Articolo 671 - CODICE PROCEDURA PENALE
Massime della Corte Costituzionale
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
Sono dichiarate manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale, sollevate dal Tribunale di Chieti, sez. distaccata di Ortona, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., dell'art. 671 cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede, in caso di pluralità di condanne intervenute per il medesimo reato permanente in relazione a distinte frazioni della condotta, il potere del [giudice dell'esecuzione] di rideterminare una pena unica, in applicazione degli artt. 132 e 133 cod. pen., che tenga conto dell'intero fatto storico accertato nelle plurime sentenze irrevocabili, e di assumere le determinazioni conseguenti in tema di concessione o revoca della sospensione condizionale, ai sensi degli artt. 163 e 164 cod. pen. Identiche questioni sono già state sollevate, dal medesimo rimettente, e dichiarate non fondate con sentenza n. 53 del 2018, senza che, nel riproporre le medesime questioni, siano stati introdotti argomenti o profili nuovi.
Nel giudizio incidentale di legittimità costituzionale dell'art. 671 cod. proc. pen., non è accolta l'eccezione di inammissibilità formulata per inadeguata descrizione della fattispecie. Il giudice a quo ha descritto in modo adeguato la vicenda concreta sottoposta al suo esame, riferendo che il soggetto istante nel giudizio principale ha riportato tre sentenze definitive di condanna per fatti suscettibili di essere configurati come porzioni di un unico reato permanente, donde la rilevanza della invocata declaratoria di illegittimità costituzionale.
Non è accolta l'eccezione di inammissibilità, per difetto di rilevanza, formulata nel giudizio incidentale di legittimità costituzionale avente ad oggetto l'art. 671 cod. proc. pen., nella parte in cui le questioni sollevate mirano ad attribuire al giudice dell'esecuzione il potere di assumere determinazioni in ordine alla concessione o alla revoca della sospensione condizionale della pena. Nel caso di specie - per affermazione dello stesso rimettente - il condannato istante non ha fruito di alcun beneficio, in quanto gravato da precedenti penali ostativi. Se il giudice dell'esecuzione venisse abilitato a rideterminare la pena del reato permanente, il potere di provvedere sulla sospensione condizionale discenderebbe automaticamente dall'innesto della pronuncia additiva sul tessuto della norma censurata.
Nel giudizio incidentale di legittimità costituzionale dell'art. 671 cod. proc. pen., non è accolta l'eccezione di inammissibilità, formulata dall'Avvocatura dello Stato, per difetto di motivazione sulla non manifesta infondatezza. Pur se il rimettente ha denunciato cumulativamente la violazione dei parametri costituzionali evocati, dalla motivazione dell'ordinanza di rimessione risultano agevolmente ricavabili le ragioni dei vulnera costituzionali ventilati.
Nel giudizio incidentale di legittimità costituzionale dell'art. 671 cod. proc. pen., non è accolta l'eccezione di inammissibilità, formulata dall'Avvocatura dello Stato, per errata individuazione della norma censurata (aberratio ictus). Posto che - secondo la stessa prospettazione del giudice a quo - l'art. 671 cod. proc. pen. regola ipotesi (il concorso formale di reati e la continuazione) diverse da quella oggetto del giudizio principale, la disciplina recata dalla norma impugnata è certamente la più prossima, per obiettivi e struttura, a quella che il rimettente reputa costituzionalmente necessario introdurre rispetto al reato permanente, il che giustifica la sua sottoposizione a scrutinio sotto il profilo considerato. ( Precedente citato: sentenza n. 113 del 2011 ).
Nel giudizio incidentale di legittimità costituzionale dell'art. 671 cod. proc. pen., non è accolta l'eccezione di inammissibilità, formulata dall'Avvocatura dello Stato, per invocata pronuncia additiva in assenza di soluzione costituzionalmente obbligata, in quanto volta a introdurre una disciplina del reato permanente nella fase esecutiva, scelta che rientrerebbe nella discrezionalità esclusiva del legislatore. Laddove si riconosca l'esigenza costituzionale di ricomporre l'unità del reato permanente frantumata in sede cognitiva, la rideterminazione unitaria della pena da parte del giudice dell'esecuzione si presenta come l'unica soluzione coerente in una cornice di sistema, mentre l'automatica estensione alla fattispecie considerata, nei limiti della compatibilità, delle previsioni relative all'applicazione in sede esecutiva degli istituti del concorso formale e della continuazione varrebbe ad evitare ogni possibile vuoto di disciplina conseguente all'accoglimento del petitum del rimettente.
Sono dichiarate non fondate le questioni di legittimità costituzionale - sollevate dal Tribunale di Chieti, sez. distaccata di Ortona, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost. - dell'art. 671 cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede, in caso di pluralità di condanne intervenute per il medesimo reato permanente in relazione a distinte frazioni della condotta, il potere del giudice dell'esecuzione di rideterminare una pena unica, che tenga conto dell'intero fatto storico accertato nelle plurime sentenze irrevocabili, e di assumere le determinazioni conseguenti in tema di concessione o revoca della sospensione condizionale. Mentre è corretto, perché conforme al diritto vivente, ritenere che nel caso considerato non trova applicazione la disciplina degli artt. 649 e 669 cod. proc. pen., in tema di divieto di un secondo giudizio e di pluralità di condanne per un medesimo fatto (ne bis in idem), è invece applicabile, secondo la giurisprudenza di legittimità - a seguito della interruzione giudiziale della permanenza conseguente alle modalità di accertamento dell'illecito, e contrariamente a quanto ritenuto dal rimettente - la disciplina del reato continuato (art. 81, secondo comma, cod. pen.), anche in sede esecutiva, ai sensi dell'art. 671 cod. proc. pen.: e ciò - quando le condanne attengano, come nell'ipotesi di specie, a segmenti del reato permanente la cui durata è stata individuata con precisione nel capo di imputazione (c.d. contestazione chiusa) - indipendentemente dal fatto che la prima sentenza di primo grado sia successiva all'intero periodo al quale si riferiscono le condanne stesse. All'erroneità del presupposto interpretativo del rimettente consegue il venir meno dei dubbi di costituzionalità prospettati, legati all'asserita, indefettibile operatività del regime del cumulo materiale delle pene. (Precedenti citati: sentenze n. 200 del 2016 e n. 129 del 2008) .
