Articolo 175 - CODICE PROCEDURA PENALE
Massime della Corte Costituzionale
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
Sono restituiti al rimettente gli atti relativi alle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 175, 178, comma 1, lett. c ), 179 e 604 cod. proc. pen., impugnati, in riferimento agli artt. 3, 24, 111 e 117, primo comma, Cost. (in relazione all'art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo), nella parte in cui non prevedono che la mancata conoscenza del procedimento, da parte dell'imputato restituito nel termine per proporre impugnazione, determini la nullità della sentenza appellata, ovvero del decreto di rinvio a giudizio o di citazione a giudizio con nullità derivata di detta sentenza, e imponga conseguentemente la trasmissione degli atti al giudice di primo grado; nonché, «in aggiunta o in alternativa», degli artt. 175 e 603 cod. proc. pen., impugnati, in riferimento ai medesimi parametri, nella parte in cui non consentono all'imputato, restituito nel termine per non aver avuto conoscenza del procedimento, di avvalersi in modo pieno, in grado di appello, delle facoltà previste dagli artt. 438, 444, 468, 491 e 555 del medesimo codice. Infatti, successivamente all'ordinanza di rimessione, è intervenuta la legge n. 67 del 2014 che ha modificato in modo particolarmente incisivo la disciplina del processo penale senza la presenza dell'imputato. Per effetto di tale provvedimento, tre delle cinque norme censurate (artt. 175, 603 e 604 cod. proc. pen.) sono state oggetto di rilevanti interventi modificativi ed è radicalmente mutato il panorama normativo di riferimento. Alla luce del citato ius superveniens compete, pertanto, al giudice a quo un nuovo esame della rilevanza delle questioni.
Nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 175, comma 2, cod. proc. pen., impugnato in riferimento agli artt. 24, 111, primo comma, e 117, primo comma, Cost., deve essere rigettata l'eccezione di inammissibilità della questione, sollevata dalla difesa erariale, per non avere il rimettente considerato la possibilità di dare della disposizione censurata un'interpretazione conforme alla Costituzione. Infatti, in merito alla preclusione, per l'imputato giudicato in contumacia, della possibilità di chiedere la restituzione nel termine per impugnare la sentenza emessa nei suoi confronti, allorché il suo difensore abbia già promosso un giudizio impugnatorio, si è formato, nell'ambito della giurisprudenza di legittimità, un vero e proprio diritto vivente, rispetto al quale il rimettente ha esplicitamente ritenuto di non potere distaccarsi facendo uso degli ordinari strumenti ermeneutici.
Con riferimento ad un diritto fondamentale garantito anche dalla Convenzione europea per i diritti dell'uomo, il rispetto degli obblighi internazionali non può mai essere causa di una diminuzione di tutela rispetto a quelle già predisposte dall'ordinamento interno, ma può e deve, viceversa, costituire strumento efficace di ampliamento della tutela stessa. In particolare, la Corte non può ammettere che una tutela superiore, che sia possibile introdurre per il tramite dell'art. 117, primo comma, Cost., rimanga sottratta ai titolari di un diritto fondamentale. L'obiettivo di massima espansione delle garanzie deve essere conseguito attraverso lo sviluppo delle potenzialità insite nelle norme costituzionali che tutelano i medesimi diritti protetti a livello convenzionale e nel necessario bilanciamento con altri diritti fondamentali costituzionalmente garantiti, suscettibili di essere incisi dall'espansione di una singola tutela. La protezione dei diritti fondamentali deve, dunque, essere sistemica e non frazionata in una serie di norme non coordinate ed in potenziale conflitto tra loro, e la realizzazione di un equilibrato sistema di tutela è demandata, per gli ambiti di rispettiva competenza, al legislatore, al giudice comune e al giudice delle leggi. Il risultato complessivo dell'integrazione delle garanzie dell'ordinamento deve essere di segno positivo, nel senso che dall'incidenza della singola norma CEDU sulla legislazione italiana deve derivare un plus di tutela per tutto il sistema dei diritti fondamentali. Resta fermo che la Corte costituzionale non può sostituire la propria interpretazione di una disposizione della CEDU a quella della Corte di Strasburgo, con ciò uscendo dai confini delle proprie competenze, in violazione di un preciso impegno assunto dallo Stato italiano con la sottoscrizione e la ratifica, senza l'apposizione di riserve, della Convenzione, ma può valutare come ed in qual misura il prodotto dell'interpretazione della Corte europea si inserisca nell'ordinamento costituzionale italiano. La norma CEDU, nel momento in cui va ad integrare il primo comma dell'art. 117 Cost., da questo ripete il suo rango nel sistema delle fonti, con tutto ciò che segue in termini di interpretazione e bilanciamento, che sono le ordinarie operazioni compiute dalla Corte in tutti i giudizi di sua competenza. Per il rilievo che nel concetto di massima espansione delle tutele deve essere compreso il necessario bilanciamento con altri interessi costituzionalmente protetti, v. le citate sentenze n. 348/2007 e n. 349/2007. In relazione all'impossibilità, per la Corte costituzionale, di sostituire la propria interpretazione di una disposizione della CEDU a quella della Corte di Strasburgo, v. la citata sentenza n. 311/2009.
