Processo penale - Errori giudiziari - Ingiusta detenzione - Imputato prosciolto in relazione ad un fatto per il quale è già intervenuto un giudicato - Equa riparazione - Ritenuta esclusione - Lamentata disparità di trattamento rispetto ai casi in cui il proscioglimento è dichiarato con le formule di cui al primo comma dell’art. 314 cod. proc. pen., lesione dei principi e criteri direttivi contenuti nella legge di delega, lesione del principio solidaristico e della garanzia inviolabile della libertà personale - Non fondatezza della questione.
L’art. 314 del codice di procedura penale, censurato nella parte in cui non consente il riconoscimento di un’equa riparazione anche a chi abbia subito un periodo di custodia cautelare per un fatto dal quale sia stato poi prosciolto ai sensi dell’art. 649 dello stesso codice, va interpretato in senso conforme al fondamento solidaristico della riparazione per l’ingiusta detenzione, per cui può affermarsi che il diritto alla riparazione per ingiusta detenzione si ricollega alla presenza di una oggettiva lesione della libertà personale, comunque ingiusta alla stregua di una valutazione 'ex post'. Di conseguenza, se può convenirsi con il remittente allorquando esclude che l’ipotesi sottoposta alla sua cognizione – e consistente nella emissione di una ordinanza di custodia cautelare per un fatto per il quale il destinatario del provvedimento restrittivo è già stato giudicato e ha addirittura scontato la pena inflitta con precedente sentenza di condanna – possa essere ricondotta alla previsione di cui all’art. 314, comma 1, cod. proc. pen., stante la tassatività delle ipotesi di proscioglimento nel merito in quella disposizione considerate quale presupposto per il diritto all’equa riparazione, non è invece condivisibile la conclusione del giudice 'a quo' per quanto riguarda l’affermata impossibilità di ricondurre la fattispecie al suo esame tra quelle per le quali l’art. 314, comma 2, configura la possibilità della riparazione per l’ingiusta detenzione, posto che tale disposizione – che prevede che il diritto all’equa riparazione spetta al prosciolto per qualsiasi causa o al condannato che nel corso del processo sia stato sottoposto a custodia cautelare, quando con decisione irrevocabile sia accertato che il provvedimento che ha disposto la misura è stato emesso o mantenuto senza che sussistessero le condizioni di applicabilità previste dagli artt. 273 e 280 cod. proc. pen. – non esclude che l'accertamento negativo circa la sussistenza di dette condizioni consegua in modo implicito ad una sentenza irrevocabile che accerti che l’azione penale non poteva essere esercitata perché preclusa da precedente giudicato, visto che non può non concludersi che anche la misura cautelare disposta per il medesimo fatto per il quale l’imputato era già stato giudicato risulta priva dei requisiti che ne legittimano l’adozione, stante l’evidente nesso di strumentalità dell’azione cautelare rispetto all’azione penale. Non è fondata, pertanto, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 314 cod. proc. pen., sollevata in riferimento agli artt. 2, 3, 13 e 76 della Costituzione.
– Sulla sussistenza del diritto alla riparazione per ingiusta detenzione qualora esso si ricolleghi alla presenza di una oggettiva lesione della libertà personale, comunque ingiusta alla stregua di una valutazione 'ex post', v. le richiamate sentenze n. 446/1997, n. 109/1999 e n. 284/2003.