Pronuncia 123/2017

Sentenza

Collegio

composta dai signori: Presidente: Paolo GROSSI; Giudici : Alessandro CRISCUOLO, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI,

Epigrafe

ha pronunciato la seguente nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 106 del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 (Attuazione dell'articolo 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al governo per il riordino del processo amministrativo), e degli artt. 395 e 396 del codice di procedura civile, promosso dall'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, nel procedimento vertente tra S. S. ed altri e l'Università degli studi di Napoli Federico II ed altri, con ordinanza del 4 marzo 2015, iscritta al n. 190 del registro ordinanze 2015 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 39, prima serie speciale, dell'anno 2015. Visti gli atti di costituzione di F. F. ed altri, di T. C. ed altri, dell'Università degli Studi di Napoli Federico II e dell'Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS); udito nell'udienza pubblica del 7 marzo 2017 il Giudice relatore Giancarlo Coraggio; uditi gli avvocati Riccardo Marone e Raffaella Veniero per F. F. ed altri, Riccardo Marone Giuseppe Maria Perullo per T. C. ed altri, Angelo Abignente per l'Università degli Studi di Napoli Federico II e Dario Marinuzzi per l'INPS.

Dispositivo

per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE 1) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 106 del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 (Attuazione dell'articolo 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al governo per il riordino del processo amministrativo), e degli artt. 395 e 396 del codice di procedura civile, sollevata, in riferimento agli artt. 24 e 111 della Costituzione, dall'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, con l'ordinanza indicata in epigrafe; 2) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 106 del d.lgs. n. 104 del 2010, e degli artt. 395 e 396 cod. proc. civ., sollevata, in riferimento all'art. 117, primo comma, della Costituzione, dall'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, con l'ordinanza indicata in epigrafe. Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 marzo 2017. F.to: Paolo GROSSI, Presidente Giancarlo CORAGGIO, Redattore Roberto MILANA, Cancelliere Depositata in Cancelleria il 26 maggio 2017. Il Direttore della Cancelleria F.to: Roberto MILANA

Relatore: Giancarlo Coraggio

Data deposito: Fri May 26 2017 00:00:00 GMT+0000 (Coordinated Universal Time)

Tipologia: S

Presidente: GROSSI

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Massime

Giustizia amministrativa - Revocazione (giudizio di) - Casi di revocazione della sentenza - Necessità di conformarsi a sopravvenuta sentenza definitiva della Corte europea dei diritti dell'uomo - Omessa previsione - Denunciato contrasto con i parametri costituzionali che garantiscono il diritto di agire in giudizio e il giusto processo - Difetto di motivazione sulla non manifesta infondatezza - Inammissibilità della questione.

È dichiarata inammissibile, per difetto di motivazione sulla non manifesta infondatezza, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 106 cod. proc. amm. e degli artt. 395 e 396 cod. proc. civ., censurati dall'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato - in riferimento agli artt. 24 e 111 Cost. - nella parte in cui non prevedono un diverso caso di revocazione della sentenza [in specie, passata in giudicato] quando ciò sia necessario, ai sensi dell'art. 46, par. 1, della CEDU, per conformarsi a una sentenza definitiva della Corte europea dei diritti dell'uomo. Il rimettente non spiega le ragioni dell'asserito contrasto con gli evocati parametri costituzionali, omettendo di esaminarli e limitandosi ad affermare in termini generici l'equivalenza tra la garanzia da essi apprestata e quella offerta dal sistema convenzionale. ( Precedenti citati: sentenze n. 276 del 2016 e n. 133 del 2016; ordinanze n. 93 del 2016, n. 261 del 2012, n. 181 del 2012, n. 174 del 2012, n. 236 del 2011 e n. 126 del 2011 ).

Rilevanza della questione incidentale - Necessità di applicare le norme censurate per decidere, in sede rescindente, sulla ammissibilità della domanda di revocazione - Valutazione non implausibile del rimettente, come tale insindacabile dalla Corte costituzionale - Ininfluenza di aspetti attinenti alla successiva ed eventuale fase rescissoria - Ammissibilità della questione.

Non appare assolutamente priva di fondamento - e per ciò non è sindacabile dalla Corte costituzionale - la valutazione del rimettente che, in punto di rilevanza, afferma di dover fare applicazione dei censurati artt. 106 cod. proc. amm. e 395 e 396 cod. proc. civ., per decidere, in sede rescindente, sull'ammissibilità della domanda di revocazione proposta per contrasto della sentenza amministrativa passata in giudicato con una sopravvenuta sentenza definitiva della Corte EDU. La soluzione della questione di costituzionalità influisce concretamente sulla verifica preliminare di ammissibilità che il rimettente è chiamato a operare circa la riconducibilità del caso di specie ad uno dei motivi revocatori previsti dalla legge, mentre non incidono su tale valutazione - e dunque non mettono in discussione la rilevanza - gli aspetti che attengono alla successiva ed eventuale fase rescissoria (quali, in specie, la legittimità costituzionale del termine decadenziale di cui all'art. 69, comma 7, del d.lgs. n. 165 del 2001 e la prescrizione dei diritti previdenziali azionati in giudizio). ( Precedenti citati: sentenze n. 20 del 2016, n. 294 del 2011 e n. 151 del 2009; ordinanza n. 147 del 2015, sulla "non implausibilità" come limite al controllo della Corte sulla rilevanza ). Il giudizio sulla rilevanza della questione incidentale è riservato al giudice rimettente, sì che l'intervento della Corte costituzionale deve limitarsi ad accertare l'esistenza di una motivazione sufficiente, non palesemente erronea o contraddittoria, senza spingersi fino ad un esame autonomo degli elementi che hanno portato il giudice a quo a determinate conclusioni. In altre parole, nel giudizio di costituzionalità, ai fini dell'apprezzamento della rilevanza, ciò che conta è la valutazione che il rimettente deve fare in ordine alla possibilità che il procedimento pendente possa o meno essere definito indipendentemente dalla soluzione della questione sollevata, potendo la Corte interferire su tale valutazione solo se essa, a prima vista, appaia assolutamente priva di fondamento. ( Precedenti citati: sentenze n. 228 del 2016, n. 71 del 2015, n. 91 del 2013, n. 41 del 2011 e n. 270 del 2010 ).