E' costituzionalmente illegittimo, per violazione degli artt. 24, 111, primo comma, e 117, primo comma, Cost., l'art. 175, comma 2, cod. proc. pen., nella parte in cui non consente la restituzione dell'imputato, che non abbia avuto effettiva conoscenza del procedimento o del provvedimento, nel termine per proporre impugnazione contro la sentenza contumaciale, nel concorso delle ulteriori condizioni indicate dalla legge, quando analoga impugnazione sia stata proposta in precedenza dal difensore dello stesso imputato. Premesso che il bilanciamento tra il diritto di difesa e il principio di ragionevole durata del processo deve tener conto dell'intero sistema delle garanzie processuali, per cui rileva esclusivamente la durata del «giusto» processo, quale complessivamente delineato in Costituzione, mentre un processo non «giusto», perché carente sotto il profilo delle garanzie, non è conforme al modello costituzionale, quale che sia la sua durata; e che un incremento di tutela indotto dal dispiegarsi degli effetti della normativa CEDU e della corrispondente giurisprudenza della Corte di Strasburgo certamente non lede gli articoli della Costituzione posti a garanzia degli stessi diritti, ma ne esplicita ed arricchisce il contenuto, innalzando il livello di sviluppo dell'ordinamento nazionale nel settore dei diritti fondamentali; la censurata disposizione viola il diritto alla difesa e al contraddittorio dell'imputato contumace inconsapevole. Infatti, la misura ripristinatoria della rimessione in termini, prescelta dal legislatore, per avere effettività, non può essere «consumata» dall'atto di un soggetto, il difensore (normalmente nominato d'ufficio, in tali casi, stante l'assenza e l'irreperibilità dell'imputato), che non ha ricevuto un mandato ad hoc e che agisce esclusivamente di propria iniziativa. L'esercizio di un diritto fondamentale non può essere sottratto al suo titolare, che può essere sostituito solo nei limiti strettamente necessari a sopperire alla sua impossibilità di esercitarlo e non deve trovarsi di fronte all'effetto irreparabile di una scelta altrui, non voluta e non concordata, potenzialmente dannosa per la sua persona. La Corte, abilitata ad intervenire in materia nei limiti imposti dall'esigenza di tutelare un diritto fondamentale, non può, tuttavia, incidere sulla conformazione del processo contumaciale, che spetta al legislatore. Pertanto, la presente decisione, attenendo alla sola preclusione formale individuata dal diritto vivente e derivante dall'esistenza di una pregressa impugnazione, non modifica i presupposti fissati dalla legge per l'accesso del contumace inconsapevole al meccanismo di garanzia.
E' manifestamente inammissibile, per difetto di rilevanza, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 175, comma 2, cod. proc. pen., impugnato, in riferimento agli artt. 24, 111, primo comma, e 117, primo comma, Cost., nella parte in cui non consente all'imputato restituito nel termine l'esercizio del diritto alla prova. Considerato che il procedimento principale pende davanti al giudice della legittimità, la questione si presenta, infatti, come astratta e prematura: se rimesso nel termine, l'imputato potrà proporre l'acquisizione di nuove prove nel giudizio di merito, ed è in quella sede che potrà eventualmente sorgere il problema dell'esercizio del suo diritto alla prova, asseritamente violato dalla norma censurata.
Va ordinata la restituzione degli atti al giudice rimettente nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 175, comma 2, cod. proc. pen., nonché degli artt. 461, comma 1, e 648, comma 3, cod. proc. pen., censurati, in riferimento all'art. 111, quinto comma, della Costituzione, il primo, nella parte in cui non prevede la restituzione nel termine per proporre opposizione a decreto penale nel caso in cui la mancata conoscenza effettiva del provvedimento sia dovuta a colpa del destinatario, il secondo e il terzo, nella parte in cui fanno decorrere i termini per l'opposizione e per la conseguente irrevocabilità del decreto penale dalla mera notificazione del provvedimento e non già dall'effettiva conoscenza di esso. Infatti, successivamente all'emanazione dell'ordinanza di rimessione, è intervenuto il decreto-legge 21 febbraio 2005, n. 17, convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1 della legge 22 aprile 2005, n. 60, che ha modificato l'art. 175, comma 2, cod. proc. pen., indicando nuovi presupposti per la restituzione nel termine, ditalchè, alla luce di tale sopravvenienza normativa, che incide in modo evidente sull'oggetto del giudizio di costituzionalità, si impone una nuova valutazione circa la rilevanza e la non manifesta infondatezza della questione.
L'inosservanza del termine - coincidente, ex art. 446, primo comma, cod. proc. pen., con la dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado - per formulare, anche a mezzo di procuratore speciale, la richiesta di applicazione della pena, quando sia stata provocata da un evento non evitabile dall'imputato, non puo' determinare l'impossibilita' di adire il rito speciale, altrimenti il diritto di difesa subirebbe un ingiustificato sacrificio. In tale ipotesi, tuttavia, - contro quanto ritenuto dal giudice 'a quo' - non incontra ostacoli interpretativi l'applicazione, quale adeguato strumento di tutela, della "restituzione nel ,termine" di cui all'art. 175 cod.proc.pen., e cio' anche perche' l'istituto della pena concordata, per la sua natura di "pattegiamento sulla pena e sul merito", piu' che di patteggiamento sul rito", non e' incompatibile con la fase dibattimentale, in cui eccezionalmente verrebbe ad inserirsi, conservando anche in tal caso, sia pur parzialmente, la propria efficacia deflattiva. Va pero' anche chiarito che, in ossequio a principi di economia processuale ricavabili dal sistema (artt. 176 e 487 cod.proc.pen.) la richiesta di applicazione della pena, se formulata, nella suddette circostanze, a dibattimento gia' iniziato, deve operare ala luce dell'istruzione svoltasi sino a quel momento, con la conseguenza che sia il consenso delle parti, sia il controllo del giudice dovranno avvenire sulla base del complesso degli atti fino ad allora compiuti. (Non fondatezza, nei sensi di cui in motivazione, della questione di legittimita' costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., degli artt. 487, quinto comma, e 446, primo comma, cod. proc. pen., 'in parte qua'). - Sulla "applicazione della pena" quale "efficiente strumento del diritto di difesa" v., in particolare, S. n. 313/1990 e O. n. 116/1992.