Pronuncia 111/2023

Sentenza

Collegio

composta dai signori: Presidente: Silvana SCIARRA; Giudici : Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D'ALBERTI,

Epigrafe

ha pronunciato la seguente nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 495 del codice penale e, in via subordinata, dell'art. 64, comma 3, del codice di procedura penale, nonché dello stesso art. 495 cod. pen., promosso dal Tribunale ordinario di Firenze, sezione prima penale, nel procedimento penale a carico di M. G., con ordinanza del 4 luglio 2022, iscritta al n. 98 del registro ordinanze 2022, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 38, prima serie speciale, dell'anno 2022, la cui trattazione è stata fissata per l'adunanza in camera di consiglio del 5 aprile 2023. Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; udito nella camera di consiglio del 6 aprile 2023 il Giudice relatore Francesco Viganò; deliberato nella camera di consiglio del 6 aprile 2023.

Dispositivo

per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE 1) dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 64, comma 3, del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede che gli avvertimenti ivi indicati siano rivolti alla persona sottoposta alle indagini o all'imputato prima che vengano loro richieste le informazioni di cui all'art. 21 delle Norme di attuazione del codice di procedura penale; 2) dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 495, primo comma, del codice penale, nella parte in cui non esclude la punibilità della persona sottoposta alle indagini o dell'imputato che, richiesti di fornire le informazioni indicate nell'art. 21 norme att. cod. proc. pen. senza che siano stati loro previamente formulati gli avvertimenti di cui all'art. 64, comma 3, cod. proc. pen., abbiano reso false dichiarazioni; 3) dichiara non fondate le ulteriori questioni di legittimità costituzionale dello stesso art. 495 cod. pen., sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Firenze, sezione prima penale, con l'ordinanza indicata in epigrafe. Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 aprile 2023. F.to: Silvana SCIARRA, Presidente Francesco VIGANÒ, Redattore Igor DI BERNARDINI, Cancelliere Depositata in Cancelleria il 5 giugno 2023. Il Cancelliere F.to: Igor DI BERNARDINI

Relatore: Francesco Viganò

Data deposito: Mon Jun 05 2023 00:00:00 GMT+0000 (Coordinated Universal Time)

Tipologia: S

Presidente: SCIARRA

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Massime

Azione e difesa (diritti di) - In genere - Diritto di difesa - Diritto inalienabile costitutivo dell'identità costituzionale - In particolare: diritto al silenzio - Garanzia contro ogni minaccia di una pena o comunque di una sanzione di carattere punitivo - Ricomprensione del diritto a mentire - Esclusione. (Classif. 031001).

Il diritto di difesa rientra in quel novero dei diritti inalienabili della persona umana che caratterizzano l'identità costituzionale italiana. ( Precedenti: S. 18/2022 - mass. 44599; S. 10/2022 - mass. 44484; S. 157/2021 - mass. 44113; O. 117/2019 - mass. 42634 ). Il diritto al silenzio - definito dall'art. 14, par. 3, lett. g ), del Patto internazionale sui diritti civili e politici (PIDCP) come la garanzia, spettante a ogni individuo accusato di un reato, a non essere costretto a deporre contro sé stesso o a confessarsi colpevole; nonché, implicitamente, garantito dall'art. 47 CDFUE - è il diritto della persona a non contribuire alla propria incolpazione e a non essere costretta a rendere dichiarazioni di natura confessoria ( nemo tenetur se ipsum accusare ); esso costituisce corollario implicito del diritto inviolabile di difesa (art. 24 Cost.). Nel diritto di difesa rientra infatti certamente il diritto di rifiutarsi di rispondere (tranne che alle richieste attinenti all'identificazione del soggetto medesimo). L'intangibilità del diritto di difesa, sotto forma del rispetto del principio nemo tenetur se detegere , e conseguentemente del diritto al silenzio, si manifesta così nella garanzia dell'esclusione dell'obbligo di rispondere in dibattimento a domande che potrebbero coinvolgere responsabilità proprie. Pertanto, una violazione del diritto al silenzio si verifica non solo quando la persona sia costretta mediante violenza o intimidazione a rendere simili dichiarazioni, ma anche quando essa sia indotta a farlo sotto minaccia di una pena o comunque di una sanzione di carattere punitivo. Ciò, peraltro, non si traduce in un diritto a mentire, che non solo non corrisponderebbe alla nozione internazionalmente riconosciuta del diritto al silenzio, ma sarebbe sfornito di alcun preciso supporto nella stessa giurisprudenza costituzionale. ( Precedenti: S. 84/2021 - mass. 43815; S. 361/1998 - mass. 24228; S. 179/1994 - mass. 20578; S. 236/1984 - mass. 9738; O. 117/2019 - mass. 42634; O. 202/200 - mass. 49738; O. 291/20022 - mass. 7105 ).

