Reati e pene - Concorso di circostanze aggravanti e attenuanti - Divieto di prevalenza del vizio parziale di mente sulla recidiva reiterata - Violazione dei principi di ragionevolezza e di proporzionalità, personalizzazione e finalità rieducativa della pena - Illegittimità costituzionale parziale.
È dichiarato costituzionalmente illegittimo - per violazione degli artt. 3 e 27, primo e terzo comma, Cost. - l'art. 69, quarto comma, cod. pen., nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza della circostanza attenuante del vizio parziale di mente, di cui all'art. 89 cod. pen., sulla circostanza aggravante della recidiva reiterata, di cui all'art. 99, quarto comma, cod. pen. La disposizione censurata dal Tribunale di Reggio Calabria impedisce al giudice di determinare una pena proporzionata rispetto alla concreta gravità oggettiva e soggettiva del reato, e pertanto adeguata al grado di responsabilità "personale" e rimproverabilità del suo autore, non consentendo di tenere adeguatamente conto della minore possibilità di essere motivato dalle norme di divieto da parte di chi risulti affetto da patologie o disturbi della personalità che, seppur non escludendola del tutto, diminuiscano grandemente la sua capacità di intendere e di volere, come invece previsto dalla circostanza attenuante indicata, riconducibile a un connotato di sistema di un diritto penale "costituzionalmente orientato". Ciò non comporta il sacrificio delle esigenze di tutela della collettività contro l'accentuata pericolosità sociale espressa dal recidivo reiterato, poiché il magistrato di sorveglianza ha la possibilità di disporre nei confronti del condannato - una volta che questi abbia scontato la pena - l'applicazione di una misura di sicurezza, subordinata alla valutazione della sua persistente pericolosità sociale. ( Precedenti citati: sentenze n. 205 del 2017, n. 74 del 2016, n. 106 del 2014, n. 105 del 2014, n. 251 del 2012, n. 364 del 1988 e n. 26 del 1979 ). Secondo la giurisprudenza costituzionale, deroghe al regime ordinario del bilanciamento tra circostanze, come disciplinato in via generale dall'art. 69 cod. pen., sono costituzionalmente ammissibili e rientrano nell'ambito delle scelte discrezionali del legislatore, risultando sindacabili soltanto ove trasmodino nella manifesta irragionevolezza o nell'arbitrio, non potendo però giungere in alcun caso a determinare un'alterazione degli equilibri costituzionalmente imposti sulla strutturazione della responsabilità penale. ( Precedenti citati: sentenze n. 88 del 2019, n. 251 del 2012 e n. 68 del 2012 ). Secondo la giurisprudenza costituzionale, la pena va intesa come reazione proporzionata dell'ordinamento a un fatto di reato (oggettivamente) offensivo e (soggettivamente) rimproverabile al suo autore. Infatti, sulla base di una lettura congiunta degli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost. il principio di proporzionalità della pena rispetto alla gravità del reato esige in via generale che la pena sia adeguatamente calibrata non solo al concreto contenuto di offensività del fatto di reato per gli interessi protetti, ma anche al disvalore soggettivo espresso dal fatto medesimo. E il quantum di disvalore soggettivo dipende in maniera determinante non solo dal contenuto della volontà criminosa (dolosa o colposa) e dal grado del dolo o della colpa, ma anche dalla eventuale presenza di fattori che hanno influito sul processo motivazionale dell'autore, rendendolo più o meno rimproverabile. ( Precedenti citati: sentenze n. 40 del 2019, n. 233 del 2018, n. 222 del 2018, n. 236 del 2016 e n. 343 del 1993 ). Secondo la giurisprudenza costituzionale, la misura di sicurezza, non avendo alcun connotato "punitivo", non è subordinata alla rimproverabilità soggettiva del suo destinatario, bensì alla sua persistente pericolosità sociale, che peraltro, ai sensi dell'art. 679 cod. proc. pen., deve essere oggetto di vaglio caso per caso da parte del magistrato di sorveglianza una volta che la pena sia stata scontata. Essa dovrebbe auspicabilmente essere conformata in modo da assicurare, assieme, un efficace contenimento della pericolosità sociale del condannato e adeguati trattamenti delle patologie o disturbi di cui è affetto, nonché fattivo sostegno rispetto alla finalità del suo riadattamento alla vita sociale, obiettivo che riflette un principio certamente estensibile, nell'attuale quadro costituzionale, alla generalità delle misure di sicurezza. ( Precedenti citati: sentenze n. 24 del 2020, n. 253 del 2003, n. 1102 del 1988 e n. 249 del 1983 ).