Non è accolta l'eccezione di inammissibilità - per difetto di motivazione sulla rilevanza - delle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 657, comma 4, e 671 cod. proc. pen., nonché dell'art. 81, secondo comma, cod. pen., nella parte in cui non consentirebbero al giudice dell'esecuzione, ritenuta la continuazione con i reati-fine per i quali la pena è stata ingiustamente espiata in eccesso, di verificare la data di commissione del reato associativo per cui è in corso l'esecuzione, e, ove diversa da quella di accertamento e antecedente alla carcerazione sine titulo, di tenere conto di detta data ai fini della fungibilità della pena. In assenza di un panorama giurisprudenziale uniformemente orientato in senso opposto, l'asserzione del giudice a quo - secondo cui la detenzione patita per i reati-fine avrebbe interrotto la permanenza del delitto di partecipazione ad associazione di stampo mafioso - appare sufficiente a soddisfare l'onere di motivazione sulla rilevanza, non potendo essere ritenuta, a prima vista, assolutamente priva di fondamento o del tutto implausibile, ancorché non corroborata con l'indicazione di ulteriori elementi rivelatori del venir meno dell'affectio societatis scelerum. La valutazione della rilevanza della questione spetta al giudice rimettente, dovendo la Corte costituzionale limitarsi a verificare che essa non sia assolutamente priva di fondamento o del tutto implausibile. ( Precedenti citati: sentenze n. 228 del 2016 e n. 71 del 2015 ).
Sono dichiarate manifestamente infondate - perché basate su un erroneo presupposto interpretativo - le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 657, comma 4, e 671 cod. proc. pen., nonché dell'art. 81, secondo comma, cod. pen., censurati dal GIP del Tribunale di Lecce, in riferimento agli artt. 3, 13, primo comma, 24, quarto comma, e 27, terzo comma, Cost., nella parte in cui non consentirebbero al giudice dell'esecuzione, ritenuta la continuazione con i reati-fine per i quali la pena è stata ingiustamente espiata in eccesso, di verificare la data di commissione del reato associativo per cui è in corso l'esecuzione, e, ove diversa da quella di accertamento e antecedente alla carcerazione sine titulo, di tenere conto di detta data ai fini della fungibilità della pena. Alla luce dell'univoco testo e della ratio del citato art. 657, comma 4, ciò che rileva ai fini dell'operatività dell'istituto della fungibilità della pena è che la data di commissione (e non già quella di accertamento) del reato con pena da espiare sia anteriore alla carcerazione ingiustamente sofferta. Tale conclusione non soffre eccezioni neppure nelle ipotesi alle quali è specificamente riferito il petitum del rimettente, ossia nel caso in cui il "credito di pena" utilizzabile in compensazione derivi dall'applicazione in sede esecutiva della continuazione tra più reati oggetto di separate condanne, e nel caso in cui il reato al quale si riferisce la pena da eseguire sia un reato associativo, la cui anteriorità, in quanto reato permanente, deve però essere verificata avendo riguardo al momento di cessazione della permanenza, e non a quello del suo inizio. Pertanto, quello che il rimettente chiede alla Corte costituzionale è già consentito, e anzi imposto, dalla normativa in vigore, alla cui stregua il giudice dell'esecuzione - ove verifichi (nel rispetto degli accertamenti svolti in sede cognitiva) che il reato associativo con pena da espiare è stato commesso, nei sensi precisati, anteriormente alla carcerazione sine titulo patita per i reati-fine - deve scomputare senz'altro quest'ultima dalla pena relativa al primo reato, quale che sia la data del suo accertamento. ( Precedenti citati: sentenze n. 198 del 2014 e n. 442 del 1988, sulla ratio dello sbarramento temporale previsto dall'art. 657, comma 4, cod. proc. pen. ) .
Manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 674, comma 1-bis, del codice di procedura penale, introdotto dall'art. 1, comma 2, della legge 26 marzo 2001, n. 128, sollevata in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, nella parte in cui non prevede che il giudice della esecuzione possa concedere la sospensione condizionale della pena quando rileva l'inesistenza della causa ostativa di cui all'art. 164, quarto comma, del codice penale. Infatti la premessa su cui si fonda la richiesta del giudice 'a quo' è palesemente erronea poiché mentre il giudice della esecuzione, quando - esercitando il potere attribuitogli dall?articolo in questione - revoca il beneficio della sospensione condizionale della pena si limita ad effettuare un mero riscontro formale sull'esistenza o meno di condanne ostative, nel caso alternativo e opposto di concessione 'ex novo' di quello stesso beneficio - sia pure in virtù di revoca della sentenza di condanna ostativa - verrebbe invece ad essere attribuito al giudice della esecuzione un compito valutativo e di pieno merito, riservato alla sfera della cognizione. - Con riguardo alla idoneità come 'tertium comparationis' di norme speciali, singolari o comunque derogatorie di principi generali, v., 'ex plurimis', sentenze citate n. 344/1999, n. 402/1996, n. 295 e n. 201/1995.