Articolo 304 - CODICE PROCEDURA PENALE
Massime della Corte Costituzionale
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
Non può essere accolta, in quanto infondata, l'eccezione, formulata dalla difesa dello Stato, di inammissibilità della questione di legittimità costituzionale, sollevata in riferimento agli artt. 3 e 13, quinto comma della Costituzione, dell'art. 304, comma 2, del codice di procedura penale. La prospettazione dell'Avvocatura - secondo cui il giudice rimettente aveva la possibilità, in sede di rinvio, di «confermare con altra motivazione la precedente valutazione circa la non complessità del dibattimento», e per questa ragione la questione sarebbe priva di rilevanza - è del tutto ipotetica e non inficia il rilievo del giudice a quo secondo cui «la decisione dell'impugnazione transita necessariamente dall'esegesi dell'art. 304 co. 2 c.p.p., indicata dalla Suprema Corte». Il rimettente deve pronunciarsi in sede di appello cautelare in seguito all'annullamento disposto dalla Corte di cassazione, che ha statuito un principio di diritto per lui vincolante, a norma dell'art. 627, comma 3, cod. proc. pen.: egli pertanto deve applicare l'art. 304, comma 2, cod. proc. pen., nell'interpretazione accolta dalla sentenza della Corte di cassazione e sulla quale si incentra il dubbio di legittimità costituzionale.
Non è fondata la questione di legittimità costituzionale, sollevata in riferimento agli articoli 3 e 13, comma 5, della Costituzione, dell'articolo 304, comma 2, del codice di procedura penale, nella parte in cui - secondo l'interpretazione della Corte di cassazione, vincolante per il giudice rimettente ex art. 627, comma 3, cod. proc. pen. - «consente di definire "particolarmente complesso" il dibattimento in cui sia stata disposta una perizia (nella specie la perizia di trascrizione delle intercettazioni telefoniche) che avrebbe potuto o dovuto essere espletata nelle fasi anteriori al dibattimento stesso». L'eventuale iniziativa del pubblico ministero relativa a una perizia rientra nella fisiologia delle dinamiche probatorie, così come rientra nella fisiologia processuale la possibilità di definire, ai sensi della norma censurata, "particolarmente complesso" il dibattimento, quando si debba eseguire una perizia che presenti particolari caratteristiche di difficoltà e durata. Da questo punto di vista la censura in termini di «imprevedibilità» e di «imponderabilità» delle scelte del pubblico ministero relative all'espletamento della perizia, che nella prospettiva del rimettente sta alla base dell'asserita violazione dell'art. 13, quinto comma, Cost. e del principio di uguaglianza, è priva di fondamento perché non tiene conto del carattere "fisiologico" delle diverse determinazioni che il pubblico ministero può essere di volta in volta chiamato ad adottare nell'ambito delle dinamiche probatorie del processo. Parimenti, per ciò che concerne la trascrizione delle intercettazioni, si deve osservare che né nella fase delle indagini, né in quella del dibattimento occorre una richiesta di trascrizione da parte del pubblico ministero, prevedendo l'art. 268, comma 7, cod. proc. pen. che sia il giudice a disporre direttamente «la trascrizione integrale delle registrazioni», regola, questa, che dovrebbe valere anche nel dibattimento, quando nella fase delle indagini non si è svolta la selezione delle intercettazioni prevista dall'art. 268, comma 3, cod. proc. pen. Sono perciò prive di base giuridica le considerazioni del giudice rimettente sulla «solerzia (...) del Pubblico Ministero nella richiesta di perizia di trascrizione», dato che la richiesta non è prevista. Non senza considerare, per un verso, che, secondo un orientamento della giurisprudenza di legittimità, la trascrizione (anche quella peritale) non costituisce la prova diretta di una conversazione, ma va considerata solo come un'operazione rappresentativa in forma grafica del contenuto di prove acquisite mediante la registrazione fonica; e che, per altro verso, l'espletamento nel dibattimento di una perizia di lunga durata o della trascrizione di intercettazioni non comporta necessariamente un prolungamento della fase dibattimentale, perché è ben possibile che l'attività del perito si svolga contemporaneamente all'assunzione delle prove.
Manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 303, comma 2 e 304, comma 6, del codice di procedura penale, nella parte in cui impedisce di computare, ai fini dei termini massimi di fase determinati dall'art. 304, comma 6, i periodi di detenzione sofferti in una fase o grado diversi da quelli in cui il procedimento è regredito, sollevata in riferimento agli artt. 3 e 13 della Costituzione, in quanto l'ordinanza di rimessione risulta affetta, nella specie, da un difetto assoluto di motivazione tanto in ordine alla rilevanza che alla non manifesta infondatezza della questione; difetto che non può essere sanato dal mero rinvio 'per relationem' alle argomentazioni svolte in altra ordinanza di rinvio.
Manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell?art. 303, comma 2 e 304, comma 6, del codice di procedura penale, nella parte in cui impedisce di computare, ai fini dei termini massimi di fase determinati dall?art. 304, comma 6, i periodi di detenzione sofferti in una fase o grado diversi da quelli in cui il procedimento è regredito, sollevata in riferimento agli artt. 3 e 13 della Costituzione, poiché la questione sollevata in questa sede è stata già dichiarata manifestamente inammissibile con ordinanza n. 243 del 2003, proprio in ragione delle argomentazioni in essa contenute, che i giudici 'a quibus' dichiarano di fare proprie. - V. sentenza n. 243/2003.
Manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 304, comma 6, cod. proc. pen., nella parte in cui prevede che il limite del doppio dei termini massimi di custodia cautelare sia applicabile non solo nel caso di evasione, ma anche nell'ipotesi di regresso del procedimento 'ex' art. 303, comma 2, cod. proc. pen. La norma impugnata, infatti, va interpretata in modo conforme alla Costituzione, nel senso che il termine ivi previsto quale durata massima della custodia cautelare costituisce un limite insuperabile, a nulla rilevando che il termine sia cominciato nuovamente a decorrere per effetto della regressione del procedimento ad una fase anteriore. - Sul computo dei termini di durata massima di custodia cautelare nell'ipotesi di regressione del procedimento, si veda la sentenza n. 292/1998. - Sull'interpretazione dell'art. 304, comma 6, cod. proc. pen., nel senso di limite insuperabile, si vedano le sentenze n. 214/2000 e n. 429/1999. M.R.
Manifesta infondatezza, in riferimento agli articoli 3 e 13 della Costituzione, della questione di legittimita' dell'art. 304, comma 6, del codice di procedura penale <
Non e' fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione sollevata, in riferimento all'art. 3 Cost., riguardo ai limiti di durata della carcerazione preventiva, sulla legittimita' costituzionale dell'art. 303 cod. proc. pen., nella parte in cui, nell'ipotesi, contemplata nel comma 2, di nuovo inizio della decorrenza dei termini per la regressione del procedimento, in seguito ad annullamento con rinvio da parte della Cassazione o per altra causa, ad una fase o a un grado di giudizio diversi, o di rinvio ad altro giudice, prevede, ad avviso del giudice 'a quo', che possa essere causa di scarcerazione solo il superamento del termine complessivo di durata massima, stabilito dallo stesso articolo al comma 4. Secondo quella che si appalesa l'unica soluzione ermeneutica enucleabile dal sistema ed in linea con i valori della Carta fondamentale, deve infatti ritenersi che anche nella suddetta ipotesi - contrariamente a quanto ha sostenuto il giudice 'a quo' - possa essere causa di scarcerazione, se piu' favorevole, anche il superamento del doppio del termine di fase previsto dall'art. 304, comma 6. Tale soluzione - alla quale non e' di ostacolo la collocazione della norma in un articolo concernente i casi di sospensione dei termini (per impedimento dell'imputato o del difensore ecc.) trattandosi di una previsione che rispetto al corpo dell'articolo era e resta autonoma - si impone in forza di vari e concorrenti argomenti, di carattere storico - legati alla genesi e funzione dell'istituto gia' durante la vigenza del vecchio codice - testuali e logico-sistematici (quali l'uso, nel comma in parola, dell'avverbio "comunque"; il richiamo, oltre che al comma 1, ai commi 2 e 3 dell'art. 303; il fatto che, mentre nei casi di sospensione, il prolungamento dei termini puo' essere conseguenza di una eventuale condotta ostruzionistica e defatigatoria dell'imputato, nei casi di regressione o di rinvio ad altro giudice deriva di regola da un errore in cui e' incorsa la stessa autorita' giudiziaria e senza colpa dell'imputato, per cui sarebbe paradossale limitare l'operativita' del limite di fase soltanto ai primi) e soprattutto in forza della stessa logica dell'art. 13 della Carta fondamentale, la quale richiede di individuare, fra piu' interpretazioni, quella che riduca al minimo il sacrificio per la liberta' personale. red.: S. Pomodoro
