Articolo 657 - CODICE PROCEDURA PENALE
Massime della Corte Costituzionale
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
Non è accolta l'eccezione di inammissibilità, per richiesta di intervento additivo non costituente l'unica soluzione costituzionalmente obbligata, delle questioni di legittimità costituzionale dell'art. 29 del d.P.R. n. 448 del 1988 e dell'art. 657- bis cod. proc. pen. La soluzione sollecitata dal giudice a quo , anche se consistente nell'introduzione nel sistema di una regola nuova, non eccede i limiti delle attribuzioni della Corte costituzionale. ( Precedente citato: sentenza n. 343 del 1987 ).
Sono dichiarate non fondate le questioni di legittimità costituzionale - sollevate dalla Corte di cassazione in riferimento agli artt. 3, 27 e 31 Cost. - dell'art. 29 del d.P.R. n. 448 del 1988 e dell'art. 657-bis cod. proc. pen., nella parte in cui non prevedono che, in caso di esito negativo della messa alla prova di soggetto minorenne, il giudice determina la pena da eseguire tenendo conto della consistenza e della durata delle limitazioni patite e del comportamento tenuto durante il periodo di sottoposizione alla misura, analogamente a quanto, invece, previsto per gli imputati maggiorenni dall'art. 657- bis cod. proc. pen., o dalla disciplina della revoca dell'affidamento in prova al servizio sociale, ai sensi dell'art. 47, comma 10, della legge n. 354 del 1975, come risultante dalla sentenza n. 343 del 1987. La messa alla prova per i minorenni presenta caratteristiche peculiari, che la distinguono nettamente sia dall'omologo istituto previsto per gli imputati maggiorenni, sia dalla misura alternativa alla detenzione dell'affidamento in prova, entrambi caratterizzati da prescrizioni che sono sì funzionali alla risocializzazione del soggetto, ma che al tempo stesso assumono una innegabile connotazione sanzionatoria rispetto al fatto di reato. Per converso, alla messa alla prova per i minorenni non può essere ascritta alcuna funzione sanzionatoria, essendo concepita dal legislatore come in larga parte svincolata da un rapporto di proporzionalità rispetto al reato ed esclusivamente orientata a stimolare un percorso rieducativo del minore. ( Pre cedenti citati: sentenze n. 91 del 2018, n. 125 del 1995 e n. 343 del 1987 ).
Non è accolta l'eccezione di inammissibilità - per difetto di motivazione sulla rilevanza - delle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 657, comma 4, e 671 cod. proc. pen., nonché dell'art. 81, secondo comma, cod. pen., nella parte in cui non consentirebbero al giudice dell'esecuzione, ritenuta la continuazione con i reati-fine per i quali la pena è stata ingiustamente espiata in eccesso, di verificare la data di commissione del reato associativo per cui è in corso l'esecuzione, e, ove diversa da quella di accertamento e antecedente alla carcerazione sine titulo, di tenere conto di detta data ai fini della fungibilità della pena. In assenza di un panorama giurisprudenziale uniformemente orientato in senso opposto, l'asserzione del giudice a quo - secondo cui la detenzione patita per i reati-fine avrebbe interrotto la permanenza del delitto di partecipazione ad associazione di stampo mafioso - appare sufficiente a soddisfare l'onere di motivazione sulla rilevanza, non potendo essere ritenuta, a prima vista, assolutamente priva di fondamento o del tutto implausibile, ancorché non corroborata con l'indicazione di ulteriori elementi rivelatori del venir meno dell'affectio societatis scelerum. La valutazione della rilevanza della questione spetta al giudice rimettente, dovendo la Corte costituzionale limitarsi a verificare che essa non sia assolutamente priva di fondamento o del tutto implausibile. ( Precedenti citati: sentenze n. 228 del 2016 e n. 71 del 2015 ).
