Articolo 439 - CODICE PROCEDURA PENALE
Massime della Corte Costituzionale
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
E' manifestamente infondata, con riferimento agli artt. 3, 24 comma secondo, 25, comma primo, e 101, comma secondo, Cost., la questione di legittimita' costituzionale degli artt. 438, 439, 440 e 442 cod. proc. pen., nella parte in cui non prevedono che il giudice dell'udienza preliminare possa sindacare il dissenso formulato dal p.m. sulla richiesta dell'imputato di trattazione del processo con il giudizio abbreviato, in quanto -posto che questa Corte, nello stabilire l'obbligo di enunciazione delle ragioni del dissenso del p.m., ha individuato nel dibattimento la sede del controllo giudiziale sul dissenso medesimo - la prospettazione proposta e' incompatibile con la configurazione del giudizio abbreviato, la richiesta del giudice "a quo" comportando una nuova complessiva disciplina del rito speciale; ed in quanto, comunque, l'innovazione richiesta alla Corte si scontrerebbe con l'esigenza che al giudice dell'udienza preliminare non spetti "l'ultima parola, in modo preclusivo, sulla decidibilita' allo stato degli atti". - S. nn. 81/1991, 23/1992; O. n. 33/1998. red.: S. Di Palma
Manifesta infondatezza della questione, in quanto, a prescindere dalla palese erroneita' del parametro invocato - venendo qui in discorso l'art. 107, ultimo comma, della Costituzione e non, come dedotto dal rimettente, l'art. 108 - il caso di specie posto a fondamento della questione non presenta alcuna interferenza con le garanzie di indipendenza che il codice di rito e le norme sull'ordinamento giudiziario assicurano al pubblico ministero, giacche' la sostituzione del magistrato che esercita quelle funzioni e' in se' una eventualita' che in nessun caso puo' incidere sulla validita' e l'efficacia degli atti processuali gia' compiuti o valere quale atipica legittimazione ad una sorta di restituzione nel termine per l'esercizio di facolta' precluse o per riesaminare unilateralmente scelte che hanno ormai prodotto i loro effetti. Infatti, la garanzia dell'autonomia, essendo per definizione correlata all'esercizio concreto delle relative funzioni, puo' trovare risalto solo nel presente e con riferimento a quelle attivita' processuali ancora da compiere. - Cfr. S. n. 484/1995, nella quale la Corte ha affermato il principio della revocabilita' della ordinanza di ammissibilita' del rito da parte del giudice diverso <
Il risultato perseguito dal giudice 'a quo' col sollevare questione di legittimita' costituzionale, in riferimento al principio di eguaglianza e al diritto di difesa, nei confronti degli artt. 438, 439, 440, 442, 560, 561 e 562 cod. proc. pen., in quanto non consentirebbero, nel procedimento innanzi al pretore, ne' di applicare la riduzione di pena all'esito del dibattimento -qualora il giudice ritenga che il processo poteva essere definito allo stato degli atti dal giudice per le indagini preliminari sulla richiesta dell'imputato e con il consenso del pubblico ministero- ne' di annullare il provvedimento che dispone il giudizio, deve ritenersi gia' assicurato dalla dichiarazione di illegittimita' costituzionale, con sent. n. 23 del 1992, della mancata previsione di tali poteri del giudice nel combinato disposto dei primi quattro dei su indicati articoli. Contrariamente a quanto si sostiene nella ordinanza di rimessione, infatti, ne' il fatto che la richiamata sentenza sia stata pronunciata in relazione ad un giudizio pendente in corte di Assise, ne' la mancata inclusione tra le norme con essa dichiarate costituzionalmente illegittime in via conseguenziale dell'ora impugnato art. 562, valgono ad impedire l'applicazione della stessa nel caso di specie. Le norme del codice che regolano il giudizio abbreviato hanno una portata generale e sono presupposte anche nell'ambito del giudizio dinanzi al pretore, la cui disciplina fa ad esse integrale rinvio, e pertanto va riconosciuto che le statuizioni della sentenza n. 23 del 1922 concernono il giudizio abbreviato qualunque sia l'organo giudiziario dinanzi al quale detto rito speciale e' esperibile. (Manifesta inammissibilita' della questione di legittimita' costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., degli artt. 438, 439, 440, 442, 560, 561 e 562 cod. proc. pen.). - Cfr., oltre S. n. 23/1992, S. n. 81/1991. red.: E.M. rev.: S.P.