Manifesta infondatezza della questione, avendo la Corte - con la sentenza n. 238 del 1997, successiva all'ordinanza di rimessione - gia' dichiarato non fondata una identica questione, perche' basata sull'erroneo presupposto interpretativo che il pubblico ministero possa limitare la richiesta di sospensione dei termini di custodia cautelare <>, con la conseguenza che la richiesta di sospensione che contenga limitazioni all'operativita' della sospensione stessa, deviando dal quadro normativo predisposto dall'art. 304, commi 2 e 3, cod. proc. pen., e' da ritenere del tutto estranea alla disciplina legislativa. red.: G. Leo
Manifesta inammissibilita' della questione, la quale risulta impostata dal tribunale rimettente con riferimento al <
Non e' fondata, con riferimento agli artt. 3 e 101 Cost., la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 304, comma 3, cod. proc. pen., nella parte in cui esclude poteri d'ufficio del giudice in tema di sospensione dei termini massimi di custodia cautelare, nella fase dibattimentale, in quanto - posto che l'art. 2 n. 61 della legge-delega 16 febbraio 1987, n. 81, dopo aver prescritto la previsione, per ciascuna fase processuale, di termini autonomi di custodia cautelare ed aver dettato le direttive in tema di proroga della custodia cautelare, ha introdotto, nella sua terza sub-direttiva la "previsione che i termini di durata massima delle misure possano essere sospesi durante il dibattimento in relazione allo svolgimento e alla complessita' dello stesso nonche' a differimenti processuali non imposti da esigenze istruttorie e determinati da fatti riferibili all'imputato o al suo difensore"; che l'art. 304, comma 2, cod. proc. pen., prevede la sospensione dei termini di durata massima della custodia cautelare nell'intento di prevenire eventuali comportamenti dilatori diretti ad ottenere la scarcerazione (lett. a) o di precludere che comportamenti anche pienamente legittimi dei difensori possano anticipare la scarcerazione dell'imputato (lett. b); che l'art. 304, commi 2 e 3, contempla la possibilita' di sospensione dei predetti termini, nella fase del giudizio, quando si tratti di reati indicati nell'art. 407, comma 2, lett. a), nel caso di dibattimenti particolarmente complessi, durante il tempo in cui si sono tenute le udienze o si delibera la sentenza nel giudizio di primo grado o nel giudizio di impugnazione; che, mentre la sospensione prevista dall'art. 304, comma 1, consegue pressoche' di diritto al verificarsi degli eventi da esso indicati e senza che venga richiesta alcuna iniziativa del p.m., il relativo provvedimento venendo cosi' ad assumere i connotati dell'atto vincolato in presenza delle condizioni previste dalla legge, quella prevista dall'art. 304, comma 2 (che deriva da situazioni oggettive che devono essere verificate da parte del giudice - particolare complessita' del dibattimento - cosi' da atteggiare il detto provvedimento come ascrivibile a quelli a discrezionalita' vincolata) richiede, invece, l'apposita richiesta del p.m. - la stessa richiesta di sospensione del pubblico ministero, che contenga limitazioni all'operativita' della sospensione stessa, deviando,cosi', dal quadro normativo predisposto dall'art. 304, commi 2 e 3, e' da ritenere del tutto estranea alla disciplina legislativa, ed in quanto tale illegittimita', peraltro, mentre non e' in grado di viziare la domanda nel suo complesso consente al giudice di provvedere secondo il modello legislativo, in tal modo pervenendo, nei sensi previsti dall'art. 304, comma 2, alla sospensione dei termini di custodia cautelare senza l'opposizione di condizioni o di limitazioni di sorta. red.: S. Di Palma