Articolo 538 - CODICE PROCEDURA PENALE
Massime della Corte Costituzionale
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
È dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione degli artt. 3, 24 e 111 Cost., l'art. 538 cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede che il giudice, quando pronuncia sentenza di proscioglimento per la particolare tenuità del fatto, ai sensi dell'art. 131- bis cod. pen., decide sulla domanda per le restituzioni e il risarcimento del danno proposta dalla parte civile, a norma degli artt. 74 e seguenti cod. proc. pen. Il parallelismo tra la regola dell'estinzione del reato per la particolare tenuità del fatto (art. 131- bis cod. pen.) e quella dell'efficacia della relativa sentenza di proscioglimento nel giudizio civile o amministrativo di danno (art. 651- bis cod. proc. pen.) - disvela un deficit di tutela per la parte civile, quando si viene a ragionare della prescrizione processuale dettata dalla disposizione censurata dal Tribunale militare di Roma. L'idoneità dell'istituto ad adempiere pienamente alla sua funzione riparativa senza pregiudizio per l'esercizio dell'azione civile per il risarcimento del danno, trova infatti un limite nella impossibilità, derivante dalla norma suddetta, per il giudice penale di conoscere della domanda restitutoria o risarcitoria formulata dalla parte civile quando, con sentenza resa all'esito del dibattimento, dichiara la non punibilità dell'imputato per la particolare tenuità del fatto; impossibilità che discende dalla qualificazione formale della sentenza, la quale è pur sempre di proscioglimento per estinzione del reato, anche se ha un contenuto positivo di accertamento dei suoi presupposti. E se è vero che nel processo penale l'azione civile assume carattere accessorio e subordinato rispetto all'azione penale, la regola posta dalla disposizione censurata però non è assoluta, ma deflette in varie fattispecie in cui si giustifica, all'opposto, che possa esservi una decisione sui capi civili, vuoi dello stesso giudice penale, vuoi in prosecuzione dell'originario giudizio penale in cui è stata azionata, dalla parte civile, la domanda risarcitoria (o restitutoria). La logica di fondo di tali eccezioni è quella di evitare, finché possibile e compatibile con l'esito del giudizio in ordine all'azione penale, una situazione di absolutio ab instantia in riferimento alla domanda della parte civile e di salvare il procedimento in cui quest'ultima ha promosso la pretesa risarcitoria o restitutoria, senza che la stessa sia gravata dell'onere di promuovere un nuovo giudizio. Al contrario, una risposta di giustizia manca proprio allorché il giudice penale prosciolga l'imputato per la particolare tenuità del fatto, perché in questo caso la regola censurata non consente al medesimo giudice di pronunciarsi anche sulla pretesa risarcitoria o restitutoria della parte civile, in contrasto con il principio di eguaglianza e del diritto alla tutela giurisdizionale, e con il canone della ragionevole durata del processo, a causa dell'arresto del giudizio che ne deriva, quanto alla domanda risarcitoria (o restitutoria). ( Precedenti: S. 176/2019 - mass. 41425; S. 120/2019 - mass. 42379; S. 12/2016 - mass. 38706; O. 279/2017 - mass. 40118 ).
Non è fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 538 cod. proc. pen., sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 Cost., nella parte in cui non consente al giudice di decidere sulla domanda per le restituzioni e il risarcimento del danno, proposta a norma degli artt. 74 e ss. del medesimo codice, quando pronuncia sentenza di assoluzione dell'imputato in quanto non imputabile per vizio totale di mente. Deve essere rilevato, in primo luogo, che l'inserimento dell'azione civile nel processo penale pone in essere una situazione differente rispetto a quella dell'esercizio dell'azione civile nel processo civile, in quanto la prima assume carattere accessorio e subordinato rispetto all'azione penale, in modo da subire tutte le conseguenze e gli adattamenti derivanti dalla funzione e dalla struttura del processo penale. In secondo luogo, secondo giurisprudenza consolidata, è prevalente, nel nuovo codice di rito, l'esigenza di speditezza e sollecita definizione del processo penale, rispetto all'interesse del soggetto danneggiato di esperire la propria azione in tale processo. Ne discende che l'eventuale impossibilità per il danneggiato di partecipare al processo penale non incide né sul suo diritto di difesa né sul suo diritto d'agire in giudizio, restando intatta la possibilità di esercitare l'azione di risarcimento del danno nella diversa sede civile. L'eventuale impossibilità di ottenere il risarcimento del danno laddove il processo penale si concluda con una sentenza di proscioglimento rappresenta, infatti, uno degli elementi dei quali il danneggiato deve tener conto nel quadro