Articolo 303 - CODICE PROCEDURA PENALE
Massime della Corte Costituzionale
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
E' inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 303, comma 4, cod. proc. pen., censurato, in riferimento agli artt. 3 e 13 Cost., nella parte in cui dispone che i termini di durata complessiva della custodia cautelare siano commisurati ai valori edittali di pena propri del reato per cui si procede, e non invece "alla concreta punibilità dell'illecito, nei termini già ritenuti in sentenza". Infatti, l'intervento additivo richiesto comporterebbe una serie di precisazioni normative molto dettagliate, possibili in una revisione legislativa della norma censurata ma che non possono derivare da una sentenza del giudice delle leggi.
E? costituzionalmente illegittimo l?art. 303, comma 2, cod. proc. pen., nella parte in cui non consente di computare ai fini dei termini massimi di fase determinati dall'art. 304, comma 6, dello stesso codice, i periodi di custodia cautelare sofferti in fasi o in gradi diversi dalla fase o dal grado in cui il procedimento è regredito. Infatti, la tutela della libertà personale che si realizza attraverso i limiti massimi di custodia voluti dall'art. 13, quinto comma, Cost. è un valore unitario e indivisibile, che non può subire deroghe o eccezioni riferite a particolari e contingenti vicende processuali, ovvero desunte da una ricostruzione dell'attuale sistema processuale che non consenta di tenere conto, ai fini della garanzia del termine massimo finale di fase, dei periodi di custodia cautelare ?comunque? sofferti nel corso del procedimento.
Manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell?art. 303, comma 2 del codice di procedura penale, sollevata in riferimento agli artt. 3 e 13 della Costituzione, per assoluta carenza di motivazione, che non può essere sostituita, né integrata, dal mero rinvio ?per relationem? ad altri atti, poiché il giudice deve rendere esplicite le ragioni che lo portano a dubitare della costituzionalità della norma che ritiene di dover applicare; motivazione che deve essere, inoltre, autosufficiente, per permettere la verifica dell?avvenuto apprezzamento della rilevanza e della non manifesta infondatezza della questione.
Manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 303, comma 2 e 304, comma 6, del codice di procedura penale, nella parte in cui impedisce di computare, ai fini dei termini massimi di fase determinati dall'art. 304, comma 6, i periodi di detenzione sofferti in una fase o grado diversi da quelli in cui il procedimento è regredito, sollevata in riferimento agli artt. 3 e 13 della Costituzione, in quanto l'ordinanza di rimessione risulta affetta, nella specie, da un difetto assoluto di motivazione tanto in ordine alla rilevanza che alla non manifesta infondatezza della questione; difetto che non può essere sanato dal mero rinvio 'per relationem' alle argomentazioni svolte in altra ordinanza di rinvio.
Manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell?art. 303, comma 2 e 304, comma 6, del codice di procedura penale, nella parte in cui impedisce di computare, ai fini dei termini massimi di fase determinati dall?art. 304, comma 6, i periodi di detenzione sofferti in una fase o grado diversi da quelli in cui il procedimento è regredito, sollevata in riferimento agli artt. 3 e 13 della Costituzione, poiché la questione sollevata in questa sede è stata già dichiarata manifestamente inammissibile con ordinanza n. 243 del 2003, proprio in ragione delle argomentazioni in essa contenute, che i giudici 'a quibus' dichiarano di fare proprie. - V. sentenza n. 243/2003.
Manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell?art. 303, comma 2, del codice di procedura penale, nella parte in cui impedisce di computare, ai fini dei termini massimi di fase determinati dall?art. 304, comma 6, i periodi di detenzione sofferti in una fase o grado diversi da quelli in cui il procedimento è regredito, sollevata in riferimento agli artt. 3 e 13 della Costituzione, poiché la questione sollevata in questa sede è stata già dichiarata manifestamente inammissibile con ordinanza n. 243 del 2003, proprio in ragione delle argomentazioni in essa contenute, che i giudici 'a quibus' dichiarano di fare proprie.
Manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell?art. 303, comma 2, del codice di procedura penale, sollevata in riferimento agli articoli 3 e 13 della Costituzione, nella parte in cui impedisce di computare ai fini dei termini massimi di fase determinati dall?art. 304, comma 6, del codice di procedura penale, i periodi di detenzione sofferti in una fase o in un grado diverso da quelli in cui il procedimento è regredito. Più che motivare, infatti, la non manifesta infondatezza della questione che prospettano, le ordinanze di rimessione si propongono di dimostrare la coerenza con i parametri evocati dell?opposta soluzione, in una motivazione tutta protesa, nella sostanza, a dimostrare l?infondatezza della questione proposta: attraverso una lettura condotta non alla stregua della sola legislazione ordinaria, ma proprio dei principi costituzionali che presidiano la materia, le ordinanze si fondano, peraltro, sull?interpretazione contenuta nella pronuncia costituzionale n. 529 del 2000, proprio mentre riservano ad essa, sul piano della consistenza di quei principi, critiche severe. Né può essere ritenuto ammissibile un approccio alla giustizia costituzionale attraverso un?ordinanza, come quella delle sezioni unite rimettenti, che si chiude con l?esplicito invito al ?rispetto delle reciproche attribuzioni?, come se alla Corte costituzionale fosse consentito affermare i principi costituzionali soltanto attraverso sentenze caducatorie e le fosse negato, in altri tipi di pronunce, interpretare le leggi alla luce della Costituzione. - In tema di disciplina della custodia cautelare, menzionate, la sentenza n. 292/1998, l?ordinanza n. 429/1999; l?ordinanza n. 214/2000.
Manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 303, comma 1, lettera b-bis, del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, nella parte in cui non prevede in relazione al giudizio abbreviato, allorquando si proceda per i reati di cui all'art. 407, comma 2, lettera a) dello stesso codice, che i termini di custodia cautelare sono prorogati di sei mesi, secondo quanto disposto per il giudizio ordinario. Infatti il giudice rimettente - che in relazione alla posizione di altri coindagati ha già interpretato la disposizione censurata nel senso prospettato - solleva la questione con la finalità - estranea alla logica del giudizio incidentale di costituzionalità - di avvalorare l'interpretazione che egli ritiene corretta e che invece è stata già disattesa dal tribunale del riesame.
E' manifestamente infondata, con riferimento all'art. 3 Cost., la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 303, comma 4, cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede che, oltre al superamento del termine complessivo, possa essere causa di scarcerazione anche il superamento del doppio termine di fase, allorche' si verifichi la situazione descritta nel comma 2 dello stesso art. 303, in quanto - posto che identica questione e' stata gia' dichiarata non fondata nei sensi di cui in motivazione con sentenza n. 292 del 1998 - non sono stati addotti argomenti di concludenza tale da indurre a mutare le affermazioni poste a fondamento della predetta sentenza. - S. n. 292/1998.
Non e' fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione sollevata, in riferimento all'art. 3 Cost., riguardo ai limiti di durata della carcerazione preventiva, sulla legittimita' costituzionale dell'art. 303 cod. proc. pen., nella parte in cui, nell'ipotesi, contemplata nel comma 2, di nuovo inizio della decorrenza dei termini per la regressione del procedimento, in seguito ad annullamento con rinvio da parte della Cassazione o per altra causa, ad una fase o a un grado di giudizio diversi, o di rinvio ad altro giudice, prevede, ad avviso del giudice 'a quo', che possa essere causa di scarcerazione solo il superamento del termine complessivo di durata massima, stabilito dallo stesso articolo al comma 4. Secondo quella che si appalesa l'unica soluzione ermeneutica enucleabile dal sistema ed in linea con i valori della Carta fondamentale, deve infatti ritenersi che anche nella suddetta ipotesi - contrariamente a quanto ha sostenuto il giudice 'a quo' - possa essere causa di scarcerazione, se piu' favorevole, anche il superamento del doppio del termine di fase previsto dall'art. 304, comma 6. Tale soluzione - alla quale non e' di ostacolo la collocazione della norma in un articolo concernente i casi di sospensione dei termini (per impedimento dell'imputato o del difensore ecc.) trattandosi di una previsione che rispetto al corpo dell'articolo era e resta autonoma - si impone in forza di vari e concorrenti argomenti, di carattere storico - legati alla genesi e funzione dell'istituto gia' durante la vigenza del vecchio codice - testuali e logico-sistematici (quali l'uso, nel comma in parola, dell'avverbio "comunque"; il richiamo, oltre che al comma 1, ai commi 2 e 3 dell'art. 303; il fatto che, mentre nei casi di sospensione, il prolungamento dei termini puo' essere conseguenza di una eventuale condotta ostruzionistica e defatigatoria dell'imputato, nei casi di regressione o di rinvio ad altro giudice deriva di regola da un errore in cui e' incorsa la stessa autorita' giudiziaria e senza colpa dell'imputato, per cui sarebbe paradossale limitare l'operativita' del limite di fase soltanto ai primi) e soprattutto in forza della stessa logica dell'art. 13 della Carta fondamentale, la quale richiede di individuare, fra piu' interpretazioni, quella che riduca al minimo il sacrificio per la liberta' personale. red.: S. Pomodoro