Procedimento civile - Liti temerarie - Possibilità che il giudice, anche d'ufficio, in sede di pronuncia sulle spese, condanni la parte soccombente al pagamento di una somma equitativamente determinata a favore della controparte - Asserita irragionevolezza ed arbitrarietà per la mancata devoluzione della somma a favore dell'Erario - Insussistenza - Scelta discrezionale del legislatore non irragionevole - Non fondatezza della questione.
Non è fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 96, terzo comma, cod. proc. civ., impugnato, in relazione agli artt. 3, 24 e 111 Cost., in quanto stabilisce che, in ogni caso, quando pronuncia sulle spese ai sensi dell'art. 91, il giudice, anche d'ufficio, può condannare il soccombente al pagamento di una somma equitativamente determinata a favore della controparte, anziché dell'Erario. Introducendo tale disposizione, la legge n. 69 del 2009 ha constatato che l'istituto della responsabilità aggravata (regolato nei primi due commi dell'art. 96), pur rappresentando in astratto un serio deterrente nei confronti delle liti temerarie e, quindi, uno strumento efficace di deflazione del contenzioso, nella prassi applicativa risultava scarsamente utilizzato a causa dell'oggettiva difficoltà della parte vittoriosa di provare il danno derivante dall'illecito processuale. La previsione de qua ha natura non tanto risarcitoria del danno cagionato alla controparte dalla proposizione di una lite temeraria, quanto più propriamente sanzionatoria delle condotte di quanti, abusando del diritto di azione e di difesa, si servano dello strumento processuale a fini dilatori, aggravando il volume del contenzioso. Sul piano testuale, ciò è, tra l'altro, confermato dal riferimento al "pagamento di una somma", che segna una netta differenza terminologica rispetto al "risarcimento dei danni" di cui ai precedenti commi del medesimo articolo, e dall'adottabilità della condanna "anche d'ufficio", che la sottrae all'impulso di parte e ne attesta la finalizzazione alla tutela di un interesse trascendente quello della parte stessa e colorato di connotati pubblicistici. La ragionevolezza della soluzione auspicata dal rimettente - secondo cui tale condanna sanzionatoria e officiosa per l'offesa arrecata alla giurisdizione dovrebbe essere disposta a favore dello Stato - non comporta, tuttavia, l'irragionevolezza della diversa soluzione normativa. Infatti, la motivazione che ha indotto il legislatore a porre a favore della controparte la condanna del soccombente é plausibilmente ricollegabile all'obiettivo di assicurare una maggiore effettività ed una più incisiva efficacia deterrente allo strumento deflattivo, sul verosimile presupposto che la parte vittoriosa possa provvedere alla riscossione in tempi e con oneri inferiori a quelli gravanti su un soggetto pubblico. L'istituto così modulato è suscettibile di rispondere anche ad una concorrente finalità indennitaria nei confronti della parte vittoriosa (pregiudicata da un'ingiustificata chiamata in giudizio) nelle non infrequenti ipotesi in cui sia per essa difficile provare, ai fini del risarcimento per lite temeraria, l' an o il quantum del danno subito. La novella del 2009, nell'estendere a tutti i gradi di giudizio lo strumento deflattivo delineato dall'abrogato art. 385, quarto comma, cod. proc. civ. per la sola fase di legittimità, non presenta connotati di irragionevolezza, ma riflette una delle possibili scelte del legislatore, non costituzionalmente vincolato nella sua discrezionalità, nell'individuare il beneficiario di una misura che sanziona un comportamento processuale abusivo e che funga da deterrente al ripetersi di una siffatta condotta. Sui limiti del sindacato di legittimità costituzionale in ordine all'esercizio della discrezionalità legislativa in tema di disciplina di istituti processuali, censurabile solo in casi di manifesta irragionevolezza od arbitrarietà, v., ex plurimis , le citate ordinanze nn. 138/2012 e 141/2011.