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Pronuncia 364/2002

Sentenza

Collegio

composta dai signori: Presidente: Cesare RUPERTO; Giudici: Riccardo CHIEPPA, Gustavo ZAGREBELSKY, Valerio ONIDA, Carlo MEZZANOTTE, Fernanda CONTRI, Guido NEPPI MODONA, Piero Alberto CAPOTOSTI, Annibale MARINI, Franco BILE, Giovanni Maria FLICK, Francesco AMIRANTE, Ugo DE SIERVO, Romano VACCARELLA;

Epigrafe

ha pronunciato la seguente nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. da 74 a 88, da 90 a 95, 154, 187, comma 3, 441, commi 2 e 3, 444, comma 2, 451, comma 3, 491, 505, da 538 a 541, 543 del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 13 luglio 2001 dal Tribunale di Roma nel procedimento penale a carico di D.M.A. ed altra, iscritta al n. 883 del registro ordinanze 2001 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 44, 1ª serie speciale, dell'anno 2001. Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; Udito nella camera di consiglio del 22 maggio 2002 il giudice relatore Giovanni Maria Flick. Ritenuto che, con ordinanza emessa il 13 luglio 2001, il Tribunale di Roma - chiamato a pronunciarsi sulla richiesta di esclusione della parte civile, formulata dal pubblico ministero e dagli imputati nel corso di un processo penale nei confronti di persone imputate dei reati di lesioni personali e di detenzione e porto illecito di armi - ha sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3, 13 e 111 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. da 74 a 88, da 90 a 95, 154, 187 comma 3, 441, commi 2 e 3, 444, comma 2, 451, comma 3, 491, 505, da 538 a 541, e 543 del codice di procedura penale, nella parte in cui prevedono "la possibilità di azione civile delle parti private nel processo penale"; che ad avviso del rimettente, le norme impugnate contrasterebbero con i principi del "giusto processo", di cui all'art. 111 Cost., a fronte dei quali il processo deve tradursi in un "duello ad armi e forze pari"; che l'intervento nel processo penale di una parte ulteriore, che mira a realizzare "interessi morali e civilistici", provocherebbe, infatti, uno "sbilanciamento" a favore dell'accusa, potendo generare nel giudice una "pressione inconscia" - correlata all'aspirazione a rendere comunque giustizia alla vittima del reato - tale da compromettere la serenità e la correttezza della decisione: e ciò tanto più in un sistema processuale come quello italiano, che ammette decisioni su base indiziaria e nel quale la valutazione della convergenza e della forza degli indizi non si fonda "su un criterio rigorosamente scientifico"; che l'imparzialità e la terzietà del giudice sarebbero assicurate solo da un sistema rigorosamente "binario" di parti che contendano in via esclusiva sul tema della responsabilità penale: tema che, nella cornice della Costituzione, assume un rilievo prioritario rispetto alla salvaguardia dei diritti delle parti private, in quanto incidente sulla libertà fisica e morale dell'individuo; che, al riguardo, verrebbero segnatamente in rilievo gli artt. 2 e 13 Cost., e soprattutto l'art. 3 Cost., che impone di rimuovere gli ostacoli che di fatto limitano la libertà dei cittadini, tutti avendo poi l'eguale diritto, ove imputati, di accedere ad un processo rapido e ad armi pari con l'accusa; che l'inserimento dell'azione civile in un processo di tipo accusatorio - introducendo un nuovo thema decidendum, ampliando l'ambito delle prove e rendendo necessari ulteriori adempimenti processuali (quali notifiche ed avvisi) - comprometterebbe, inoltre, i principi di economia, concentrazione e celerità del processo stesso; che nel giudizio di costituzionalità è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, il quale ha chiesto che la questione sia dichiarata inammissibile o infondata. Considerato che il tribunale rimettente sottopone a scrutinio di costituzionalità trentatré articoli del codice di procedura penale di contenuto eterogeneo; che, in prevalenza, si tratta di disposizioni concernenti l'esercizio dell'azione civile nel processo penale: disposizioni che peraltro, da un lato, si riferiscono anche a profili privi di qualsiasi attinenza con la decisione che il rimettente è chiamato ad assumere nel giudizio a quo; e, dall'altro lato, non coprono l'intero ventaglio delle disposizioni del codice di rito concernenti la predetta azione; che tra le norme impugnate figurano, tuttavia, anche disposizioni che non riguardano affatto la tematica dianzi indicata, ma ineriscono in via esclusiva alla persona offesa dal reato e agli enti ed associazioni rappresentativi di interessi lesi dal reato (artt. da 90 a 95, e 505 cod. proc. pen.): soggetti, questi, ben distinti, nella sistematica del codice, dalla parte civile; che, pertanto, non è dato ravvisare, tra le norme impugnate, quella reciproca, intima connessione che sola consente, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, di coinvolgere nello scrutinio di costituzionalità un intero complesso normativo (cfr., ex plurimis, sentenza n. 156 del 2001; ordinanze nn. 81 e 286 del 2001); che d'altra parte - come correttamente rilevato dall'Avvocatura dello Stato - il quesito di costituzionalità si risolve, nella sostanza, in una mera critica, a livello di politica giudiziaria, di una scelta "di sistema" (quella del possibile cumulo) operata dal legislatore, nell'esercizio della sua discrezionalità, in tema di rapporti fra azione civile e azione penale relative al medesimo fatto: scelta che il rimettente vorrebbe veder sostituita da una soluzione di tipo diverso, in assunto preferibile (quella della separazione assoluta); che, sotto entrambi i profili, la questione deve essere dunque dichiarata manifestamente inammissibile. Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

Dispositivo

per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE Dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale degli artt. da 74 a 88, da 90 a 95, 154, 187 comma 3, 441, commi 2 e 3, 444, comma 2, 451, comma 3, 491, 505, da 538 a 541, e 543 del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 2, 3, 13 e 111 della Costituzione, dal Tribunale di Roma con l'ordinanza in epigrafe. Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 luglio 2002. Il Presidente: Ruperto Il redattore: Flick Il cancelliere:Di Paola Depositata in cancelleria il 18 luglio 2002. Il direttore della cancelleria:Di Paola

Relatore: Giovanni Maria Flick

Data deposito:

Tipologia: O

Presidente: RUPERTO

Massime

Processo penale - Azione civile - Possibilità di esercizio per le parti private - Asserita lesione del principio del giusto processo, del principio di eguaglianza e di quelli di economia e di celerità processuale - Questione sollevata in riferimento a una serie di norme di contenuto eterogeneo non rilevanti, sotto alcuni profili, per il giudizio 'a quo' - Manifesta inammissibilità.

Manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale degli artt. da 74 a 88, da 90 a 95, 154, 187 comma 3, 441, commi 2 e 3, 444, comma 2, 451, comma 3, 491, 505, da 538 a 541, e 543 del codice di procedura penale, sollevata in riferimento agli artt. 2, 3, 13 e 111 della Costituzione, nella parte in cui prevedono "la possibilità di azione civile delle parti private nel processo penale". Infatti il rimettente sottopone a scrutinio trentatré articoli del codice di procedura penale di contenuto eterogeneo - tra cui figurano anche disposizioni che non riguardano affatto la questione - senza che tra esse si ravvisi quella reciproca, intima connessione che sola consente di coinvolgere nello scrutinio un intero complesso normativo. - Sulla possibilità di coinvolgere nello scrutinio di costituzionalità un intero complesso normativo v., da ultimo, sentenza n. 156/2001; ordinanze nn. 81 e 286/2001 qui citate.