Articolo 425 - CODICE PROCEDURA PENALE
Massime della Corte Costituzionale
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
E? costituzionalmente illegittimo, in riferimento agli artt. 3 e 31, secondo comma, Cost., l? art. 32, comma 1, del d.P.R. 22 settembre 1988, n. 448, come modificato dall?art. 22 della legge 1 marzo 2001, n. 63, nella parte in cui non prevede che il giudice dell'udienza preliminare che procede nei confronti di un imputato minorenne, in caso di mancanza del consenso dello stesso, possa emettere sentenza di non luogo a procedere che non presuppone un accertamento di responsabilità. Infatti la norma censurata è irragionevole, in quanto vanifica le finalità deflative che ispirano l'impianto dell'udienza preliminare minorile, precludendo la possibilità di una immediata definizione del processo e imponendo uno sviluppo dibattimentale assolutamente superfluo e comunque non vantaggioso per l'imputato. Restano assorbite le censure riferite agli altri parametri costituzionali evocati. - Sull'udienza preliminare minorile e in particolare sui poteri del giudice a svolgere vere e proprie funzioni di giudizio, v. citate sentenze n. 290/1998 e n. 311/1997. - V. anche citata sentenza n. 77/1993, con la quale la Corte ha esteso l'opposizione, prevista dall'art. 32, comma 3, in caso di sentenza di condanna a pena pecuniaria o a sanzione sostitutiva, alle ipotesi in cui la responsabilità dell'imputato è necessariamente presupposta (concessione del perdono giudiziale), ovvero è «logicamente postulata» (sentenza di non luogo a procedere per difetto di imputabilità). - Sul tema del preminente interesse del minore ad una rapida uscita del processo v., 'ex plurimis', citate sentenze n. 433/1997, n. 250/1991 e ordinanza n. 103/1997.
Manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 425 del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede che il giudice, nel pronunciare sentenza di non luogo a procedere, possa condannare l'imputato al pagamento delle spese processuali in favore della parte civile, qualora la mancata decisione sull'azione civile non sia addebitabile al danneggiato. Il giudice rimettente ha infatti invocato, quale 'tertium comparationis', la disciplina dell'applicazione della pena su richiesta delle parti: fattispecie, quest'ultima, strutturalmente diversa rispetto all'ipotesi della sentenza di non luogo a procedere, e quindi inidonea a fungere da parametro di riferimento ai sensi dell'art. 3 Cost. - Sulla conformità a Costituzione dell'art. 444 cod. proc. pen. con riferimento alla mancata previsione della condanna alle spese in favore della parte civile, si veda la sentenza n. 443/1990. - Sulla inidoneità del 'tertium comparationis' prescelto dal giudice rimettente, v. ordinanza n. 73/1993. M.R.
E' manifestamente inammissibile la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 425 del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede che nel caso di persona non imputabile al momento del fatto e incapace di partecipare coscientemente al processo, debba emettersi, da parte del giudice della udienza preliminare, sentenza di non luogo a procedere allorche' risulti evidente la materiale attribuibilita' del fatto medesimo all'imputato, sollevato in riferimento agli artt. 24 e 112 Cost., in quanto la questione stessa e' gia' stata dichiarata inammissibile con sentenza n. 94 del 1997. red.: N. Oliva
Sono inammissibili: a) - le questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 425 cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede, quanto meno nell'ipotesi in cui sia in corso di applicazione una misura cautelare e l'imputato versi in condizioni di incapacita' a partecipare al procedimento, la possibilita' di emettere sentenza di non luogo a procedere per difetto di imputabilita', e dell'art. 71, stesso codice, nella parte in cui stabilisce la necessita' di pronunciare ordinanza di sospensione del procedimento anche nell'ipotesi in cui, pur potendosi prevedere in dibattimento la emissione di sentenza di proscioglimento per difetto di imputabilita', il giudice della udienza preliminare debba disporre il rinvio a giudizio, sollevate con riferimento all'art. 3 Cost.; b) - la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 425 cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede che, nel caso di persona non imputabile al momento del fatto e incapace di partecipare coscientemente al processo, non debba emettersi sentenza di non luogo a procedere allorche' risulti evidente la materiale attribuibilita' del fatto all'imputato, sollevata con riferimento agli artt. 24 e 112 Cost., in quanto la parcellizzazione delle ipotesi prospettate (a prescindere da seri dubbi di legittimita' delle soluzioni avanzate) dimostra l'impossibilita' di risolvere sul piano costituzionale una gamma quanto mai variegata di possibili opzioni, che soltanto il legislatore e' abilitato a compiere. - S. nn. 41/1993, 71/1996. red.: S. Di Palma
Manifesta infondatezza della questione in quanto il principio di buon andamento e di imparzialita' della pubblica amministrazione, vincolante per la disciplina dell'organizzazione dei pubblici uffici, pur potendo riferirsi anche agli organi dell'amministrazione della giustizia, attiene esclusivamente alle leggi concernenti l'ordinamento degli uffici giudiziari e il loro funzionamento sotto l'aspetto amministrativo, mentre e' del tutto estraneo al tema dell'esercizio della funzione giurisdizionale, nel suo complesso e in relazione ai diversi provvedimenti che costituiscono espressione di tale esercizio. - Sul principio (art. 97 Cost.) assunto a parametro, v. S. nn. 376/1993, 18/1989 e 86/1982. red.: E.M. rev.: S.P.
