Articolo 310 - CODICE PROCEDURA PENALE
Massime della Corte Costituzionale
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
Manifesta infondatezza della questione, in quanto il parametro costituzionale dell'art. 97, primo comma, Cost., evocato dal giudice rimettente, non e' pertinente alla fattispecie. Invero, l'organizzazione dei pubblici uffici deve assicurare il buon andamento della pubblica amministrazione, secondo una regola che puo' riferirsi anche agli organi dell'amministrazione della giustizia per quanto attiene all'ordinamento degli uffici giudiziari ed al loro funzionamento, ma non riguarda l'esercizio della funzione giurisdizionale ne' le regole processuali che disciplinano la ripartizione delle competenze tra diversi giudici. - Cfr. S. nn. 122/1997; 84/1996; nonche' O. nn. 103/1997; 7/1997; 275/1996; 147/1996; 99/1996; 257/1995, 'ex plurimis'. red.: G. Leo
Manifesta inammissibilita' delle questioni, in quanto gli artt. 309 e 310 cod. proc. pen., sono stati gia' dichiarati costituzionalmente illegittimi nella parte denunziata dal giudice rimettente, mentre il richiamo all'art. 311 stesso codice non presenta autonomia alcuna rispetto alle restanti censure. - S. n. 71/1996. red.: A. M. Marini
E' costituzionalmente illegittimo, in via conseguenziale ex art. 27 l. n. 87 del 1953, l'art. 34, comma 2, cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede che non possa disporre l'applicazione della pena su richiesta delle parti il giudice che, come componente del tribunale del riesame, si sia pronunciato sull'ordinanza che dispone una misura cautelare personale nei confronti dell'indagato o dell'imputato, nonche' il giudice che, come componente del tribunale dell'appello avverso l'ordinanza che provvede in ordine a una misura cautelare personale nei confronti dell'indagato o dell'imputato, si sia pronunciato su aspetti non esclusivamente formali dell'ordinanza anzidetta. - S. n. 131/1996. red.: S. Di Palma
E' costituzionalmente illegittimo, per violazione dei principi costituzionali del "giusto processo" e, quindi, dell'esigenza di imparzialita' del giudice, l'art. 34, comma 2, cod. proc. pen. - nella parte in cui non prevede: a) - l'incompatibilita' alla funzione di giudizio del giudice che, come componente del tribunale del riesame (art. 309 cod. proc. pen.), si sia pronunciato sull'ordinanza che dispone una misura cautelare personale nei confronti dell'indagato o dell'imputato; b) - l'incompatibilita' alla funzione di giudizio del giudice che, come componente del tribunale dell'appello avverso l'ordinanza che provvede in ordine a una misura cautelare personale nei confronti dell'indagato o dell'imputato (art. 310 cod. proc. pen.) si sia pronunciato su aspetti non esclusivamente formali dell'ordinanza anzidetta - in quanto - posto che le incompatibilita' dei giudici determinate da ragioni interne allo svolgimento del processo sono finalizzate ad evitare che condizionamenti, o apparenze di condizionamenti, derivanti da precedenti valutazioni cui il giudice sia stato chiamato nell'ambito del medesimo procedimento, possano pregiudicare o far apparire pregiudicata l'attivita' di "giudizio"; che la l. n. 332 del 1995 richiede un giudizio probabilistico in ordine alla colpevolezza, assai piu' approfondito che non in passato e tale da superare, ai fini della valutazione circa l'esistenza del pregiudizio in ordine alla decisione sulla responsabilita', la distinzione tra valutazioni di tipo indiziario, rilevati in sede cautelare, e giudizio sul merito dell'accusa in sede dibattimentale; e che proprio l'intensita' di tale garanzia in tale sede impone, per il giudice che ivi si e' pronunciato, il divieto di partecipare al giudizio sul merito dell'accusa, rovesciandosi altrimenti, la garanzia del "favor libertatis" rigorosamente assicurata nella