Procedimento civile - Arbitrato - Rapporti tra arbitrato rituale e processo ordinario - Inapplicabilità dell'art. 50 c.p.c., che permette la prosecuzione del processo mediante riassunzione davanti al giudice competente - Conseguente impossibilità di conservazione degli effetti processuali e sostanziali della domanda giudiziale proposta dinanzi al giudice ordinario poi dichiaratosi incompetente in relazione ad una clausola compromissoria - Violazione del diritto di difesa - Violazione dei principi del giusto processo - Illegittimità costituzionale in parte qua - Assorbimento di ulteriore questione.
È costituzionalmente illegittimo, per violazione degli artt. 3, 24 e 111 Cost., l'art. 819- ter , secondo comma, cod. proc. civ., nella parte in cui esclude l'applicabilità, ai rapporti tra arbitrato e processo, di regole corrispondenti all'articolo 50 cod. proc. civ., così determinando, in caso di pronuncia del giudice ordinario di diniego della propria competenza a favore di quella dell'arbitro (o anche nell'ipotesi inversa), l'impossibilità di far salvi gli effetti sostanziali e processuali dell'originaria domanda proposta dall'attore davanti al giudice ordinario (oppure all'arbitro, nel caso opposto). Gli artt. 24 e 111 Cost. attribuiscono all'intero sistema giurisdizionale la funzione di assicurare, attraverso il giudizio, la tutela dei diritti soggettivi e degli interessi legittimi ed impongono che la disciplina dei rapporti tra giudici appartenenti ad ordini diversi si ispiri al principio secondo cui l'individuazione del giudice munito di giurisdizione non deve sacrificare il diritto delle parti ad ottenere una risposta, affermativa o negativa, in ordine al bene della vita oggetto della loro contesa. A ciò consegue, tra l'altro, la necessità della conservazione degli effetti, sostanziali e processuali, della domanda nel caso in cui la parte erri nell'individuazione del giudice munito della giurisdizione. Tali principi vanno applicati anche ai rapporti tra arbitri e giudici, perché la possibilità che le parti affidino la risoluzione delle loro controversie a privati invece che a giudici è la conseguenza di specifiche previsioni dell'ordinamento. Del resto, sia dalla giurisprudenza costituzionale sia dalla disciplina positiva dell'arbitrato risultante dalla riforma attuata con il d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, si desume che il legislatore, nell'esercizio della propria discrezionalità in materia, ha strutturato l'ordinamento processuale in maniera tale da configurare l'arbitrato come una modalità di risoluzione delle controversie alternativa a quella giudiziale. È, pertanto, necessario che l'ordinamento giuridico preveda anche misure idonee ad evitare che tale scelta abbia ricadute negative per i diritti oggetto delle controversie stesse. Una di queste misure è sicuramente quella diretta a conservare gli effetti sostanziali e processuali prodotti dalla domanda proposta davanti al giudice o all'arbitro incompetenti, la cui necessità, ai sensi dell'art. 24 Cost., sembra porsi alla stessa maniera, tanto se la parte abbia errato nello scegliere tra giudice ordinario e giudice speciale, quanto se essa abbia sbagliato nello scegliere tra giudice e arbitro. La norma censurata, invece, non consentendo l'applicabilità dell'art. 50 cod. proc. civ., impedisce che la causa possa proseguire davanti all'arbitro o al giudice competenti e, conseguentemente, preclude la conservazione degli effetti processuali e sostanziali della domanda. - Sul principio secondo cui gli artt. 24 e 111 Cost. impongono si informare la disciplina dei rapporti tra giudici appartenenti ad ordini diversi al principio in base al quale l'individuazione del giudice munito di giurisdizione non deve sacrificare il diritto delle parti ad ottenere una risposta, affermativa o negativa, in ordine al bene della vita oggetto della loro contesa: sentenza n. 77 del 2007. - Per l'affermazione del principio secondo cui anche dalla disciplina positiva dell'arbitrato risultante dalla riforma attuata con il d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, si desume che il legislatore ha strutturato l'ordinamento processuale in maniera tale da configurare l'arbitrato come una modalità di risoluzione delle controversie alternativa a quella giudiziale: sentenza n. 376 del 2001.