Pronuncia 398/1999

Sentenza

Collegio

composta dai signori: Presidente: dott. Renato GRANATA; Giudici: prof. Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof. Cesare MIRABELLI, prof. Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI, dott. Cesare RUPERTO, dott. Riccardo CHIEPPA, prof. Gustavo ZAGREBELSKY, prof. Valerio ONIDA, prof. Carlo MEZZANOTTE, prof. Guido NEPPI MODONA, prof. Piero Alberto CAPOTOSTI, prof. Annibale MARINI;

Epigrafe

ha pronunciato la seguente nel giudizio di ammissibilità del conflitto tra poteri dello Stato sorto a seguito delle modifiche al codice di procedura civile relative alla proponibilità delle domande giudiziali al Pretore, in funzione di giudice del lavoro, subordinatamente all'espletamento del tentativo obbligatorio di conciliazione, promosso dal Pretore di Brescia, con ricorso depositato il 30 marzo 1999 ed iscritto al n. 114 del registro ammissibilità conflitti. Udito nella camera di consiglio del 29 settembre 1999 il Giudice relatore Cesare Ruperto. Ritenuto che il Pretore di Brescia, in funzione di giudice del lavoro, con ordinanza emessa al di fuori di un processo il 25 marzo 1999, ha sollevato conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti del Consiglio dei ministri, in relazione all'art. 69, comma 3, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29 (Razionalizzazione dell'organizzazione delle amministrazioni pubbliche e revisione della disciplina in materia di pubblico impiego, a norma dell'art. 2 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), come modificato dall'art. 19 del decreto legislativo 29 ottobre 1998, n. 387 (Ulteriori disposizioni integrative e correttive del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, e successive modificazioni, e del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80), nonché all'art. 412-bis, terzo comma, del codice di procedura civile, come modificato dal comma 9 dello stesso art. 19 del decreto legislativo n. 387 del 1998, i quali - là dove condizionano, a giudizio del ricorrente, la stessa proponibilità (e non già, come prima di tali modifiche, la mera procedibilità) delle domande giudiziali in materia di lavoro al decorso del termine, rispettivamente di novanta e sessanta giorni, dalla data di proposizione del tentativo obbligatorio di conciliazione - lederebbero le sue attribuzioni costituzionali di Pretore in funzione di giudice del lavoro, creando un ostacolo temporale all'esercizio del diritto dell'interessato e rendendo quindi disagevole la tutela giurisdizionale; che, ad avviso del ricorrente - il quale sottolinea che sul suo ruolo sono pendenti molte controversie instaurate dopo l'entrata in vigore delle disposizioni contestate - "qualsiasi limitazione incongrua al pieno esercizio del diritto alla tutela giurisdizionale non solo determina la violazione dell'art. 24 Cost., ma è, altresì, idonea a causare anche una lesione delle attribuzioni dell'Autorità giudiziaria", essendo peraltro "assai difficile, se non (forse) impossibile" sollevare in via incidentale questione di legittimità costituzionale delle richiamate norme "che non eliminano la tutela giurisdizionale, ma solo ne rendono possibile l'esercizio dopo il decorso del termine legale che determina l'espletamento del tentativo obbligatorio di conciliazione"; che, in conseguenza, dette disposizioni di legge sarebbero: a) viziate da difetto di competenza del Consiglio dei ministri, per violazione degli artt. 76 e 77, primo comma, della Costituzione, avendo il Governo "esercitato la funzione legislativa oltre i limiti, criteri e principi - valutati nel loro complesso, come risultanti dall'insieme delle relative norme delle leggi n. 421 del 1992 e n. 59 del 1997 - fissati nella delega, non rispettando il criterio che gli imponeva di regolare il tentativo obbligatorio quale condizione