Pronuncia 152/2016

Sentenza

Collegio

composta dai signori: Presidente: Paolo GROSSI; Giudici : Alessandro CRISCUOLO, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Giulio PROSPERETTI,

Epigrafe

ha pronunciato la seguente nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 96, comma 3, del codice di procedura civile, promosso dal Tribunale ordinario di Firenze nel procedimento vertente tra G.A.L.A. di Massimo Lari sas e la Banca Sai spa Capogruppo bancario Banca Sai, con ordinanza del 16 dicembre 2014, iscritta al n. 331 del registro ordinanze 2015 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 1, prima serie speciale, dell'anno 2016. Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; udito nella camera di consiglio del 1° giugno 2016 il Giudice relatore Mario Rosario Morelli.

Dispositivo

per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 96, terzo comma, del codice di procedura civile, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Firenze, con l'ordinanza indicata in epigrafe. Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 1° giugno 2016. F.to: Paolo GROSSI, Presidente Mario Rosario MORELLI, Redattore Roberto MILANA, Cancelliere Depositata in Cancelleria il 23 giugno 2016. Il Direttore della Cancelleria F.to: Roberto MILANA

Relatore: Mario Rosario Morelli

Data deposito: Thu Jun 23 2016 00:00:00 GMT+0000 (Coordinated Universal Time)

Tipologia: S

Presidente: GROSSI

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Massime

Procedimento civile - Liti temerarie - Possibilità che il giudice, anche d'ufficio, in sede di pronuncia sulle spese, condanni la parte soccombente al pagamento di una somma equitativamente determinata a favore della controparte - Asserita irragionevolezza ed arbitrarietà per la mancata devoluzione della somma a favore dell'Erario - Insussistenza - Scelta discrezionale del legislatore non irragionevole - Non fondatezza della questione.

Non è fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 96, terzo comma, cod. proc. civ., impugnato, in relazione agli artt. 3, 24 e 111 Cost., in quanto stabilisce che, in ogni caso, quando pronuncia sulle spese ai sensi dell'art. 91, il giudice, anche d'ufficio, può condannare il soccombente al pagamento di una somma equitativamente determinata a favore della controparte, anziché dell'Erario. Introducendo tale disposizione, la legge n. 69 del 2009 ha constatato che l'istituto della responsabilità aggravata (regolato nei primi due commi dell'art. 96), pur rappresentando in astratto un serio deterrente nei confronti delle liti temerarie e, quindi, uno strumento efficace di deflazione del contenzioso, nella prassi applicativa risultava scarsamente utilizzato a causa dell'oggettiva difficoltà della parte vittoriosa di provare il danno derivante dall'illecito processuale. La previsione de qua ha natura non tanto risarcitoria del danno cagionato alla controparte dalla proposizione di una lite temeraria, quanto più propriamente sanzionatoria delle condotte di quanti, abusando del diritto di azione e di difesa, si servano dello strumento processuale a fini dilatori, aggravando il volume del contenzioso. Sul piano testuale, ciò è, tra l'altro, confermato dal riferimento al "pagamento di una somma", che segna una netta differenza terminologica rispetto al "risarcimento dei danni" di cui ai precedenti commi del medesimo articolo, e dall'adottabilità della condanna "anche d'ufficio", che la sottrae all'impulso di parte e ne attesta la finalizzazione alla tutela di un interesse trascendente quello della parte stessa e colorato di connotati pubblicistici. La ragionevolezza della soluzione auspicata dal rimettente - secondo cui tale condanna sanzionatoria e officiosa per l'offesa arrecata alla giurisdizione dovrebbe essere disposta a favore dello Stato - non comporta, tuttavia, l'irragionevolezza della diversa soluzione normativa. Infatti, la motivazione che ha indotto il legislatore a porre a favore della controparte la condanna del soccombente é plausibilmente ricollegabile all'obiettivo di assicurare una maggiore effettività ed una più incisiva efficacia deterrente allo strumento deflattivo, sul verosimile presupposto che la parte vittoriosa possa provvedere alla riscossione in tempi e con oneri inferiori a quelli gravanti su un soggetto pubblico. L'istituto così modulato è suscettibile di rispondere anche ad una concorrente finalità indennitaria nei confronti della parte vittoriosa (pregiudicata da un'ingiustificata chiamata in giudizio) nelle non infrequenti ipotesi in cui sia per essa difficile provare, ai fini del risarcimento per lite temeraria, l' an o il quantum del danno subito. La novella del 2009, nell'estendere a tutti i gradi di giudizio lo strumento deflattivo delineato dall'abrogato art. 385, quarto comma, cod. proc. civ. per la sola fase di legittimità, non presenta connotati di irragionevolezza, ma riflette una delle possibili scelte del legislatore, non costituzionalmente vincolato nella sua discrezionalità, nell'individuare il beneficiario di una misura che sanziona un comportamento processuale abusivo e che funga da deterrente al ripetersi di una siffatta condotta. Sui limiti del sindacato di legittimità costituzionale in ordine all'esercizio della discrezionalità legislativa in tema di disciplina di istituti processuali, censurabile solo in casi di manifesta irragionevolezza od arbitrarietà, v., ex plurimis , le citate ordinanze nn. 138/2012 e 141/2011.