Parametri costituzionali

  • patto internazionale dei diritti civili e politici-Art. 14
  • Costituzione-Art. 24
  • Carta dei diritti fondamentali U.E.-Art. 47

Processo penale - In genere - Regole generali per l'interrogatorio - Avvisi preliminari - Necessità che essi siano formulati nei confronti dell'indagato o dell'imputato anche prima che vengano loro richieste le informazioni relative ai propri precedenti penali e in generale in relazione alle circostanze che riguardano la sua persona, al di fuori delle generalità in senso stretto - Omessa previsione - Violazione del diritto di difesa, comprensivo del diritto al silenzio - Illegittimità costituzionale in parte qua. (Classif. 199001).

È dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione dell'art. 24 Cost., l'art. 64, comma 3, cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede che gli avvertimenti ivi indicati siano rivolti alla persona sottoposta alle indagini o all'imputato prima che vengano loro richieste le informazioni di cui all'art. 21 norme att. cod. proc. pen. La disposizione censurata dal Tribunale di Firenze non riconosce all'indagato e all'imputato il diritto al silenzio rispetto alle domande relative alle proprie generalità e a quant'altro può valere a identificarli; domande che, ex art. 66, comma 1, cod. proc. pen., debbono essere loro rivolte nel primo atto in cui essi sono presenti. In tal modo, l'assetto normativo e giurisprudenziale - per cui le domande di cui all'art. 21 norme att. cod. proc. pen. non hanno attinenza con il diritto costituzionale di difesa, e pertanto non si richiede che la persona indagata o imputata sia avvertita della facoltà di non rispondere - non assicura sufficiente tutela al diritto al silenzio. Le domande attinenti ai precedenti penali, infatti, talvolta integrano elementi costitutivi del reato, o la circostanza aggravante della recidiva. Inoltre, le informazioni sugli altri procedimenti penali o sulle condanne anche non definitive ben potranno essere utilizzate per valutare la pericolosità sociale, mentre l'onere di dimostrare la sussistenza di tutte le circostanze dalle quali dipende la responsabilità penale dell'imputato non può che gravare sul PM. Analoghe considerazioni possono svolgersi per tutte le altre circostanze oggetto delle domande indicate nell'art. 21 norme att. cod. proc. pen.: quella relativa al soprannome o allo pseudonimo può essere di cruciale importanza ai fini investigativi, equivalendo alla sollecitazione di una vera e propria confessione. Al contrario, il diritto al silenzio esige che la persona indagata o imputata sia debitamente avvertita del proprio diritto di non rispondere anche alle domande relative alle proprie condizioni personali diverse da quelle relative alle proprie generalità, e della possibilità che le sue eventuali dichiarazioni siano utilizzate nei suoi confronti. Per effetto di tale dichiarazione di illegittimità costituzionale, le relative dichiarazioni rese dall'interessato che non abbia ricevuto gli avvertimenti di cui all'art. 64, comma 3, cod. proc. pen. resteranno, ai sensi del comma 3-bis, non utilizzabili nei suoi confronti.

Parametri costituzionali

Reati e pene - In genere - Reato di falsa attestazione o dichiarazione a un pubblico ufficiale sulla identità o su qualità personali proprie o di altri - Esclusione della punibilità per l'indagato o imputato che abbiano reso false dichiarazioni relative ai propri precedenti penali e in generale in relazione alle circostanze che riguardano la sua persona, al di fuori delle generalità in senso stretto, senza essere stato prima avvisato di poter esercitare il diritto al silenzio - Omessa previsione - Violazione del diritto di difesa, comprensivo del diritto al silenzio - Illegittimità costituzionale in parte qua. (Classif. 210001).

È dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione dell'art. 24 Cost., l'art. 495, primo comma, cod. pen., nella parte in cui non esclude la punibilità della persona sottoposta alle indagini o dell'imputato che, richiesti di fornire le informazioni indicate nell'art. 21 norme att. cod. proc. pen. senza che siano stati loro previamente formulati gli avvertimenti di cui all'art. 64, comma 3, cod. proc. pen., abbiano reso false dichiarazioni. La punibilità delle false dichiarazioni relative alle qualità della propria o dell'altrui persona ai sensi dell'art. 495 cod. pen. deve ritenersi non in contrasto con il parametro evocato dal Tribunale di Firenze soltanto ove la persona indagata o imputata abbia previamente ricevuto l'avvertimento circa il suo diritto a non rispondere; restando poi libero il legislatore di valutare se estendere la non punibilità anche all'ipotesi in cui l'interessato, avendo ricevuto l'avvertimento, renda comunque dichiarazioni false allo scopo di evitare conseguenze a sé pregiudizievoli nell'ambito del procedimento e poi del processo penale. ( Precedente: S. 84/2021 - mass. 43815 ).

Parametri costituzionali

Reati e pene - In genere - Reato di falsa attestazione o dichiarazione a un pubblico ufficiale sulla identità o su qualità personali proprie o di altri - Applicabilità alle false dichiarazioni rese dall'indagato o imputato in relazione ai propri precedenti penali e in generale in relazione alle circostanze che riguardano la sua persona, al di fuori delle generalità in senso stretto - Denunciata violazione del diritto di difesa e irragionevolezza - Insussistenza - Non fondatezza delle questioni. (Classif. 210001).

Sono dichiarate non fondate le ulteriori questioni di legittimità costituzionale, sollevate dal Tribunale di Firenze, sez. prima penale, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., dell'art. 495 cod. pen., nella parte in cui sanziona chi rende false dichiarazioni sulle domande di cui all'art. 21 norme att. cod. proc. pen. Se è vero che il diritto processuale, come interpretato dalla costante giurisprudenza di legittimità, non richiede che la persona venga avvertita della facoltà di non rispondere prima che le vengano rivolte le domande indicate - le quali, anzi, sono normalmente formulate subito dopo l'ammonimento, previsto dall'art. 66, comma 1, cod. proc. pen., circa le conseguenze cui si espone chi rifiuti di dare le proprie generalità, così da determinare una situazione di insufficiente tutela del diritto al silenzio -, tuttavia il rimedio individuato dal rimettente è, per un verso, eccedente lo scopo, e per un altro verso, insufficiente rispetto a questo stesso scopo. Escludere la punibilità per le specifiche false dichiarazioni in risposta alle domande di cui all'art. 21 norme att. cod. proc. pen., infatti, precluderebbe al legislatore l'adozione di soluzioni differenziate in relazione a situazioni egualmente riconducibili all'area del diritto al silenzio, ma fra loro non del tutto omogenee. Se la scelta legislativa di non prevedere, di regola, sanzioni penali a carico della persona sospettata o imputata di un reato che menta nel tentativo di difendersi poggia su ragioni solide, ciò non significa necessariamente che tale scelta corrisponda a una valutazione di liceità della condotta medesima; né sussiste una perfetta sovrapponibilità tra le false dichiarazioni relative al fatto di reato - ritenute in via generale non penalmente rilevanti dal legislatore - e quelle relative alle circostanze personali del sospetto reo, potenzialmente abbracciate dall'art. 495 cod. pen. Fermo restando che il diritto al silenzio si estende alle une come alle altre, non appare irragionevole che - laddove l'interessato rinunci consapevolmente a esercitare quel diritto - il legislatore possa vietargli di rendere dichiarazioni false sulle circostanze relative alla propria persona e prevedere una sanzione penale nel caso di inosservanza di tale divieto. Il rimedio richiesto sarebbe anche inadeguato, intervenendo soltanto sul versante della punibilità delle false dichiarazioni, ma non su quello - che ne costituisce un prius logico e cronologico - dell'imposizione alle autorità procedenti dell'obbligo di avvisare la persona interrogata della propria facoltà di non rispondere.