Sono dichiarate manifestamente infondate - perché basate su un erroneo presupposto interpretativo - le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 657, comma 4, e 671 cod. proc. pen., nonché dell'art. 81, secondo comma, cod. pen., censurati dal GIP del Tribunale di Lecce, in riferimento agli artt. 3, 13, primo comma, 24, quarto comma, e 27, terzo comma, Cost., nella parte in cui non consentirebbero al giudice dell'esecuzione, ritenuta la continuazione con i reati-fine per i quali la pena è stata ingiustamente espiata in eccesso, di verificare la data di commissione del reato associativo per cui è in corso l'esecuzione, e, ove diversa da quella di accertamento e antecedente alla carcerazione sine titulo, di tenere conto di detta data ai fini della fungibilità della pena. Alla luce dell'univoco testo e della ratio del citato art. 657, comma 4, ciò che rileva ai fini dell'operatività dell'istituto della fungibilità della pena è che la data di commissione (e non già quella di accertamento) del reato con pena da espiare sia anteriore alla carcerazione ingiustamente sofferta. Tale conclusione non soffre eccezioni neppure nelle ipotesi alle quali è specificamente riferito il petitum del rimettente, ossia nel caso in cui il "credito di pena" utilizzabile in compensazione derivi dall'applicazione in sede esecutiva della continuazione tra più reati oggetto di separate condanne, e nel caso in cui il reato al quale si riferisce la pena da eseguire sia un reato associativo, la cui anteriorità, in quanto reato permanente, deve però essere verificata avendo riguardo al momento di cessazione della permanenza, e non a quello del suo inizio. Pertanto, quello che il rimettente chiede alla Corte costituzionale è già consentito, e anzi imposto, dalla normativa in vigore, alla cui stregua il giudice dell'esecuzione - ove verifichi (nel rispetto degli accertamenti svolti in sede cognitiva) che il reato associativo con pena da espiare è stato commesso, nei sensi precisati, anteriormente alla carcerazione sine titulo patita per i reati-fine - deve scomputare senz'altro quest'ultima dalla pena relativa al primo reato, quale che sia la data del suo accertamento. ( Precedenti citati: sentenze n. 198 del 2014 e n. 442 del 1988, sulla ratio dello sbarramento temporale previsto dall'art. 657, comma 4, cod. proc. pen. ) .
Non è fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 657, comma 4, cod. proc. pen., impugnato, in riferimento agli artt. 3, 13, primo comma, e 27, terzo comma, Cost., in quanto prevede che, nella determinazione della pena detentiva da eseguire, si tiene conto soltanto della custodia cautelare subita o delle pene espiate senza titolo dopo la commissione del reato per il quale la pena che deve essere eseguita è stata inflitta. Lo sbarramento temporale fissato dalla norma censurata è imposto dall'esigenza di evitare che l'istituto della fungibilità si risolva in uno stimolo a commettere reati, trasformando il pregresso periodo di carcerazione in una "riserva di impunità"; esso risponde inoltre, prima ancora, alla fondamentale esigenza logico-giuridica che la pena segua, e non già preceda, il reato, essendo questa la condizione indispensabile affinché la pena possa esplicare le funzioni sue proprie, e particolarmente quelle di prevenzione speciale e rieducativa. Non sussiste, pertanto, la violazione degli invocati parametri e, in particolare, dei principi di eguaglianza e di ragionevolezza, poiché il rimettente qualifica come presunzione assoluta quella che, in realtà, è una delle ragioni giustificatrici della limitazione denunciata; il che esclude che possa essere accolta anche la richiesta, formulata in via subordinata, di trasformare l'ipotetica presunzione assoluta in relativa. - Nel senso della ammissibilità della questione quando gli interventi additivi richiesti non si pongono in rapporto di alternatività irrisolta, ma di subordinazione, v., ex plurimis , la citata sentenza n. 280/2011. - Nel senso che l'oggetto del giudizio di costituzionalità in via incidentale è limitato alle disposizioni e ai parametri indicati nelle ordinanze di rimessione, con esclusione di ulteriori questioni o profili dedotti dalle parti, eccepiti ma non fatti propri dal giudice a quo , oppure diretti ad ampliare o modificare successivamente il contenuto delle stesse ordinanze, v., ex plurimis , le citate sentenze nn. 310/2010, 227/2010 e 50/2010. - Su questione parzialmente analoga avente ad oggetto l'art. 271, quarto comma, del codice di rito del 1930, v. la citata sentenza n. 442/1988.
E' manifestamente infondata, con riferimento agli artt. 3 e 27 Cost., la questione di legittimita' costituzionale degli artt. 657, commi 1 e 3, cod. proc. pen. e 57 l. 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), nella parte in cui non prevedono che il condannato possa chiedere al p.m. che per la determinazione della sanzione sostitutiva da eseguire, quando questa sia la liberta' controllata, siano computati i periodi espiati in applicazione dell'obbligo di dimora ai sensi dell'art. 283, comma 4, stesso codice, in quanto - posto che, mentre la persona sottoposta alla misura degli arresti domiciliari, ancorche' autorizzata ad assentarsi dal luogo degli arresti "nel corso della giornata" (e, quindi, non per piu' giorni consecutivi) per cause specifiche e per recarsi in luoghi determinati, non cessa per cio' solo di essere in stato di custodia e, pertanto, in una condizione di "non liberta'", la persona sottoposta alla misura dell'obbligo di dimora e' invece "libera" nell'ambito del territorio individuato dalla ordinanza applicativa, anche nell'ipotesi in cui le venga prescritto l'obbligo di non allontanarsi dall'abitazione in alcune ore del giorno - risulta palesemente erronea la pretesa assimilazione delle due misure, sicche' non puo' nella specie ravvisarsi alcuna violazione ne' del principio di uguaglianza e di ragionevolezza, ne' di quello "di umanita' della pena" ai sensi dell'art. 27 Cost., non potendosi in alcun modo riconnettere alla misure cautelari caratteristiche e funzioni di tipo sanzionatorio.