Articolo 83 - CODICE PROCEDURA PENALE
Massime della Corte Costituzionale
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
È dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione dell'art. 3, primo comma, Cost., l'art. 83 cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede che, nel caso di responsabilità civile derivante dall'assicurazione obbligatoria prevista ai fini dell'esercizio dell'attività venatoria, l'assicuratore possa essere citato nel processo penale a richiesta dell'imputato. La disposizione censurata dal Tribunale di Roma realizza un'ingiustificata disparità di trattamento, dal momento che l'imputato assoggettato ad azione risarcitoria nell'ambito del processo penale non può esercitare il detto potere di chiamata dell'assicuratore, riconosciuto invece ove esso fosse convenuto in sede civile con la medesima azione. A fronte di tale disparità di trattamento l'effettività della duplice funzione di garanzia del rapporto assicurativo in esame rischia di rimanere compromessa, a seconda della scelta del danneggiato rispetto alla sede processuale in cui far valere le proprie pretese. ( Precedente: S. 112/1998 - mass. 23818 )
Sono dichiarate non fondate le questioni di legittimità costituzionale - sollevate dal GUP di Bolzano in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost. - dell'art. 83 cod. proc. pen. nella parte in cui non prevede la facoltà dell'imputato di citare in giudizio il proprio assicuratore, quando questo sia responsabile ex lege per danni da attività professionale. La sentenza della Corte n. 112 del 1998 - che ha consentito all'imputato di citare nel processo penale l'assicuratore nel caso di assicurazione obbligatoria della responsabilità civile derivante dalla circolazione di veicoli a motore e dei natanti - non riflette, come supposto dal rimettente, un più ampio principio decisorio, poiché, come precisato con successive pronunce, deve escludersi che la ratio decidendi sia estensibile alla generalità delle ipotesi di responsabilità civile ex lege per fatto altrui. Con riferimento all'assicurazione per la responsabilità civile del notaio connessa all'esercizio dell'attività professionale, pure obbligatoria, il legislatore non si è spinto sino a prevedere la possibilità di un'azione diretta del danneggiato nei confronti dell'assicuratore, elemento che resta dirimente al fine, per un verso, di escludere che la posizione dell'assicuratore possa essere inquadrata nel paradigma del responsabile civile ex lege, quale delineato dall'art. 185, secondo comma, cod. pen., e, per altro verso, di attribuire correlativamente alla pronuncia additiva richiesta la valenza di innovazione sistematica, riservata alla discrezionalità del legislatore. ( Precedenti citati: sentenze n. 75 del 2001 e n. 112 del 1998; ordinanza n. 300 del 2004 ).
È inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 83 cod. proc. pen. e del d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, impugnati, in riferimento all'art. 3 Cost., nella parte in cui non prevedono che nel processo penale le persone offese possono chiedere agli enti il risarcimento dei danni subiti per il comportamento dei loro dipendenti. L'ordinanza di rimessione censura l'intero testo normativo recante la disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica, senza individuare la disposizione asseritamente lesiva del principio di uguaglianza e non indica l'intervento additivo da adottare per eliminare la denunciata illegittimità costituzionale. La questione muove, infine, dall'erroneo presupposto interpretativo secondo cui l'art. 83, comma 1, cod. proc. pen. non consentirebbe la citazione dell'ente come responsabile civile. Contrariamente a quanto ritiene il rimettente, infatti, l'illecito di cui l'ente è chiamato a rispondere ai sensi del d.lgs. n. 231 del 2001 non coincide con il reato commesso dalla persona fisica, sicché quest'ultima e l'ente non possono qualificarsi come coimputati nel medesimo reato; in base alla disposizione indicata, inoltre, intesa nel suo corretto significato, la citazione dell'imputato come responsabile civile per il fatto dei coimputati non è esclusa prima del suo proscioglimento, ma è ammessa sotto condizione, nel senso che produce effetto solo nel caso in cui l'imputato venga prosciolto od ottenga una sentenza di non luogo a procedere. Sotto entrambi i profili indicati, pertanto, l'art. 83, comma 1, cod. proc. pen. non costituisce un impedimento alla citazione dell'ente come responsabile civile. - Con riferimento all'onere gravante sul rimettente di individuare, all'interno di un determinato corpo normativo, la norma o la parte di essa che determinerebbe la lamentata lesione dei parametri costituzionali evocati, v., ex plurimis , le citate ordinanze nn. 21/2003, 337/2002 e 97/2000. - Sulla inammissibilità delle questioni per generica e incerta formulazione del petitum , v., ex plurimis , le seguenti citate pronunce: sentenze nn. 60/2014 e 16/2011; ordinanze nn. 318/2013 e 113/2012. - Sulla erroneità del presupposto interpretativo quale causa di inammissibilità della questione, v. le citate sentenze nn. 249/2011 e 125/2009.
Nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 83, primo comma , cod. proc. pen., in combinato disposto con l'art. 1917, secondo comma, cod. civ., deve essere rigettata l'eccezione di inammissibilità formulata dalla difesa erariale, sulla base del rilievo che il rimettente non avrebbe valutato che l'assicuratore della responsabilità civile verso terzi non può essere chiamato nel processo penale, ai sensi dell'art. 83 cod. proc. pen., allorché l'obbligazione risarcitoria trovi la sua fonte in un contratto liberamente stipulato tra le parti e non in un obbligo di legge. Invero, il giudice a quo censura proprio il fatto che, secondo l'ordinamento vigente, non sia possibile citare come responsabile civile l'assicuratore del datore di lavoro e chiede alla Corte una pronuncia che renda possibile una simile citazione.
Nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 83, primo comma , cod. proc. pen., in combinato disposto con l'art. 1917, secondo comma, cod. civ., deve essere rigettata l'eccezione di inammissibilità formulata dalla difesa erariale, sulla base del rilievo che il rimettente non avrebbe esplorato la possibilità di un'interpretazione alternativa dell'art. 1917, secondo comma, cod. civ., alla stregua della quale le facoltà di pagamento diretto previste da quest'ultima norma possano sopravvivere al fallimento dell'assicurato. Invero, il giudice a quo censura la norma perché non prevede, una volta intervenuto il fallimento del datore di lavoro, l'azione diretta del lavoratore danneggiato contro l'assicuratore e, quindi, chiede un'ulteriore e diversa modalità di pagamento diretto tra quelle previste dalla suddetta disposizione del codice civile.
È infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 83, comma 1, c.p.p., in combinato disposto con l'art. 1917, secondo comma, c.c., sollevata in riferimento all'art. 3, secondo comma, della Costituzione, nella parte in cui, intervenuto il fallimento del datore di lavoro, non consente l'autorizzazione alla citazione, nel processo penale, come responsabile civile, dell'assicuratore della responsabilità civile del datore di lavoro in forza di contratto di assicurazione facoltativo, stante la disparità di trattamento con situazioni analoghe nelle quali, invece, è prevista l'azione diretta del danneggiato nei confronti dell'assicuratore (art. 18, primo comma, della legge 24 dicembre 1969, n. 990) o del creditore contro il debitore del proprio debitore (art. 1676 cod. civ.; artt. 23, terzo comma, e 29, secondo comma, d.lgs. n. 276 del 2003). Il rimettente, infatti, ha indicato, quali tertia comparationis , delle disposizioni che regolano fattispecie di carattere eccezionale e che si fondano su rationes specifiche non comparabili con il caso di specie. Inoltre, per costante giurisprudenza della Corte, sono inidonee a fungere da tertia comparationis norme a loro volta derogatorie di principi generali. - Sull'inidoneità di norme derogatorie di principi generali a fungere da tertia comparationis , vedi, citate, sentenza n. 295/1995; ordinanza n. 109/2006.
È infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 83, comma 1, c.p.p., in combinato disposto con l'art. 1917, secondo comma, c.c., sollevata in riferimento agli artt. 32, primo comma e 35, primo comma, della Costituzione, nella parte in cui, intervenuto il fallimento del datore di lavoro, non consente l'autorizzazione alla citazione, nel processo penale, come responsabile civile, dell'assicuratore della responsabilità civile del datore di lavoro in forza di contratto di assicurazione facoltativo, stante la rilevanza prioritaria, in caso di infortunio sul lavoro, del diritto al ristoro del danno all'integrità personale rispetto allo stesso diritto al lavoro. Invero, come la Corte ha già affermato, il principio enunciato dal primo comma dell'art. 35 Cost. nulla aggiunge alle dichiarazioni risultanti dall'art. 1 della Costituzione, nonché dal secondo comma dell'art. 3 e dell'art. 4, primo comma, collocato com'e' all'inizio del titolo III, solo come funzione introduttrice delle disposizioni che entrano a far parte di questo. Esso vuole, cioè, non già determinare i modi e le forme della tutela del lavoro, ma solo enunciare il criterio ispiratore comune alle disposizioni stesse, delle quali ultime esclusivamente sono poi da ritrovare le specificazioni degli oggetti della tutela che si vuole accordare. Non è perciò pertinente riferirsi a tale parametro per sostenere l'illegittimità della norma denunziata. Ad analoghe conclusioni deve giungersi riguardo la violazione dell'art. 32, primo comma, poiché il credito che il datore di lavoro vanta nei confronti dell'assicuratore è estraneo alla tutela del diritto all'integrità fisica del lavoratore. -Sul principio enunciato dall'art. 35, primo comma, della Costituzione, vedi, citate, sentenze n. 2/1986 e n. 22/1967.
È infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 83, comma 1, c.p.p., in combinato disposto con l'art. 1917, secondo comma, c.c., sollevata in riferimento agli artt. 24 e 111 della Costituzione, nella parte in cui, intervenuto il fallimento del datore di lavoro, non consente l'autorizzazione alla citazione, nel processo penale, come responsabile civile, dell'assicuratore della responsabilità civile del datore di lavoro in forza di contratto di assicurazione facoltativo, perché, non consentendo l'art. 1917, comma secondo, cod. civ. l'azione diretta del danneggiato nei confronti dell'assicuratore, si determinerebbe un allungamento dei tempi processuali; si tratta, infatti, di mera affermazione che costituisce una petizione di principio ed anzi contrastata dalla constatazione che la previsione dell'azione diretta contro l'assicuratore sarebbe soggetta all'ordinario rito civile, senza l'applicazione di alcuna speciale disposizione acceleratoria del processo. Né sussiste l'ulteriore violazione dell'art. 24, primo e secondo comma, della Costituzione - sul rilievo che sarebbe altresì precluso al danneggiato di provocare nel processo penale o nella procedura fallimentare un'iniziativa del fallimento volta a favorire il risarcimento diretto da parte dell'assicuratore ex art. 1917, secondo comma, cod. civ. - trattandosi di preclusione non riconducibile alla norma censurata, bensì alle diverse norme che regolano la procedura fallimentare.
Manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale, sollevata in riferimento agli artt. 3, 24 e 97 della Costituzione, dell?art. 83 del codice di procedura penale, nella parte in cui non riconosce all?imputato la facoltà di chiedere la citazione del responsabile civile allorché si tratti di responsabile civile ?ex lege? in base alla normativa in materia di infortuni sul lavoro e di previdenza sociale, ovvero in forza dell?art. 28 della Costituzione. La responsabilità civile dello Stato e degli enti pubblici per fatti dei dipendenti, prevista dall?art. 28 della Costituzione, infatti, assolve ad una funzione di tutela nei confronti del solo danneggiato e non anche del danneggiante, sicché l?invocata facoltà di citazione dell?ente di appartenenza, quale responsabile civile, da parte del dipendente-imputato non potrebbe trovare giustificazione in un rapporto interno di ?garanzia? tra i due soggetti. Né l?esistenza di tale rapporto interno di ?garanzia?può desumersi tra l?imputato-danneggiante e l?istituto per l?assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali; anzi, all?istituto assicuratore è riconosciuto il diritto di regresso contro le persone civilmente responsabili. - V. sentenze citate nn. 112/1998 e 75/2001.
Manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale degli artt. da 74 a 88, da 90 a 95, 154, 187 comma 3, 441, commi 2 e 3, 444, comma 2, 451, comma 3, 491, 505, da 538 a 541, e 543 del codice di procedura penale, sollevata in riferimento agli artt. 2, 3, 13 e 111 della Costituzione, nella parte in cui prevedono "la possibilità di azione civile delle parti private nel processo penale". Infatti il rimettente sottopone a scrutinio trentatré articoli del codice di procedura penale di contenuto eterogeneo - tra cui figurano anche disposizioni che non riguardano affatto la questione - senza che tra esse si ravvisi quella reciproca, intima connessione che sola consente di coinvolgere nello scrutinio un intero complesso normativo. - Sulla possibilità di coinvolgere nello scrutinio di costituzionalità un intero complesso normativo v., da ultimo, sentenza n. 156/2001; ordinanze nn. 81 e 286/2001 qui citate.