualsiasi ripresa visiva effettuata in luoghi di privata dimora, ancorché le immagini captate non abbiano ad oggetto comportamenti di tipo comunicativo. Infatti, il giudice rimettente, limitandosi ad opporre che il davanzale della finestra di un'abitazione è un punto certamente riconducibile alle nozioni di domicilio e di privata dimora, senza specificare né quali immagini siano state concretamente filmate, né come la ripresa sia avvenuta, ha omesso una compiuta descrizione della fattispecie concreta; e altresì ha fondato la questione su una premessa interpretativa - e precisamente quella secondo cui, in assenza di un espresso divieto o di una esplicita regolamentazione, da parte della legge ordinaria, delle riprese visive di comportamenti di tipo non comunicativo all'interno del domicilio, tale attività investigativa sarebbe esperibile anche ad iniziativa della polizia giudiziaria, con connessa utilizzabilità processuale dei relativi risultati - che non è l'unica astrattamente possibile, in tal modo omettendo preliminarmente di verificare la praticabilità della soluzione interpretativa opposta rispetto a quella posta a base dei dubbi di costituzionalità ipotizzati, e tale da determinare il possibile superamento di detti dubbi o da renderli comunque non rilevanti nei giudizi principali. - Sulle condizioni per l'estensione alle videoregistrazioni nei luoghi di privata dimora della disciplina delle intercettazioni ambientali, v., citate, sentenza n. 135/2002, sentenza n. 26795/2006 della Corte di cassazione. - Sul divieto di attività compiute in violazione di diritti fondamentali e relativa inutilizzabilità dei risultati in sede processuale, v., citate, sentenze n. 34/1973, n. 81/1993. - Sul sequestro di scritti per facilitare la difesa nel corso dell'interrogatorio v., citata, sentenza n. 229/1998. - Sull'inammissibilità di questioni sollevate dai giudici rimettenti senza la preventiva verifica della possibilità di una diversa interpretazione, v., citate, sentenza n. 192/2007, ordinanza n. 409/2007.
Manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell?art. 266, comma 2, del codice di procedura penale e dell?art. 13 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni, nella legge 12 luglio 1991, n. 203, sollevata in riferimento all?art. 14 della Costituzione. Infatti, il giudice rimettente non ha dato sufficiente motivazione in ordine alla rilevanza della questione sollevata; in particolare, non fornisce alcuna delibazione circa la fondatezza dell?eccezione di inutilizzabilità dei risultati delle intercettazioni di comunicazioni tra presenti, eseguite all?interno dell?abitazione di uno degli imputati, ritenuta come logicamente pregiudiziale rispetto alla proposizione dell?incidente di costituzionalità. - V. sentenza citata n. 304/2000.
E? infondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 189 e 266-271 del codice di procedura penale e segnatamente, dell?art. 266, comma 2, dello stesso codice, in riferimento agli artt. 3 e 14 Cost. tendente all?ottenimento di una pronuncia additiva che allinei la disciplina processuale delle riprese visive in luoghi di privata dimora a quella delle intercettazioni di comunicazioni tra presenti nei medesimi luoghi. Ed invero, il modello normativo evocato dal giudice 'a quo' come 'tertium comparationis' è inconferente, stante la sostanziale eterogeneità delle situazioni poste a confronto: la limitazione della libertà e segretezza delle comunicazioni, da un lato; l?invasione della sfera della libertà domiciliare in quanto tale, dall?altro. L?ipotesi della videoregistrazione che non abbia carattere di intercettazione di comunicazioni potrebbe essere disciplinata soltanto dal legislatore, nel rispetto delle garanzie costituzionali dell?art. 14 Cost.
E' manifestamente inammissibile - per omessa descrizione della fattispecie 'sub iudice' - la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 266, comma 2, cod. proc. pen., censurato, in riferimento all'art. 14 della Costituzione, nella parte in cui consente le intercettazioni di comunicazioni tra persone presenti all'interno di un domicilio. L.T.