Come la Corte costituzionale, nella sua giurisprudenza, ha chiarito, il codice di procedura penale circoscrive i poteri del giudice dell'udienza preliminare in ordine alla richiesta di giudizio abbreviato solo agli aspetti formali, precisando in particolare che e' suo compito soltanto di verificare la decidibilita' allo stato degli atti e la sussistenza dei presupposti, vale a dire che non si tratti di reato punibile in astratto con l'ergastolo e che vi sia la richiesta dell'imputato e il consenso del pubblico ministero. Tuttavia, essendosi individuata nel dibattimento la sede processuale del controllo di ogni altra determinazione che comporti valutazioni di merito, come appunto la diversa valutazione del fatto contestato, la delimitazione dei poteri del G.I.P. non preclude all'imputato di recuperare, in prosieguo, il beneficio della riduzione di pena connessa al giudizio abbreviato. La valutazione definitiva in ordine ad essa spetta infatti al giudice del dibattimento, e cio' comporta ovviamente anche il potere di controllo su tutti i presupposti che condizionano tale beneficio tra cui quello della punibilita' o meno del fatto con la pena dell'ergastolo.
Non e' in contrasto con il diritto di difesa e con il principio di eguaglianza la disciplina secondo la quale al giudice dell'udienza preliminare non e' consentito di dare al fatto contestato come reato punibile in astratto con l'ergastolo (nella specie: omicidio aggravato) - che impedisce di dar corso in quella sede al giudizio abbreviato richiesto dall'imputato e quindi al beneficio della riduzione della pena - una diversa qualificazione, neppure quando l'assunto del pubblico ministero gli appaia manifestamente infondato: il previsto recupero dibattimentale della richiesta di giudizio abbreviato ne salva gli effetti sostanziali. Ne' dal punto di vista della legittimita' costituzionale rileva l'impossibilita' per l'imputato - che da tale preclusione anche discende - di avvalersi di alcune strategie processuali e di avvantaggiarsi di alcune limitazioni quanto alla facolta' di appello da parte del pubblico ministero. La possibilita' di esaurire il giudizio nell'udienza preliminare senza affrontare l'udienza pubblica, pur costituendo uno dei motivi su cui fa leva il legislatore, ai fini di deflazione dei dibattimenti, per indurre l'imputato alla richiesta del rito alternativo, non puo' infatti ritenersi connaturata al diritto di difesa, mentre sul piano endoprocessuale, nel quale tale possibilita' esaurisce i suoi effetti, essa puo' essere configurata come pretesa invocabile in quanto prevista per la generalita' degli imputati solo se ricorrano i presupposti cui, in base alla disciplina concreta, il suo accoglimento e' subordinato e, fra questi, la contestazione di un fatto-reato non punibile in astratto con l'ergastolo. (Non fondatezza, in riferimento all'art. 24, secondo comma, e - sotto l'anzidetto profilo - all'art. 3 Cost., della questione di legittimita' costituzionale degli artt. 438, 439 e 440 cod. proc. pen., 'in parte qua'). - V. massima precedente.
Lo spostamento della competenza a decidere sulla richiesta di giudizio abbreviato, dal G.I.P. al giudice del dibattimento, che si determina in caso di contestazione di reato punibile in astratto con l'ergastolo (nella specie: omicidio aggravato) per essere tale contestazione - che il giudizio abbreviato in definitiva preclude solo se risulti fondata - sindacabile solo dal secondo e non anche dal primo, avviene - anche se in conseguenza di un atto del P.M. - in base a precise norme di legge. E' pertanto da escludere, alla luce della giurisprudenza della Corte sulla loro effettiva portata, che i principi del giudice naturale precostituito per legge e della soggezione dei giudici soltanto alla legge possano riconoscersi violati. L'esigenza costituzionale, infatti, anche se e' proprio di ogni disciplina processuale subordinare la condotta del giudice all'impulso delle parti ed alle posizioni da esse assunte in concreto, puo' dirsi assolta con la previsione del controllo da parte del giudice circa la rispondenza di tali posizioni al dettato normativo. (Non fondatezza, in riferimento agli artt. 25, primo comma, e 101, secondo comma, Cost., della questione di legittimita' costituzionale degli artt. 438, 439 e 440 cod. proc. pen., 'in parte qua'). - V. massima precedente, nonche', nel senso che la sede dibattimentale offre garanzie non inferiori a quelle dell'udienza preliminare, sent. n. 64/1991, e da ultimo, in tema di giudizio del non imputabile per vizio di mente, sent. n. 41/1993.