di procedibilità e non di proponibilità"; b) lesive dell'art. 24 della Costituzione, in quanto, "a fronte di una scelta legislativa che ha regolato il processo del lavoro in modo tale da imporre (o, quantomeno, consentire) la definizione del giudizio entro un termine fisiologico di circa sessanta giorni dalla data del deposito del ricorso, l'imposizione del decorso del termine legale di espletamento del tentativo di conciliazione, fissato in sessanta/novanta giorni, ai fini della proponibilità della domanda giudiziale, si pone come abnormemente defatigatorio e lo sarebbe, comunque, anche se il termine fosse di un solo giorno, perché evidentemente incompatibile con le regole processuali dirette a determinare una rapida definizione delle cause dinanzi al giudice del lavoro"; c) lesive dell'art. 3 della Costituzione, in quanto, "mentre non (sono) idonee a rendere più efficace il tentativo di conciliazione obbligatorio, quale strumento deflazionistico del contenzioso giudiziario - perché non sono state introdotte innovazioni, di struttura e di sostanza, tali da rendere il tentativo preprocessuale più vantaggioso per le parti interessate e tali da non farlo considerare come mero adempimento burocratico -, sicuramente crea(no) un ostacolo temporale all'esercizio del diritto, rendendo disagevole la tutela giurisdizionale, in danno della parte più debole e, comunque, di quella più interessata alla rapida definizione della controversia dinanzi al giudice del lavoro"; che, in via pregiudiziale, il ricorrente dichiara di sollevare questione di legittimità costituzionale dell'art. 69, comma 3, del decreto legislativo n. 29 del 1993, come modificato dall'art. 19 del decreto legislativo n. 387 del 1998, nonché dell'art. 412-bis, terzo comma, cod. proc. civ., come modificato dall'art. 19, comma 9, del decreto legislativo n. 387 del 1998, "nelle rispettive parti che condizionano la proponibilità delle domande giudiziali al decorso del termine (rispettivamente di novanta e sessanta giorni) dalla data di proposizione del tentativo obbligatorio di conciliazione", per violazione degli artt. 3, 24, 76 e 77, primo comma, della Costituzione; che, in conseguenza, chiede a questa Corte di sospendere il giudizio di ammissibilità del ricorso per conflitto e di rimettere davanti a sé la questione pregiudizialmente sollevata. Considerato che, a norma dell'art. 37, terzo e quarto comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, questa Corte è chiamata a deliberare in camera di consiglio e senza contraddittorio sull'ammissibilità del ricorso, accertando se esiste la materia di un conflitto la cui risoluzione spetti alla sua competenza; che l'art. 69, comma 3, del decreto legislativo n. 29 del 1993 e l'art. 412-bis, terzo comma, cod. proc. civ., come modificati dall'art. 19 del decreto legislativo n. 387 del 1998, sono palesemente inidonei per il loro contenuto a ledere la sfera delle attribuzioni costituzionali del giudice, recando una disciplina che riguarda unicamente le modalità di esercizio dell'azione e, dunque, interessando solo il diritto di difesa delle parti (la cui prospettata violazione viene a torto assunta come necessariamente menomativa di tali attribuzioni); che in realtà il Pretore di Brescia, con un'ordinanza emessa fuori dall'a'mbito d'un processo, tende ad ottenere surrettiziamente la declaratoria d'illegittimità costituzionale di detta normativa, sollevando in via pregiudiziale una questione concernente invece l'oggetto stesso del conflitto, laddove egli avrebbe correttamente dovuto utilizzare a tal fine - non potendosene di certo escludere l'attivabilità in concreto - lo strumento del giudizio incidentale nei processi (a suo dire già) instaurati davanti a lui dopo l'entrata in vigore delle disposizioni contestate; che, pertanto, il conflitto è inammissibile.