della valutazione comparativa dei vantaggi e degli svantaggi delle due azioni esperibili. La scelta di regolare diversamente gli effetti della sentenza di proscioglimento - come nell'ipotesi di vizio totale di mente -, rispetto a quella di condanna, non può ritenersi manifestamente irragionevole ed arbitraria, atteso che trattasi di istituto processuale nella cui conformazione il legislatore fruisce di ampia discrezionalità. Con riferimento, infine, all'asserita violazione del principio di ragionevole durata del processo, deve escludersi che la disposizione censurata comporti una dilatazione dei tempi del processo, non sorretta da alcuna logica esigenza. La preclusione della decisione sulle questioni civili, nel caso di proscioglimento dell'imputato, pur procrastinando la pronuncia definitiva sulla domanda risarcitoria del danneggiato, trova tuttavia giustificazione nel carattere accessorio e subordinato dell'azione civile proposta nell'ambito del processo penale rispetto alle finalità di quest'ultimo. Sulle differenze tra l'esercizio dell'azione civile nel processo penale e l'esercizio dell'azione civile nel processo civile, v., ex plurimis , le citate sentenze nn. 217/2009, 94/1996, 532/1995, 353/1994 e 443/1990. Sull'assetto generale del nuovo processo penale, v., ex plurimis , le citate sentenze nn. 23/2015 e 168/2006. Sulla separazione dell'azione civile dall'ambito del processo penale, v., ex plurimis , le citate sentenze nn. 433/1997 e 192/1991. Sugli effetti della sentenza di assoluzione per vizio totale di mente, v., ex plurimis , le citate sentenze nn. 274/2009 e 85/2008. Sulla discrezionalità del legislatore nella conformazione di istituti processuali, v., ex plurimis , le citate sentenze nn. 64/2014, 216/2013 e 68/1983. Sulle norme che comportano una dilatazione dei tempi del processo, non sorrette da alcuna logica esigenza, v., ex plurimis , le citate sentenze nn. 23/2015, 63/2009, 56/2009 e 148/2005.
Manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale degli artt. da 74 a 88, da 90 a 95, 154, 187 comma 3, 441, commi 2 e 3, 444, comma 2, 451, comma 3, 491, 505, da 538 a 541, e 543 del codice di procedura penale, sollevata in riferimento agli artt. 2, 3, 13 e 111 della Costituzione, nella parte in cui prevedono "la possibilità di azione civile delle parti private nel processo penale". Infatti il rimettente sottopone a scrutinio trentatré articoli del codice di procedura penale di contenuto eterogeneo - tra cui figurano anche disposizioni che non riguardano affatto la questione - senza che tra esse si ravvisi quella reciproca, intima connessione che sola consente di coinvolgere nello scrutinio un intero complesso normativo. - Sulla possibilità di coinvolgere nello scrutinio di costituzionalità un intero complesso normativo v., da ultimo, sentenza n. 156/2001; ordinanze nn. 81 e 286/2001 qui citate.
Manifesta inammissibilita' delle questioni, in quanto le ordinanze di rimessione non consentono di individuare l'esistenza del necessario requisito della rilevanza, mancando ogni precisazione circa l'effettiva forza probatoria delle dichiarazioni della parte civile ai fini del riconoscimento della responsabilita' degli imputati per i fatti di reato a ciascuno di essi addebitato. Inoltre, non vi e' alcun cenno alle caratteristiche del danno (patrimoniale o non patrimoniale, ovvero l'uno e l'altro congiuntamente) oggetto della pretesa civile concretamente esercitata nel processo penale; infine, la denuncia dell'art. 651 cod. proc. pen. - che ha valenza comunque conseguenziale a quella avente ad oggetto la pronuncia del giudice penale sugli interessi civili - non risulta neppure riprodotta nel dispositivo delle ordinanze di rimessione, tanto da rivelare come essa sia stata proposta subordinatamente all'accoglimento della prima questione. - Sulla disposizione dell'art. 651, v. 'ex plurimis', S. n. 443/1990. red.: G. Leo
Manifesta inammissibilita' della questione in quanto lo stesso rimettente da' atto di non avere ancora ammesso la testimonianza della parte civile e pertanto il giudizio di provenienza non si trova nella fase processuale che richiede l'applicazione della norma impugnata. red.: S.P.
La lamentata preclusione alla pronuncia sul capo civile nel caso di sentenza di applicazione della pena emessa dopo la chiusura del dibattimento di primo grado non deriva dalla disposizione dell'art. 538 cod. proc. pen. - secondo cui, quando pronuncia condanna, il giudice decide sulla domanda per le restituzioni e il risarcimento del danno - bensi' dalle specifiche norme (artt. 444, secondo comma, e 448, terzo comma, cod. proc. pen.) che nell'ambito della disciplina dell'istituto dell'applicazione della pena, dettano la censurata 'regula iuris'. (Manifesta inammissibilita' della questione di legittimita' costituzionale, in riferimento all'art. 24 Cost., dell'art. 538 cod. proc. pen.). red.: S.P.