Articolo 440 - CODICE PROCEDURA PENALE
Massime della Corte Costituzionale
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
E' manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 87, comma 3, cod. proc. pen., in relazione agli artt. 438 e 440 del medesimo codice, censurato in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 Cost., nella parte in cui dispone l'esclusione di ufficio del responsabile civile quando il giudice accoglie la richiesta di giudizio abbreviato. Infatti, il giudice a quo , avendo dichiarato, dopo l'adozione del rito abbreviato, l'inammissibilità della richiesta di citazione del responsabile civile, ha già consumato il proprio potere decisorio facendo definitiva applicazione della norma censurata, con la conseguenza di rendere ininfluente, sotto il profilo della rilevanza, un'eventuale pronuncia di incostituzionalità della norma stessa.
E' manifestamente infondata, con riferimento agli artt. 3, 24 comma secondo, 25, comma primo, e 101, comma secondo, Cost., la questione di legittimita' costituzionale degli artt. 438, 439, 440 e 442 cod. proc. pen., nella parte in cui non prevedono che il giudice dell'udienza preliminare possa sindacare il dissenso formulato dal p.m. sulla richiesta dell'imputato di trattazione del processo con il giudizio abbreviato, in quanto -posto che questa Corte, nello stabilire l'obbligo di enunciazione delle ragioni del dissenso del p.m., ha individuato nel dibattimento la sede del controllo giudiziale sul dissenso medesimo - la prospettazione proposta e' incompatibile con la configurazione del giudizio abbreviato, la richiesta del giudice "a quo" comportando una nuova complessiva disciplina del rito speciale; ed in quanto, comunque, l'innovazione richiesta alla Corte si scontrerebbe con l'esigenza che al giudice dell'udienza preliminare non spetti "l'ultima parola, in modo preclusivo, sulla decidibilita' allo stato degli atti". - S. nn. 81/1991, 23/1992; O. n. 33/1998. red.: S. Di Palma
Manifesta infondatezza della questione, in quanto, a prescindere dalla palese erroneita' del parametro invocato - venendo qui in discorso l'art. 107, ultimo comma, della Costituzione e non, come dedotto dal rimettente, l'art. 108 - il caso di specie posto a fondamento della questione non presenta alcuna interferenza con le garanzie di indipendenza che il codice di rito e le norme sull'ordinamento giudiziario assicurano al pubblico ministero, giacche' la sostituzione del magistrato che esercita quelle funzioni e' in se' una eventualita' che in nessun caso puo' incidere sulla validita' e l'efficacia degli atti processuali gia' compiuti o valere quale atipica legittimazione ad una sorta di restituzione nel termine per l'esercizio di facolta' precluse o per riesaminare unilateralmente scelte che hanno ormai prodotto i loro effetti. Infatti, la garanzia dell'autonomia, essendo per definizione correlata all'esercizio concreto delle relative funzioni, puo' trovare risalto solo nel presente e con riferimento a quelle attivita' processuali ancora da compiere. - Cfr. S. n. 484/1995, nella quale la Corte ha affermato il principio della revocabilita' della ordinanza di ammissibilita' del rito da parte del giudice diverso <
E' costituzionalmente illegittimo, per violazione dei principi costituzionali del "giusto processo" e, quindi, dell'esigenza di imparzialita' del giudice, l'art. 34, comma 2, cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede che non possa partecipare al giudizio abbreviato e disporre l'applicazione della pena su richiesta delle parti il giudice delle indagini preliminari che abbia disposto una misura cautelare personale, in quanto - posto che l'imparzialita' della funzione giudicante deve ritenersi pregiudicata dalla precedente assunzione di decisioni, in altra fase del procedimento, in ordine a misure cautelari personali nei confronti dell'indagato o dell'imputato - siffatta ragione vale vieppiu' nel giudizio abbreviato, ove viene normalmente a mancare l'istruttoria dibattimentale e quindi la possibilita' della formazione 'ex novo' in tale sede del quadro probatorio (sicche' e' facilmente ipotizzabile che le prove a base del giudizio siano gli stessi indizi sulla cui base e' stata adottata la cautela); e vale anche nel procedimento di applicazione della pena su richiesta delle parti, ove il giudice e' chiamato a svolgere valutazioni, fondate direttamente sulle risultanze in atti, aventi natura di giudizio non di mera legittimita' ma anche di merito in ordine sia alla prospettazione del caso contenuta nella richiesta di parte, sia nella responsabilita' dell'imputato, sia alla pena. - S. nn. 313/1990, 496/1990; 251/1991, 401/1991, 502/1991; 124/1992, 261/1992; 439/1993; 432/1995, 484/1995, 131/1996; O. n. 180/1992. red.: S. Di Palma