fase cautelare in prevenzione a danno dell'imputato nel giudizio di merito - per un verso, il riesame dell'atto che dispone la misura cautelare (art. 309 cod. proc. pen.) comporta sempre un giudizio prognostico di segno positivo sulla responsabilita'; e, per l'altro, il giudizio d'appello (art. 310 cod. proc. pen.), nella misura in cui il suo oggetto implichi valutazioni relative a profili di merito, si risolve parimenti in un giudizio sulla responsabilita'. - S. nn. 496/1990; 401/1991 e 502/1991; 124/1992, 186/1992, 261/1992 e 339/1992; 439/1993; 453/1994 e 455/1994; 432/1995 e 448/1995; O. nn. 516/1991; 180/1992; 157/1993; 24/1996. red.: S. Di Palma
Manifesta inammissibilita' delle questioni, essendo stata gia' dichiarata l'illegittimita' costituzionale degli artt. 309 e 310 cod. proc. pen., proprio nella parte impugnata dal giudice 'a quo' e non presentando, rispetto alle prospettate censure, autonomia alcuna il richiamo al restante art. 311, stesso codice. - S. 71/1996. red.: A.M. Marini
Sono costituzionalmente illegittimi, per violazione degli artt. 3, comma primo, 24, comma secondo, e 111, comma secondo, Cost., gli artt. 309 e 310 cod. proc. pen., nella parte in cui non consentono di valutare la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza nell'ipotesi in cui sia stato emesso il decreto che dispone il giudizio a norma dell'art. 429 dello stesso codice, in quanto - postoche' il rispetto del "principio di assorbimento" (che rappresenta il punto di equilibrio circa l'autonomia del provvedimento incidentale di liberta' rispetto a quello di merito) implica che, soltanto ove intervenga una decisione che in ogni caso contenga in se' una valutazione del merito di incisivita' tale da assorbire l'apprezzamento dei gravi indizi di colpevolezza, puo' dirsi ragionevolmente precluso il riesame di tale punto da parte del giudice chiamato a pronunciarsi in sede di impugnazione proposta attraverso i provvedimenti 'de libertate' - il decreto che dispone il giudizio, comportando in presenza di prova insufficiente o contraddittoria, una deliberazione del merito orientata soltanto alla necessita' del dibattimento, non puo' ritenersi in alcun modo assorbente rispetto alla valutazione dei gravi indizi di colpevolezza a fondamento dell'adozione e del mantenimento delle misure cautelari personali e, quindi, preclusivo del relativo esame in sede di impugnazione 'de libertate', avente ad oggetto la tutela del bene primario della liberta' personale. - Cass. S.U. pen. nn. 36/1995; 38/1995. red.: S. Di Palma
Non e' fondata, con riferimento agli artt. 3, comma primo, e 24, comma secondo, Cost., la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 276 cod. proc. pen. - nella parte in cui prevede che, in caso di trasgressione alle prescrizioni inerenti a una misura cautelare, il giudice puo' disporne la sostituzione o il cumulo con altra piu' grave senza dover sentire il difensore sulla richiesta del pubblico ministero - in quanto, in generale, la garanzia della difesa e della parita' fra accusa e difesa comporta che il preventivo contraddittorio tra le ragioni dell'una e dell'altra debba essere garantito anche nel procedimento applicativo di misure cautelari personali coercitive, in tutti i casi in cui esso non contraddica le esigenze della loro concreta esecuzione; ed in quanto, in particolare, nei casi di applicazione iniziale di una misura nuova o di passaggio da una misura meno grave ad una piu' grave, anche a causa della violazione degli obblighi connessi alla misura meno grave, non e' ammissibile la presenza dell'indiziato o dell'imputato nel relativo procedimento, in ragione dell'intrinseca contraddizione che ne deriverebbe rispetto all'esigenza di salvaguardare l'imprevedibilita' della misura medesima, fermo restando che le garanzie della difesa, attraverso l'instaurazione del contraddittorio, sono solo rinviate e possono esplicarsi pienamente con la richiesta di riesame e l'eventuale appello. - S. n. 219/1994. red.: S. Di Palma