Rilevanza della questione incidentale - Necessità per il rimettente di stabilire se dall'art. 46, par. 1, CEDU discenda direttamente l'obbligo di riapertura del processo, non affermato dalla sentenza della Corte EDU posta a fondamento della domanda di revocazione - Problema interpretativo coinvolgente il merito - Sussistenza della rilevanza - Ammissibilità della questione.

La circostanza che la sentenza della Corte EDU di accertamento della violazione di diritti convenzionali, non abbia affermato l'obbligo di riapertura del processo interno, quale forma dovuta di restitutio in integrum in favore dell'interessato, non incide sulla rilevanza della questione di costituzionalità dell'art. 106 cod. proc. amm. e degli artt. 395 e 396 cod. proc. civ., poiché nel giudizio a quo - proposto per la revocazione del giudicato contrastante con la sopravvenuta pronuncia sovranazionale - la parte ricorrente assume che il diritto a uno specifico rimedio processuale interno discenda, di per sé, dall'art. 46, par. 1, della CEDU, e lo stabilire se tale diritto sussista o meno pone un problema di interpretazione della norma convenzionale interposta, problema che, nella specie, coinvolge il merito della questione. ( Precedenti citati: sentenze n. 43 del 2017, n. 276 del 2016 e n. 193 del 2016 ).

Parametri costituzionali

  • Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali-Art. 46

Giustizia amministrativa - Revocazione (giudizio di) - Casi di revocazione della sentenza - Necessità di conformarsi a sopravvenuta sentenza definitiva della Corte europea dei diritti dell'uomo - Omessa previsione - Denunciata inosservanza dell'obbligo di riapertura dei processi definiti in violazione di diritti garantiti dalla CEDU - Insussistenza, allo stato, di tale obbligo per i processi non penali (civili e amministrativi) - Mero invito rivolto agli Stati contraenti a provvedere in tal senso - Necessaria ponderazione tra il diritto di azione delle parti vittoriose a Strasburgo e quello di difesa dei terzi - Spettanza in via prioritaria al legislatore - Non fondatezza della questione.

È dichiarata non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 106 cod. proc. amm., e degli artt. 395 e 396 cod. proc. civ., censurati dall'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato - in riferimento all'art. 117, primo comma, Cost. - nella parte in cui non prevedono un diverso caso di revocazione della sentenza [in specie, passata in giudicato] quando ciò sia necessario, ai sensi dell'art. 46, par. 1, CEDU, per conformarsi a una sentenza definitiva della Corte europea dei diritti dell'uomo. Nelle materie diverse da quella penale, dalla giurisprudenza convenzionale non emerge, allo stato, l'esistenza di un obbligo generale di adottare la misura ripristinatoria della riapertura del processo su richiesta dei soggetti che hanno adito vittoriosamente la Corte EDU, allorquando ciò sia necessario per conformarsi alla sentenza definitiva di quest'ultima. Infatti, per i processi diversi da quelli penali e, in particolare, per quelli amministrativi, la Corte di Strasburgo si è limitata a incoraggiare l'introduzione della predetta misura, rimettendo, tuttavia, la relativa decisione agli Stati contraenti, e ciò in considerazione dell'esigenza - che differenzia i processi civili e amministrativi da quelli penali (oltre al fatto che nei primi non è gioco la libertà personale) - di tutelare i soggetti, diversi dal ricorrente a Strasburgo e dallo Stato, che, pur avendo preso parte al giudizio interno, non sono parti necessarie del giudizio convenzionale, e di rispettare nei loro confronti la certezza del diritto garantita dalla res iudicata. La delicata ponderazione, alla luce dell'art. 24 Cost., fra il diritto di azione degli interessati e il diritto di difesa dei terzi - necessaria nel nostro ordinamento per consentire la riapertura del processo non penale, con il conseguente travolgimento del giudicato interno - spetta in via prioritaria al legislatore, la cui opera sarebbe certamente resa più agevole da una sistematica apertura del processo convenzionale ai terzi, per mutamento delle fonti convenzionali o in forza di una loro interpretazione adeguatrice da parte della stessa Corte EDU. ( Precedenti citato: sentenza n. 113 del 2011 che, riconoscendo l'esistenza dell'obbligo convenzionale di riapertura del processo penale su richiesta dei soggetti vittoriosi a Strasburgo, ha conseguentemente introdotto nell'art. 630 cod. proc. pen. una specifica ipotesi di revisione della sentenza passata in giudicato ). L'obbligo di riapertura del processo, posto dall'art. 46, par. 1, CEDU, nel significato attribuitogli dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, non concerne i casi, diversi da quello oggetto della pronuncia di quest'ultima, nei quali per l'ordinamento interno si è formato il giudicato, esistendo una radicale differenza tra coloro che, esauriti i ricorsi interni, si sono rivolti al sistema di giustizia della CEDU e coloro che, pur versando nella medesima situazione sostanziale, non si sono avvalsi di tale facoltà, con la conseguenza che la loro vicenda processuale, ormai definita con la formazione del giudicato, non è più suscettibile del rimedio convenzionale. ( Precedente citato: sentenza n. 210 del 2013 ).

Parametri costituzionali