Pronuncia 236/2016

Sentenza

Collegio

composta dai signori: Presidente: Paolo GROSSI; Giudici : Alessandro CRISCUOLO, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI,

Epigrafe

ha pronunciato la seguente nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 567, secondo comma, del codice penale, promosso dal Tribunale ordinario di Varese nel procedimento penale a carico di P.S. ed altro con ordinanza del 30 settembre 2015, iscritta al n. 13 del registro ordinanze 2016 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 5, prima serie speciale, dell'anno 2016. Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; udito nella camera di consiglio del 21 settembre 2016 il Giudice relatore Nicolò Zanon.

Dispositivo

per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 567, secondo comma, del codice penale, nella parte in cui prevede la pena edittale della reclusione da un minimo di cinque a un massimo di quindici anni, anziché la pena edittale della reclusione da un minimo di tre a un massimo di dieci anni. Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 settembre 2016. F.to: Paolo GROSSI, Presidente Nicolò ZANON, Redattore Roberto MILANA, Cancelliere Depositata in Cancelleria il 10 novembre 2016. Il Direttore della Cancelleria F.to: Roberto MILANA

Relatore: Nicolò Zanon

Data deposito: Thu Nov 10 2016 00:00:00 GMT+0000 (Coordinated Universal Time)

Tipologia: S

Presidente: GROSSI

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Massime

Thema decidendum - Ricognizione dei parametri - Norme CEDU - Evocazione nella motivazione dell'atto introduttivo del giudizio senza riferimento all'art. 117, primo comma, Cost. - Valore solo rafforzativo delle altre censure - Ammissibilità della questione - Rigetto di eccezione preliminare.

Non è accolta l'eccezione di parziale inammissibilità basata sull'assunto che il giudice a quo intenda, tra l'altro, prospettare un diretto contrasto dell'art. 567, comma secondo, cod. pen. con l'art. 8 della CEDU (diritto al rispetto della vita privata e familiare). Proprio la mancata menzione dell'art. 117, primo comma, Cost. nell'atto introduttivo fa ritenere che i riferimenti alla norma convenzionale, presenti in motivazione, svolgano solo un ruolo rafforzativo delle censure relative alla denunciata carenza di proporzionalità tra l'intervento repressivo attuato mediante la norma censurata e l'esigenza di tutela ad esso sottesa. Per costante giurisprudenza costituzionale, le norme della CEDU non sono parametri direttamente invocabili per affermare l'illegittimità costituzionale d'una disposizione dell'ordinamento nazionale, ma costituiscono norme interposte la cui osservanza è richiesta dall'art. 117, primo comma, Cost. ( Precedenti citati: ordinanze n. 21 del 2014, n. 286 del 2012, n. 180 del 2011 e n. 163 del 2010 ).

Parametri costituzionali

  • Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali-Art. 8

Reati e pene - Proporzionalità della pena rispetto al disvalore dell'illecito e finalità rieducativa della pena - Fondamento e corollari dei due principi - Congiunta violazione in caso di manifesta sproporzione della risposta sanzionatoria.