La disposizione dell'art. 310, comma terzo, cod. proc. pen., secondo la quale l'esecuzione della decisione con cui il tribunale, in accoglimento dell'appello del pubblico ministero, dispone una misura cautelare personale, e' sospesa finche' la decisione non sia divenuta definitiva, costituendo espressione del principio generale del processo penale, tradizionalmente definito come effetto sospensivo dell'impugnazione (art. 588, comma primo, cod. proc. pen.), rappresenta un adeguato elemento di riempimento e di completamento delle scelte del legislatore delegante. Peraltro, poiche' la norma in questione, essendo sostanzialmente conforme a quelle applicabili secondo la giurisprudenza anteriore e successiva alla legge n. 532 del 1982, istitutiva del tribunale della liberta' e del rimedio del riesame, non ha carattere di novita', va respinto l'assunto del giudice rimettente che in base a tale insussistente carattere ravvisa nel silenzio, al riguardo, della direttiva n. 59 dell'art. 2 della legge di delega - espressamente prevedente solo il principio dell'esecuzione immediata dei provvedimenti liberatori - un divieto di emanarla. (Manifesta infondatezza, in riferimento all'art. 76 Cost. - in relazione all'art. 2, n. 59, della legge 16 febbraio 1987, n. 81 - della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 310, terzo comma, cod. proc. pen.). - Cfr. S. nn. 237/1993 e 4/1992. red.: S.P.
Il principio di parita' tra accusa e difesa sancito dall'art. 2, n. 3, della legge n. 81 del 1987, non impone una assoluta identita' di poteri e posizioni del pubblico ministero e dell'imputato (o indagato), consentendo anzi quelle alterazioni della parita' necessarie a dare completo sviluppo a esigenze e finalita' anch'esse costituzionalmente rilevanti. Non e' percio' in contrasto con tale principio, la diversa disciplina adottata, da un lato, per i provvedimenti che pongono in liberta' l'imputato (o indagato), immediatamente eseguibili, e, dall'altro, per la decisione del tribunale che in accoglimento dell'appello del pubblico ministero dispone una misura cautelare, della quale l'impugnato art. 310, terzo comma, cod. proc. pen. prevede la sospensione fino a che non sia divenuta definitiva. (Manifesta infondatezza, in riferimento all'art. 76 Cost. - in relazione all'art. 2, n. 3, della legge 16 febbraio 1987, n. 81 - della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 310, terzo comma, cod. proc. pen.). - Sul principio di parita' delle parti nel processo penale v. S. nn. 98/1994, 363/1991 e 110/1986. red.: S.P.
La diversita' di disciplina che si riscontra, in materia di misure cautelari personali, tra i provvedimenti del giudice per le indagini preliminari - ai quali si accorda la esecutivita' - e la decisione con cui la misura sia stata disposta, in accoglimento dell'appello del pubblico ministero, dal tribunale - non eseguibile, in forza dell'impugnato art. 310, terzo comma, cod. proc. pen., finche' non sia divenuta definitiva - non e' censurabile in riferimento al principio di eguaglianza. Tra organi giurisdizionali, infatti, non sono configurabili problemi di disparita' di trattamento costituzionalmente rilevanti, perche' l'art. 3 Cost. concerne l'eguaglianza fra soggetti, aspetto non apprezzabile nel confronto tra organi giurisdizionali, i cui poteri sono determinati dalle scelte del legislatore, sindacabili in riferimento all'art. 3 Cost. solo sotto il profilo della ragionevolezza. (Manifesta infondatezza, in riferimento all'art. 3 Cost. - sotto l'anzidetto profilo - della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 310, terzo comma, cod. proc. pen.). red.: S.P.