Manifesta infondatezza della questione in quanto il principio sancito dall'art. 107, terzo comma, Cost., secondo cui "i magistrati si distinguono tra loro soltanto per diversita' di funzioni", concerne lo 'status' giuridico dei magistrati e mira ad escludere tra loro il vincolo gerarchico o arbitrarie categorizzazioni non sorrette da ragioni funzionali e, pertanto, non puo' essere invocato per censurare l'ambito delle funzioni che la legge assegna ai vari organi giurisdizionali in ragione delle diverse fasi in cui il processo si articola. - S. nn. 50/1970, 123/1970 e 86/1982. red.: E.M. rev.: S.P.
Manifesta infondatezza della questione, gia' dichiarata non fondata, non interferendo sulla stessa la modifica (soppressione della parola "evidente") apportata alla norma censurata dall'art. 1, legge 8 aprile 1993, n. 105. - v. S. n. 82/1993.
Non assolve gli oneri prescritti per la rituale instaurazione di un giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale, una ordinanza di rimessione motivata solo 'per relationem' ad altri precedenti provvedimenti e per di piu' del tutto priva degli elementi costitutivi e necessari a delimitare il 'thema decidendum', non potendosi certo questo ricavare soltanto dall'accostamento delle norme parametro con quelle che si vorrebbero impugnare. (Inammissibilita' di questioni di legittimita' costituzionale sollevate, con le su rilevate carenze, nei confronti degli artt. 425 e 577 cod. proc. pen., in riferimento agli artt. 76, 3, 77 e 112 Cost.).
Questione gia' dichiarata non fondata, in quanto la formula "il fatto non costituisce reato" e' pur sempre riconducibile, in una interpretazione aderente allo spirito della richiamata direttiva della legge di delega, a quella "il fatto non sussiste", nella direttiva espressamente compresa. - S. n. 82/1993.
La previsione della legge di delega (art. 2, dir. n. 52) che abilita il giudice a pronunciare sentenza di non luogo a procedere quando risulta evidente che il fatto non sussiste o l'imputato non lo ha commesso, non esclude dalla sfera delibativa quelle restanti cause che pure incidono sul fatto contestato e che il legislatore delegato ha sussunto sotto la formula del fatto che non costituisce reato: ove, infatti, l'enunciato della delega ricevesse una lettura riduttiva nel senso che l'indagine del giudice debba limitarsi al controllo dei soli elementi materiali del reato, della ascrivibilita' del fatto all'imputato e della riconducibilita' del fatto medesimo alla ipotesi-tipo legalmente determinata, qualsiasi difesa che intendesse contestare l'esistenza dell'elemento psicologico del reato o dedurre la presenza di una causa di giustificazione sarebbe privata di qualsiasi "risposta" giurisdizionale. Tale conclusione, pero', in contrasto con i piu' elementari principi di garanzia, non e' consentita ne' dalla lettera ne' dallo spirito della legge di delegazione, che ha modellato il processo e la stessa udienza preliminare in funzione di quelle esigenze di parita' tra accusa e difesa che rappresentano un aspetto essenziale del prescelto modello accusatorio; a tali considerazioni aggiungendosi quelle che possono trarsi dall'altra regola, posta dalla direttiva n. 11 dello stesso art. 2 della legge di delega, dell'obbligo di proscioglimento nel merito anche in presenza di una causa estintiva del reato: regola che, avendo valore di principio generale, e' certo applicabile - sempre che si propongano in termini di evidenza - anche nei casi - che anch'essi senza dubbio "merito" sono - di accertata inesistenza dell'elemento psicologico del reato o di presenza di una causa di giustificazione. (Non fondatezza della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 425 cod.proc.pen. sollevata in riferimento all'art. 76 Cost. in relazione alla l. 16 febbraio 1987, n. 81, art. 2, dir. 52). - Sulla portata della formula "il fatto non costituisce reato", in relazione alle norme del vecchio codice v. sent. n. 175/1971.