L'art. 3 Cost. esige che la pena sia proporzionata al disvalore del fatto illecito commesso, in modo che il sistema sanzionatorio adempia nel contempo alla funzione di difesa sociale ed a quella di tutela delle posizioni individuali. Il principio di proporzionalità, nel campo del diritto penale, conduce a negare legittimità alle incriminazioni che, seppur idonee a fini di prevenzione, producono, attraverso la pena, danni all'individuo (ai suoi diritti fondamentali) ed alla società sproporzionatamente maggiori dei vantaggi ottenibili con la tutela dei beni e valori offesi. In questa prospettiva, deve essere ricordato anche l'art. 49, n. 3), della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea («le pene inflitte non devono essere sproporzionate rispetto al reato»). In tale delicato settore dell'ordinamento, il principio di proporzionalità esige un'articolazione legale del sistema sanzionatorio che renda possibile l'adeguamento della pena alle effettive responsabilità personali, svolgendo una funzione di giustizia, e anche di tutela delle posizioni individuali e di limite della potestà punitiva statale, in armonia con il "volto costituzionale" del sistema penale ( Precedenti citati: sentenze n. 341 del 1994 e n. 409 del 1989; sentenza n. 50 del 1980 ). Anche la finalità rieducativa della pena - che, caratterizzando quest'ultima nel suo contenuto ontologico, non vale per la sola fase esecutiva, ma obbliga il legislatore e i giudici della cognizione - richiede un costante principio di proporzione tra qualità e quantità della sanzione, da una parte, e offesa, dall'altra. L'eventuale palese sproporzione della risposta punitiva (e del sacrificio della libertà personale) vanifica tale finalità, compromettendo ab initio il processo rieducativo, al quale il reo tenderà a non prestare adesione, già solo per la percezione di subire una condanna ingiusta svincolata dalla gravità e dal disvalore della propria condotta. In tale contesto, una particolare asprezza della risposta sanzionatoria determina perciò violazione congiunta degli artt. 3 e 27 Cost., essendo lesi sia il principio di proporzionalità della pena rispetto alla gravità del fatto commesso, sia quello della finalità rieducativa della pena. ( Precedenti citati sentenze n. 251 del 2012, n. 68 del 2012, n. 341 del 1994, n. 313 del 1990; nonché sentenze n. 183 del 2011 e n. 129 del 2008 ).

Parametri costituzionali

Reati e pene - Determinazione della pena - Sindacato di legittimità costituzionale sulle scelte discrezionali del legislatore - Limiti - Possibilità di emendare scelte sanzionatorie manifestamente irragionevoli per sproporzione - Condizioni.

Non appartengono alla Corte costituzionale valutazioni discrezionali di dosimetria sanzionatoria penale, alle quali è tipicamente chiamata la rappresentanza politica, attraverso la riserva di legge sancita nell'art. 25 Cost. ( Precedenti citati: sentenze n. 148 del 2016, n. 23 del 2016, n. 81 del 2014, n. 394 del 2006, ordinanze n. 249 del 2007, n. 71 del 2007, n. 169 del 2006, n. 45 del 2006, che affermano la discrezionalità del legislatore in materia, salvo il sindacato di costituzionalità su scelte palesemente arbitrarie o radicalmente ingiustificate ). Ove sia richiesto, a fini di giustizia, il giudizio di "ragionevolezza intrinseca" di un trattamento sanzionatorio penale, incentrato sul principio di proporzionalità, la valutazione della Corte costituzionale deve essere condotta attraverso precisi punti di riferimento, già rinvenibili nel sistema legislativo, per non sovrapporre la propria discrezionalità a quella del Parlamento rappresentativo. Essenziale è l'individuazione di soluzioni già esistenti, idonee a eliminare o ridurre la manifesta irragionevolezza censurata. Con tali rigorose modalità, è rispettato il costante orientamento giurisprudenziale, secondo cui, in tema di trattamento sanzionatorio penale, è consentito alla Corte emendare le scelte del legislatore «in riferimento a grandezze già rinvenibili nell'ordinamento»: giacché obiettivo del controllo sulla manifesta irragionevolezza delle scelte sanzionatorie non è alterare le opzioni discrezionali del legislatore, ma ricondurre a coerenza le scelte già delineate a tutela di un determinato bene giuridico, procedendo puntualmente, ove possibile, all'eliminazione di ingiustificabili incongruenze. ( Precedenti citati: sentenze n. 148 del 2016, n. 23 del 2016 e n. 22 del 2007 )

Parametri costituzionali

Reati e pene - Delitto di alterazione di stato - Alterazione dello stato civile del neonato mediante falso - Pena edittale della reclusione da cinque a quindici anni - Manifesta irragionevolezza per eccesso - Violazione dei principi di proporzionalità della pena e della finalità rieducativa di essa - Parificazione del trattamento edittale a quello (reclusione da tre a cinque anni) previsto per l'alterazione di stato mediante sostituzione del neonato - Illegittimità costituzionale in parte qua - Auspicato intervento del legislatore.