Dispositivo

per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE Dichiara inammissibile, ai sensi dell'art. 37 della legge 11 marzo 1953, n. 87, il conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, proposto dal Pretore di Brescia nei confronti del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe. Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 ottobre 1999. Il Presidente: Granata Il redattore: Ruperto Il cancelliere: Di Paola Depositata in cancelleria il 22 ottobre 1999. Il direttore della cancelleria: Di Paola

Relatore: Cesare Ruperto

Data deposito: Fri Oct 22 1999 00:00:00 GMT+0000 (Coordinated Universal Time)

Tipologia: O

Presidente: GRANATA

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Massime

ORD. 398/99. LAVORO (CONTROVERSIE IN MATERIA DI) - DOMANDA GIUDIZIALE - CONDIZIONI - MODIFICHE DELLA NORMATIVA VIGENTE - PROPONIBILITA' DELLA DOMANDA NON PRIMA CHE SIA DECORSO IL TERMINE DI SESSANTA GIORNI (PER IL RAPPORTO DI LAVORO PRIVATO) E DI NOVANTA GIORNI (PER QUELLO PUBBLICO) DALLA PROMOZIONE DEL PRESCRITTO TENTATIVO DI CONCILIAZIONE - CONFLITTO DI ATTRIBUZIONI TRA POTERI DELLO STATO SOLLEVATO DAL PRETORE DI BRESCIA NEI CONFRONTI DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, IN RELAZIONE ALLE SUDDETTE DISPOSIZIONI, PER LA RITENUTA NON SPETTANZA AL GOVERNO DEL POTERE DI INSERIRLE, IN QUANTO IRRAGIONEVOLMENTE LESIVE DEL DIRITTO DEI LAVORATORI DI AGIRE IN GIUDIZIO E DI PRINCIPI DELLA LEGGE DI DELEGA, NEI DECRETI LEGISLATIVI IN CUI SONO CONTENUTE - NON INCIDENZA DELLE CONTESTATE NORME SULLE ATTRIBUZIONI COSTITUZIONALI DELL'AUTORITA' RICORRENTE - CONSEGUENTE INSUSSISTENZA, NEL CASO, DELLA MATERIA DI CONFLITTO DI COMPETENZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE - INAMMISSIBILITA' DEL CONFLITTO E CON ESSO DELLA CONTESTUALE RICHIESTA PREGIUDIZIALE DEL RICORRENTE PER LA PROMOZIONE, DA PARTE DELLA CORTE, AL RIGUARDO, DI UNA QUESTIONE DI LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE IN VIA INCIDENTALE.

Nell'esame delibativo previsto dall'art. 37, commi terzo e quarto, della legge 11 marzo 1953, n. 87, il conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sollevato dal Pretore di Brescia, con ordinanza emessa al di fuori del processo, nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri, in relazione alle disposizioni, in materia di controversie di lavoro, dell'art. 69, comma 3, del d.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29 (come modificato dall'art. 19 del d.lgs. 29 ottobre 1998, n. 387) e dell'art. 412-bis, comma terzo, cod. proc. pen. (come modificato dal comma 9 dello stesso art. 19 del d.lgs. n. 387 del 1998) nelle parti in cui condizionano, a giudizio del ricorrente, la stessa proponibilita' (e non gia', come prima di dette modifiche e come previsto dall'art. 2, comma 1, lett. c) della legge di delega 23 ottobre 1992, n. 421, la mera procedibilita') delle domande giudiziali al decorso del termine, rispettivamente di sessanta giorni (per il rapporto di lavoro privato) e di novanta giorni (per quello pubblico) dalla promozione, presso le competenti sedi, del prescritto tentativo di conciliazione, deve essere dichiarato, per l'accertata inesistenza della materia di un conflitto (art. 37, quarto comma, citato) la cui risoluzione spetti alla competenza della Corte costituzionale, inammissibile. Le contestate norme - che, secondo il Pretore, in quanto lesive, per la limitazione temporale da esse posta all'esercizio del diritto del lavoratore, degli artt. 24 e 3, nonche' - in relazione ai su richiamati principi della legge di delega - degli artt. 76 e 77 Cost., non avrebbero potuto essere incluse dal Governo nei decreti legislativi dallo stesso emanati - sono infatti palesemente inidonee, per il loro contenuto, a ledere la sfera delle attribuzioni costituzionali del giudice, giacche' recano una disciplina che riguarda unicamente le modalita' dell'esercizio dell'azione e, dunque, interessano solo il diritto di difesa delle parti, la cui prospettata violazione viene a torto assunta come necessariamente menomativa di tali attribuzioni. Mentre e' chiaro che il ricorrente, nel chiedere alla Corte, nella stessa ordinanza-ricorso con cui ha avviato il conflitto, di sollevare a sua volta, in via pregiudiziale, in riferimento ai su richiamati parametri, nei confronti delle suddette norme, una questione di legittimita' costituzionale - concernente peraltro l'oggetto stesso del conflitto - tende solo ad ottenere surrettiziamente una declaratoria di illegittimita' costituzionale di detta normativa, laddove, a tal fine, ben avrebbe potuto utilizzare - non potendosene di certo escludere l'attivabilita' in concreto - il normale strumento del giudizio incidentale nel corso dei processi (a suo dire gia') instaurati davanti a lui.

Norme citate