Il risultato perseguito dal giudice 'a quo' col sollevare questione di legittimita' costituzionale, in riferimento al principio di eguaglianza e al diritto di difesa, nei confronti degli artt. 438, 439, 440, 442, 560, 561 e 562 cod. proc. pen., in quanto non consentirebbero, nel procedimento innanzi al pretore, ne' di applicare la riduzione di pena all'esito del dibattimento -qualora il giudice ritenga che il processo poteva essere definito allo stato degli atti dal giudice per le indagini preliminari sulla richiesta dell'imputato e con il consenso del pubblico ministero- ne' di annullare il provvedimento che dispone il giudizio, deve ritenersi gia' assicurato dalla dichiarazione di illegittimita' costituzionale, con sent. n. 23 del 1992, della mancata previsione di tali poteri del giudice nel combinato disposto dei primi quattro dei su indicati articoli. Contrariamente a quanto si sostiene nella ordinanza di rimessione, infatti, ne' il fatto che la richiamata sentenza sia stata pronunciata in relazione ad un giudizio pendente in corte di Assise, ne' la mancata inclusione tra le norme con essa dichiarate costituzionalmente illegittime in via conseguenziale dell'ora impugnato art. 562, valgono ad impedire l'applicazione della stessa nel caso di specie. Le norme del codice che regolano il giudizio abbreviato hanno una portata generale e sono presupposte anche nell'ambito del giudizio dinanzi al pretore, la cui disciplina fa ad esse integrale rinvio, e pertanto va riconosciuto che le statuizioni della sentenza n. 23 del 1922 concernono il giudizio abbreviato qualunque sia l'organo giudiziario dinanzi al quale detto rito speciale e' esperibile. (Manifesta inammissibilita' della questione di legittimita' costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., degli artt. 438, 439, 440, 442, 560, 561 e 562 cod. proc. pen.). - Cfr., oltre S. n. 23/1992, S. n. 81/1991. red.: E.M. rev.: S.P.
Come la Corte costituzionale, nella sua giurisprudenza, ha chiarito, il codice di procedura penale circoscrive i poteri del giudice dell'udienza preliminare in ordine alla richiesta di giudizio abbreviato solo agli aspetti formali, precisando in particolare che e' suo compito soltanto di verificare la decidibilita' allo stato degli atti e la sussistenza dei presupposti, vale a dire che non si tratti di reato punibile in astratto con l'ergastolo e che vi sia la richiesta dell'imputato e il consenso del pubblico ministero. Tuttavia, essendosi individuata nel dibattimento la sede processuale del controllo di ogni altra determinazione che comporti valutazioni di merito, come appunto la diversa valutazione del fatto contestato, la delimitazione dei poteri del G.I.P. non preclude all'imputato di recuperare, in prosieguo, il beneficio della riduzione di pena connessa al giudizio abbreviato. La valutazione definitiva in ordine ad essa spetta infatti al giudice del dibattimento, e cio' comporta ovviamente anche il potere di controllo su tutti i presupposti che condizionano tale beneficio tra cui quello della punibilita' o meno del fatto con la pena dell'ergastolo.
Non e' in contrasto con il diritto di difesa e con il principio di eguaglianza la disciplina secondo la quale al giudice dell'udienza preliminare non e' consentito di dare al fatto contestato come reato punibile in astratto con l'ergastolo (nella specie: omicidio aggravato) - che impedisce di dar corso in quella sede al giudizio abbreviato richiesto dall'imputato e quindi al beneficio della riduzione della pena - una diversa qualificazione, neppure quando l'assunto del pubblico ministero gli appaia manifestamente infondato: il previsto recupero dibattimentale della richiesta di giudizio abbreviato ne salva gli effetti sostanziali. Ne' dal punto di vista della legittimita' costituzionale rileva l'impossibilita' per l'imputato - che da tale preclusione anche discende - di avvalersi di alcune strategie processuali e di avvantaggiarsi di alcune limitazioni quanto alla facolta' di appello da parte del pubblico ministero. La possibilita' di esaurire il giudizio nell'udienza preliminare senza affrontare l'udienza pubblica, pur costituendo uno dei motivi su cui fa leva il legislatore, ai fini di deflazione dei dibattimenti, per indurre l'imputato alla richiesta del rito alternativo, non puo' infatti ritenersi connaturata al diritto di difesa, mentre sul piano endoprocessuale, nel quale tale possibilita' esaurisce i suoi effetti, essa puo' essere configurata come pretesa invocabile in quanto prevista per la generalita' degli imputati solo se ricorrano i presupposti cui, in base alla disciplina concreta, il suo accoglimento e' subordinato e, fra questi, la contestazione di un fatto-reato non punibile in astratto con l'ergastolo. (Non fondatezza, in riferimento all'art. 24, secondo comma, e - sotto l'anzidetto profilo - all'art. 3 Cost., della questione di legittimita' costituzionale degli artt. 438, 439 e 440 cod. proc. pen., 'in parte qua'). - V. massima precedente.