È dichiarato costituzionalmente illegittimo - per violazione degli artt. 3 e 27 Cost. - l'art. 567, secondo comma, cod. pen. (delitto di alterazione di stato di famiglia del neonato commesso mediante falso), nella parte in cui prevede la pena edittale della reclusione da un minimo di cinque a un massimo di quindici anni, anziché la pena edittale della reclusione da un minimo di tre a un massimo di dieci anni. La severa cornice edittale censurata dal rimettente Tribunale ordinario di Varese - mentre non può ritenersi anacronistica in rapporto al mutato contesto normativo, tecnico e scientifico (giacché il disvalore della condotta sanzionata e l'inerente allarme sociale non sono attenuati né dall'astratta possibilità delle prove genetiche per l'accertamento della filiazione, né dalle riforme del diritto di famiglia intervenute nel diverso settore del diritto civile) - risulta, sul piano della ragionevolezza intrinseca, manifestamente sproporzionata al reale disvalore della condotta punita, ledendo congiuntamente il principio di proporzionalità della pena rispetto alla gravità del fatto commesso (art. 3 Cost.) e quello della finalità rieducativa della pena (art. 27 Cost.). L'eccessiva severità della sanzione, pur se applicata nel minimo edittale, costringe infatti il giudice ad infliggere una punizione irragionevolmente sproporzionata per eccesso, anche nell'ipotesi di condotte poste in essere allo scopo di giovare agli interessi del neonato attribuendogli un legame familiare altrimenti assente; e può così ingenerare nel condannato la convinzione (ostativa a un efficace processo rieducativo) di essere vittima di un ingiusto sopruso. La manifesta irragionevolezza per sproporzione si evidenzia anche al cospetto della meno severa cornice (reclusione da tre a dieci anni) stabilita dal primo comma dell'art. 567 cod. pen. per l'altra fattispecie di alterazione dello stato di famiglia del neonato, commessa mediante la sua sostituzione. Le due fattispecie non sono del tutto disomogenee, essendo identico l'evento delittuoso (alterazione dello stato civile del neonato) e, di conseguenza, il bene giuridico protetto (diritto del minore alla corretta rappresentazione della propria ascendenza); né le differenti modalità esecutive esprimono, in sé stesse, connotazioni di disvalore tali da legittimare una divergenza di pena edittale. Pertanto, alla luce dei poteri di intervento della Corte costituzionale, l'unica soluzione praticabile per eliminare la manifesta irragionevolezza denunciata, utilizzando coerentemente grandezze già rinvenibili nell'ordinamento, consiste nel parificare ( in mitius ) il trattamento sanzionatorio delle due fattispecie incriminatrici nelle quali si articola l'unitario art. 567 cod. pen. È auspicabile un intervento del legislatore che, riconsiderando funditus , ma complessivamente, il settore dei delitti in esame, potrà introdurre i diversi trattamenti sanzionatori ritenuti adeguati. ( Precedenti citati: ordinanza n. 106 del 2007, secondo cui le fattispecie previste dai due commi dell'art. 567 cod. pen., malgrado la diversità di trattamento sanzionatorio - in sé non censurabile -, tutelano entrambe l'interesse del minore alla verità dell'attestazione ufficiale della propria ascendenza ; sentenza n. 31 del 2012, secondo cui il delitto di cui all'art. 567, secondo comma, cod. pen., non reca in sé una presunzione assoluta di pregiudizio per gli interessi morali e materiali del minore; sentenze n. 354 del 2002 e n. 440 del 1994, relative a discipline legislative censurate dalla Corte per irragionevolezza sopravvenuta ).