Articolo 561 - CODICE PROCEDURA PENALE
Massime della Corte Costituzionale
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
Manifesta inammissibilita' della questione, in quanto l'intervento richiesto dal giudice 'a quo' rientra nella esclusiva sfera della discrezionalita' legislativa. red.: G. Leo
Come gia' affermato dalla Corte, le norme che regolano il giudizio abbreviato dinanzi al tribunale hanno portata generale e sono presupposte anche nell'ambito del giudizio dinanzi al pretore, la cui disciplina fa ad esse integrale rinvio, quanto alla struttura e agli effetti sostanziali dell'istituto, limitandosi a regolare taluni moduli procedimentali imposti dalle peculiarita' del rito pretorile; di conseguenza e' ad esse che si deve far capo in via generale quando manchi una espressa previsione contraria o quando quella disciplina generale non risulti incompatibile con le caratteristiche proprie della disciplina processuale pretorile. Alla luce di tali premesse, poiche' nel giudizio abbreviato, come regolato dalla disciplina generale, risultante anche dal richiamo delle disposizioni relative all'udienza preliminare (art. 420 cod. proc. pen.), non prevista per il processo dinanzi al pretore, e' possibile per le parti la produzione di documenti da valutarsi nell'udienza stessa, tale facolta' difensiva, secondo una previsione (art. 421 cod. proc. pen.) che, pur non essendo espressamente richiamata, assume un rilievo autonomo ed indipendente dalla collocazione originaria, coerente con la connotazione del giudizio abbreviato quale giudizio sul merito dell'imputazione, non trova nessuna ragione di incompatibilita' con le peculiarita' proprie del giudizio pretorile e - secondo una interpretazione adeguatrice, diversa da quella da cui muove il giudice 'a quo' - deve percio' ritenersi esercitabile anche in questo. (Non fondatezza, nei sensi di cui in motivazione, della questione di legittimita' costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., dell'art. 561, primo e secondo comma, cod. proc. pen.) - O. n. 101/1994. red.: F.S. rev.: S.P.
Il risultato perseguito dal giudice 'a quo' col sollevare questione di legittimita' costituzionale, in riferimento al principio di eguaglianza e al diritto di difesa, nei confronti degli artt. 438, 439, 440, 442, 560, 561 e 562 cod. proc. pen., in quanto non consentirebbero, nel procedimento innanzi al pretore, ne' di applicare la riduzione di pena all'esito del dibattimento -qualora il giudice ritenga che il processo poteva essere definito allo stato degli atti dal giudice per le indagini preliminari sulla richiesta dell'imputato e con il consenso del pubblico ministero- ne' di annullare il provvedimento che dispone il giudizio, deve ritenersi gia' assicurato dalla dichiarazione di illegittimita' costituzionale, con sent. n. 23 del 1992, della mancata previsione di tali poteri del giudice nel combinato disposto dei primi quattro dei su indicati articoli. Contrariamente a quanto si sostiene nella ordinanza di rimessione, infatti, ne' il fatto che la richiamata sentenza sia stata pronunciata in relazione ad un giudizio pendente in corte di Assise, ne' la mancata inclusione tra le norme con essa dichiarate costituzionalmente illegittime in via conseguenziale dell'ora impugnato art. 562, valgono ad impedire l'applicazione della stessa nel caso di specie. Le norme del codice che regolano il giudizio abbreviato hanno una portata generale e sono presupposte anche nell'ambito del giudizio dinanzi al pretore, la cui disciplina fa ad esse integrale rinvio, e pertanto va riconosciuto che le statuizioni della sentenza n. 23 del 1922 concernono il giudizio abbreviato qualunque sia l'organo giudiziario dinanzi al quale detto rito speciale e' esperibile. (Manifesta inammissibilita' della questione di legittimita' costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., degli artt. 438, 439, 440, 442, 560, 561 e 562 cod. proc. pen.). - Cfr., oltre S. n. 23/1992, S. n. 81/1991. red.: E.M. rev.: S.P.
Va respinto l'assunto che la riduzione della pena, prevista come necessaria conseguenza dell'adozione del rito abbreviato, non essendo in rapporto alla natura del reato, ne' alla personalita' del soggetto, renderebbe possibile una ingiustificata disparita' di trattamento fra imputati del medesimo reato, in contrasto con il principio di eguaglianza. La riduzione della pena in conseguenza dell'adozione del rito abbreviato presuppone infatti la richiesta dell'imputato che, a sua volta, comporta la rinuncia alle maggiori possibilita' di verifica dei fatti offerta dal dibattimento, nonche' una limitazione del potere di proporre appello contro la sentenza pronunciata a conclusione del giudizio. Che poi si tratti di un'attivita' dell'imputato in sede processuale non attinente alla commissione del reato, e' questione che nulla ha a vedere con il principio di uguaglianza, e del resto gia' l'art. 133 cod. pen. prevede, ai fini della determinazione della pena, che venga presa in considerazione la condotta dell'imputato contemporanea o susseguente al reato. Nemmeno puo' essere in contrasto con detto principio il fatto che alla richiesta dell'imputato perche' il giudizio abbreviato abbia corso, corrisponda il consenso del pubblico ministero. (Non fondatezza della questione di legittimita' costituzionale degli artt. 442, comma secondo, e 561, comma terzo, cod. proc. pen. 1988, in riferimento all'art. 3 Cost.).