La scelta operata dalla legge delega concernente l'inapplicabilita' del giudizio abbreviato ai reati punibili con la pena dell'ergastolo, non e' in se' irragionevole, ne' l'esclusione di alcune categorie di reati, come attualmente quelli punibili con l'ergastolo, in ragione della maggiore gravita' di essi, determina una ingiustificata disparita' di trattamento rispetto agli altri reati, trattandosi di situazioni non omogenee; ne', infine, e' irragionevole che la riduzione di pena, collegata al rito abbreviato, sia esclusa per quei reati per i quali tale riduzione non sia calcolabile. (Manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2, dir. 53, della legge 16 febbraio 1987, n. 81, e degli artt. 438, 439, 440 e 442 del codice di procedura penale in relazione all'art. 3 Cost.). - V., in merito alla possibilita' di riduzione di pena, le sent. nn. 277/1990, 176/1991 e 92/1992.
Il ritenere che l'ammissibilita' o meno del rito abbreviato e la conseguente riduzione di pena dipendono dall'applicabilita' in "astratto", e non in "concreto", dalla pena dell'ergastolo - e, quindi, dalla configurazione del reato fornita dal pubblico ministero all'atto della formulazione dell'imputazione, si basa sull'erroneo presupposto che al G.I.P. sia dato, in sede di verifica dell'ammissibilita' di tale rito, un potere di apprezzamento dei fatti materiali dai quali puo' emergere una diversa qualificazione giuridica della fattispecie criminosa, mentre lo stesso puo' solo verificare che ne sussistano i presupposti, vale a dire che non si tratti di reato punibile in astratto con l'ergastolo, che vi sia la richiesta dell'imputato, il consenso del pubblico ministero e la decidibilita' allo stato degli atti. La valutazione definitiva, in ordine all'applicabilita' di detto rito, spetta invece al giudice del dibattimento, il che comporta anche il potere di controllo su tutti i presupposti che condizionano il beneficio della riduzione della pena. Conseguentemente sono da escludersi le violazioni degli artt. 3, 24, 25 e 101 Cost., in quanto il beneficio della riduzione di pena non dipende dalla valutazione del pubblico ministero, come sostenuto dai giudici remittenti, bensi' dalla successiva verifica del giudice del dibattimento. (Manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2, direttiva 53, della legge 16 febbraio 1987, n. 81, e degli artt. 438, 439, 440 e 442 del codice di procedura penale, sollevata, in relazione agli artt. 3, 34, 25 primo comma, e 101 della Costituzione.) - V., in materia di valutazione definitiva sull'ammissibilita' del rito abbreviato, le sent. nn. 81/1991 e 23/1992.
Come la Corte ha in piu' occasioni affermato, e va ribadito, l'introduzione di un rito che, come il rito abbreviato, ha automatici effetti sulla determinazione della pena, non puo' farsi dipendere da scelte discrezionali del pubblico ministero ed e' quindi in contrasto con tale principio che la impossibilita' di decidere allo stato degli atti, addotta dal pubblico ministero per motivare il proprio dissenso all'introduzione del rito abbreviato richiesta dall'imputato, derivi - come la normativa vigente consente - dalla scelta dello stesso di rinviare al dibattimento l'esperimento di mezzi o l'acquisizione di prove suscettibili di essere effettuate nelle indagini preliminari, e che in conseguenza di tali lacune il giudizio abbreviato resti precluso. Pertanto, dato che, rispetto a tali scelte, non e' possibile un sindacato del giudice del dibattimento e l'insufficienza dell'investigazione del pubblico ministero - contro quanto sostenuto dal giudice 'a quo' - non e' colmabile attraverso il potere di integrazione attribuito al G.I.P. dall'art. 422 cod. proc. pen., per ricondurre l'istituto a piena sintonia con i principi costituzionali e' necessario che il vincolo derivante dalle scelte del pubblico ministero sia reso superabile con l'introduzione di un meccanismo di integrazione probatoria. Il che pero', per la diversita' delle soluzioni possibili e le valutazioni discrezionali che essa comporta, non puo' avvenire per effetto di una sentenza additiva della Corte costituzionale, ma esige un intervento - del quale peraltro va segnalata l'urgenza - del legislatore. (Inammissibilita' della questione di legittimita' costituzionale del combinato disposto degli artt. 438, 439 e 440 cod. proc. pen., sollevata in riferimento agli artt. 3 e 25 Cost.). - S. nn. 277/1990, 81/1991, 88/1991, 176/1991.
Questione concernente norme gia' dichiarate costituzionalmente illegittime in parte qua. - v. S. n. 81/1991.