Lo spostamento della competenza a decidere sulla richiesta di giudizio abbreviato, dal G.I.P. al giudice del dibattimento, che si determina in caso di contestazione di reato punibile in astratto con l'ergastolo (nella specie: omicidio aggravato) per essere tale contestazione - che il giudizio abbreviato in definitiva preclude solo se risulti fondata - sindacabile solo dal secondo e non anche dal primo, avviene - anche se in conseguenza di un atto del P.M. - in base a precise norme di legge. E' pertanto da escludere, alla luce della giurisprudenza della Corte sulla loro effettiva portata, che i principi del giudice naturale precostituito per legge e della soggezione dei giudici soltanto alla legge possano riconoscersi violati. L'esigenza costituzionale, infatti, anche se e' proprio di ogni disciplina processuale subordinare la condotta del giudice all'impulso delle parti ed alle posizioni da esse assunte in concreto, puo' dirsi assolta con la previsione del controllo da parte del giudice circa la rispondenza di tali posizioni al dettato normativo. (Non fondatezza, in riferimento agli artt. 25, primo comma, e 101, secondo comma, Cost., della questione di legittimita' costituzionale degli artt. 438, 439 e 440 cod. proc. pen., 'in parte qua'). - V. massima precedente, nonche', nel senso che la sede dibattimentale offre garanzie non inferiori a quelle dell'udienza preliminare, sent. n. 64/1991, e da ultimo, in tema di giudizio del non imputabile per vizio di mente, sent. n. 41/1993.
Manifesta inammissibilita' della questione per essere stato gia' escluso dalla Corte, che al G.I.P. "possa spettare [.....] l'ultima parola, in modo preclusivo, sulla decidibilita' allo stato degli atti", sicche' le censure mosse dal giudice 'a quo' circa l'insindacabilita' del rigetto della richiesta di rito abbreviato risultano superate dal potere di controllo riconosciuto al giudice del dibattimento - S. n. 23/1992.
La legge, in vista di particolari esigenze, puo' porre limitazioni agli strumenti probatori utilizzabili nel processo: ma una volta che ammetta l'ingresso di un determinato mezzo (nella specie: interrogatorio dell'imputato nel giudizio abbreviato) non puo' poi, senza violare i principi relativi all'esercizio della funzione giurisdizionale stabiliti dagli artt. 101, secondo comma, 102, primo comma, e 111, primo comma, Cost., e ridurre il diritto di difesa a mera enunciazione, prescrivere al giudice di non considerare gli elementi di giudizio che da esso scaturiscono ai fini della formazione del proprio convincimento. Parimenti, se la legge sostanziale considera una certa circostanza, come il risarcimento del danno avvenuto prima del giudizio, come rilevante per connotare il "fatto" ai fini della commisurazione della sanzione, una norma processuale che stabilisce l'irrilevanza di tale circostanza precludendone la deduzione, comporta che la responsabilita' penale puo' essere affermata per un fatto che e', sia pure solo parzialmente, diverso da quello "proprio", con conseguente violazione del principio della personalita' di tale responsabilita' (art. 27 Cost.). Tuttavia per porre rimedio a siffatti vizi la soluzione - indicata da tutti i giudici 'a quibus' - di una pronuncia "correttiva" della Corte che consenta di revocare l'ordinanza ammissiva del giudizio abbreviato, non appare praticabile sia per la possibile perdita, per l'imputato, dei benefici connessi al giudizio abbreviato e le censure di incostituzionalita' (ved. massima C), che potrebbero nascerne, sia perche' tale soluzione non e' l'unica possibile, in alternativa ad essa ben potendo ipotizzarsi quella - indicata anch'essa in una delle ordinanze di rimessione e gia' prevista del resto nel testo originario della legge delega e considerata altresi', rispetto ad altre questioni sul nucleo essenziale dell'attuale disciplina del giudizio abbreviato, in recenti pronunce della Corte - di una integrazione probatoria dello stesso giudizio abbreviato. Onde la necessita' di un intervento del legislatore. (Inammissibilita' della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 440, cod.proc.pen., nella parte in cui non prevede la revocabilita' dell'ordinanza ammissiva del giudizio abbreviato in caso di modifica dello stato degli atti conseguente all'interrogatorio dell'imputato, sollevata in riferimento agli artt. 25, primo comma, 101, secondo comma, 102, primo comma, e 111, primo comma, Cost., e della questione di legittimita' costituzionale degli artt. 441, 442, primo comma e 458, secondo comma, cod.proc.pen. nella parte in cui, in caso di prospettazione di fatti nuovi o nuove fonti di prova, non consentono la revoca del provvedimento ammissivo del giudizio abbreviato, prospettata in riferimento agli artt. 3, 13 e 27 Cost.) - Cfr. S. nn. 92/1992 e 470/1991.