Articolo 33 - CODICE PROCEDURA PENALE
Massime della Corte Costituzionale
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
E' inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 33- bis , comma 1, lettera b) , cod. proc. pen., censurato, in riferimento agli artt. 3 e 25 Cost., nella parte in cui non comprende tra le esclusioni dalla competenza collegiale il reato di indebita percezione di erogazioni da parte dello Stato ex art. 316- ter cod. pen.. Infatti, la richiesta di trasferire, mediante una pronuncia additiva, la cognizione di tale reato dal tribunale in composizione collegiale a quello in composizione monocratica è basata sulla ritenuta anomalia sistematica della collocazione dell'art. 316- ter nel corpo del codice penale, però il tribunale rimettente non spiega quali principi costituzionalmente protetti sarebbero lesi per effetto di tale asimmetria, e non è compito della Corte procedere ad aggiustamenti delle norme processuali per mere esigenze di coerenza sistematica, senza che si possano rilevare lesioni di diritti costituzionalmente tutelati.
Manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione, dell'art. 33-sexies del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede la restituzione in termini dell'imputato per la richiesta di applicazione della pena o di giudizio abbreviato, avuto riguardo all'ipotesi in cui il giudice dell'udienza preliminare abbia erroneamente disposto il rinvio a giudizio in rapporto ad un reato per il quale doveva procedersi con citazione diretta. Infatti, in relazione al dubbio di costituzionalità, fondato sull'effetto penalizzante che deriverebbe dall'erronea celebrazione dell'udienza preliminare, in punto di compressione dello ?spatium temporis? garantito all'imputato ai fini dell'accesso ai predetti riti alternativi, va osservato che il rito con udienza preliminare offre, nel suo complesso, maggiori garanzie all'imputato rispetto al rito con citazione diretta (in quanto caratterizzato da un vaglio giudiziale aggiuntivo sull'esercizio dell'azione penale) e rappresenta anche un principio che orienta la disciplina processuale positiva.In simile prospettiva, deve comunque escludersi che l'adozione della sequenza processuale complessivamente più ?garantita?, in relazione a reati per i quali essa non era dovuta, possa ritenersi foriera di disparità di trattamento in ?peius? e di pregiudizi al diritto di difesa solo perché, nel confronto su singoli e specifici aspetti della disciplina e, segnatamente, in relazione allo spazio temporale per la richiesta di riti alternativi, il rito con citazione diretta possa risultare, nella valutazione dell'imputato, preferibile al primo. - Sulla applicazione generalizzata del rito con udienza preliminare nel processo penale militare, v. ordinanza, citata, n. 204/2001.
Manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 33-'quinquies', 416 e 417 del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione, nella parte in cui le disposizioni censurate non prevedono che la sanzione processuale della decadenza, conseguente alla mancata proposizione, prima della conclusione dell?udienza preliminare, dell?eccezione concernente l?erronea attribuzione dei reati alla cognizione del tribunale in composizione monocratica o collegiale, sia ?correlata allo specifico obbligo del pubblico ministero di indicazione del giudice davanti al quale chiede il rinvio a giudizio?. Infatti la questione origina da una interpretazione della norma censurata (per la quale il termine di decadenza in questione dovrebbe continuare ad essere riferito all?udienza preliminare, malgrado nel caso in esame l?inosservanza delle disposizioni relative all?attribuzione dei reati sia concretamente eccepibile, analogamente alle ipotesi nelle quali manca l?udienza preliminare, solo dopo la 'vocatio in ius' e, cioè, in un momento in cui il termine indicato dalla disciplina censurata è ormai decorso) priva di significato logico e razionale, sicché anche la soluzione proposta si rivela del tutto inadeguata. M.F.
Manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 33, comma 2, cod. proc. pen. in relazione all'art. 1, comma secondo, della legge 7 maggio 1981, n. 180, agli artt. 7'bis' e 97 del r.d. 30 gennaio 1941, n. 12 (modificati dalla legge 4 maggio 1998, n. 133) e al r.d. 9 settembre 1941, n. 1022 impugnati, in riferimento agli artt. 3 e 25, primo comma, della Costituzione, nella parte in cui consentirebbero provvedimenti di applicazione e supplenza dei magistrati dei Tribunali militari del tutto discrezionali e privi di motivazione, senza prevedere che si determinino nullita' per inosservanza delle disposizioni concernenti le condizioni di capacita' del giudice. Come sottolineato da questa Corte nella sentenza n. 392 del 2000 che - successivmaente alle attuali ordinanze di rimessione ha dichiarato non fondata identica questione - la premessa interpretativa da cui muove il rimettente non puo' essere condivisa in quanto si deve ritenere che nell'ambito dell'ordinamento giudiziario militare operino tutte le norme dell'ordinamento giudiziario comune, ivi comprese quelle che disciplinano le applicazioni o le supplenze dei magistrati mancanti o impediti. Pertanto, anche nell'ordinamento giudiziario militare, applicazioni e supplenze possono essere disposte solo seguendo criteri prefissati e con provvedimenti motivati che consentano di verificare la rispondenza di ogni singolo provvedimento adottato ai presupposti e ai criteri obiettivi indicati dal Consiglio della magistratura militare. Precedente specifico: sent. n. 392 del 2000. L.T.
Diversamente da quanto opina il giudice rimettente, e in conformita' della interpretazione delle norme denunciate, seguita dal Consiglio della magistratura militare e confermata dal giudice della legittimita' - che si fonda sulla equiparazione dello stato giuridico dei magistrati militari a quelli ordinari, stabilita dall'art. 1 della legge n. 180 del 1981 - , deve ritenersi che nell'ambito dell'ordinamento giudiziario militare operino tutte le norme dell'ordinamento giudiziario comune, comprese quelle che disciplinano le applicazioni e le supplenze dei magistrati mancanti o impediti. Anche nell'ordinamento militare applicazioni e supplenze possono, quindi, essere disposte solo seguendo criteri prefissati e con provvedimenti motivati, che consentano di verificare la rispondenza di ogni singolo provvedimento adottato ai presupposti ed ai criteri obiettivi indicati dal Consiglio della magistratura militare. Pertanto cadono le censure mosse alla disciplina denunciata, sulla diversa premessa interpretativa che essa consenta provvedimenti di applicazione e sostituzione dei magistrati militari del tutto discrezionali e immotivati, in assenza di criteri obiettivi e predeterminati, risultandone quindi compromessi sia il principio della parita' di trattamento, rispetto alla disciplina prevista per i magistrati ordinari, sia il principio della precostituzione del giudice. Non e' pertanto fondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 33, comma 2, del codice di procedura penale, in relazione all'art. 1, secondo comma, della legge 7 maggio 1981, n. 180, agli artt. 7-bis e 97 del regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, modificati dalla legge 4 maggio 1998, n. 133, e al regio decreto 9 settembre 1941, n. 1022, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 25, primo comma, Cost. - Sul principio di assimilazione delle garanzie di indipendenza dei magistrati militari a quelle previste per i magistrati ordinari, sentenze nn. 71/1995 e 52/1998. - Sulla ininfluenza, in sede di controllo della legittimita' costituzionale delle norme, di prassi interpretative contrarie rispetto al disegno normativo, sentenze nn. 468/1992 e 276/2000.
Non e' fondata, in riferimento all'art. 25, primo comma, Cost., la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 33, comma 2, cod. proc. pen., il quale stabilisce che non si considerano attinenti alla capacita' del giudice le disposizioni sull'assegnazione dei processi alle sezioni degli uffici giudiziari, giacche' il principio costituzionale di precostituzione del giudice non implica che i criteri di assegnazione dei singoli procedimenti nell'ambito dell'ufficio giudiziario competente, pur dovendo essere obiettivi, predeterminati o comunque verificabili, siano necessariamente configurati come elementi costitutivi della generale capacita' del giudice alla cui carenza, in quanto attinente alla stessa titolarita' della funzione, il legislatore ha collegato la nullita' degli atti. Cio' non significa che la violazione dei criteri di assegnazione degli affari sia priva di rilievo e che non vi siano, o che non debbano essere prefigurati, appropriati rimedi dei quali le parti possano avvalersi nel caso in cui in concreto la lesione delle garanzie costituzionali discenda direttamente dalla violazione delle regole, la quale tuttavia non puo' fondare una valutazione di illegittimita' costituzionale della norma, trattandosi di situazione patologica insuscettibile di apprezzamento nel giudizio di costituzionalita'. - Cfr., per l'affermazione che l'applicazione distorta delle norme non puo' essere apprezzata in sede di giudizio di legittimita' costituzionale, sentenze nn. 175/1997 e 40/1998, ordinanza n. 255/1995. red.: S. Evangelista