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Pronuncia 170/2018

Sentenza

Collegio

composta dai signori: Presidente: Giorgio LATTANZI; Giudici : Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ,

Epigrafe

ha pronunciato la seguente nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 3, comma 1, lettera h), del decreto legislativo 23 febbraio 2006, n. 109, recante «Disciplina degli illeciti disciplinari dei magistrati, delle relative sanzioni e della procedura per la loro applicabilità, nonché modifica della disciplina in tema di incompatibilità, dispensa dal servizio e trasferimento di ufficio dei magistrati, a norma dell'articolo 1, comma 1, lettera f), della legge 25 luglio 2005, n. 150» come sostituito dall'art. 1, comma 3, lettera d), numero 2), della legge 24 ottobre 2006, n. 269 (Sospensione dell'efficacia nonché modifiche di disposizioni in tema di ordinamento giudiziario), promosso dalla sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura nel procedimento relativo a M. E. con ordinanza del 28 luglio 2017, iscritta al n. 155 del registro ordinanze 2017 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 45, prima serie speciale, dell'anno 2017. Visti l'atto di costituzione di M. E., nonché l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; udito nella udienza pubblica del 3 luglio 2018 il Giudice relatore Nicolò Zanon; uditi l'avvocato Aldo Loiodice per M. E. e l'avvocato dello Stato Gabriella Palmieri per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Dispositivo

per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 3, comma 1, lettera h), del decreto legislativo 23 febbraio 2006, n. 109, recante «Disciplina degli illeciti disciplinari dei magistrati, delle relative sanzioni e della procedura per la loro applicabilità, nonché modifica della disciplina in tema di incompatibilità, dispensa dal servizio e trasferimento di ufficio dei magistrati, a norma dell'articolo 1, comma 1, lettera f), della legge 25 luglio 2005, n. 150», nel testo sostituito dall'art. 1, comma 3, lettera d), numero 2), della legge 24 ottobre 2006, n. 269 (Sospensione dell'efficacia nonché modifiche di disposizioni in tema di ordinamento giudiziario), sollevate, in riferimento agli artt. 2, 3, 18, 49 e 98 della Costituzione, dalla sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, con l'ordinanza indicata in epigrafe. Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 luglio 2018. F.to: Giorgio LATTANZI, Presidente Nicolò ZANON, Redattore Filomena PERRONE, Cancelliere Depositata in Cancelleria il 20 luglio 2018. Il Cancelliere F.to: Filomena PERRONE

Relatore: Nicolò Zanon

Data deposito:

Tipologia: S

Presidente: LATTANZI

Massime

Rilevanza della questione incidentale - Verifica dei presupposti processuali e delle condizioni dell'azione nel giudizio a quo - Motivazione non implausibile del rimettente - Sufficienza ai fini del controllo della Corte costituzionale - Ammissibilità della questione - Rigetto di eccezione preliminare.

Non è accolta l'eccezione di inammissibilità, per difetto di rilevanza, formulata nel giudizio incidentale di legittimità costituzionale dell'art. 3, comma 1, lett. h), del d.lgs. n. 109 del 2006, nel testo sostituito dall'art. 1, comma 3, lett. d), n. 2), della legge n. 269 del 2006. Il rimettente ha già rigettato nel giudizio a quo, con argomentazione non implausibile, l'eccezione in accoglimento della quale il giudizio principale avrebbe dovuto essere dichiarato estinto per la mancanza di uno dei presupposti processuali condizionanti la sua valida instaurazione, ossia per la tardività dell'azione disciplinare. Per costante orientamento della giurisprudenza costituzionale, l'accertamento della validità dei presupposti di esistenza del giudizio principale è prerogativa del rimettente, spettando alla Corte costituzionale verificare esclusivamente che la valutazione del giudice a quo sia avvalorata da una motivazione non implausibile e che i presupposti di esistenza del giudizio non risultino manifestamente e incontrovertibilmente carenti nel momento in cui la questione è proposta. ( Precedenti citati: sentenze n. 262 del 2015, n. 61 del 2012, n. 270 del 2010, n. 34 del 2010 e n. 62 del 1992 ).

Norme citate

  • decreto legislativo-Art. 3, comma 1
  • legge-Art. 1, comma 3

Ordinamento giudiziario - Illeciti disciplinari dei magistrati - Configurazione quale illecito disciplinare dell'iscrizione o partecipazione sistematica e continuativa a partiti politici, anche per i magistrati fuori ruolo organico, in quanto collocati in aspettativa per motivi elettorali - Denunciata violazione del principio di ragionevolezza e dei diritti fondamentali di natura politica, nonché denunciato abuso della facoltà del legislatore di porre limiti al loro esercizio - Insussistenza - Non fondatezza delle questioni.

Sono dichiarate non fondate le questioni di legittimità costituzionale - sollevate dalla sez. disciplinare del Consiglio superiore della magistratura in riferimento agli artt. 2, 3, 18, 49 e 98 Cost. - dell'art. 3, comma 1, lett. h), del d.lgs. n. 109 del 2006, nel testo sostituito dall'art. 1, comma 3, lett. d), n. 2), della legge n. 269 del 2006. La previsione, quale illecito disciplinare, dell'iscrizione o della partecipazione sistematica e continuativa a partiti politici anche per i magistrati fuori del ruolo organico perché collocati in aspettativa "per motivi elettorali", esprime il bilanciamento - demandato dalla Costituzione al legislatore - tra la libertà dei magistrati di associarsi in partiti, e l'esigenza di assicurarne l'indipendenza e l'imparzialità, anche davanti all'opinione pubblica, al fine di impedire i condizionamenti all'attività giudiziaria che potrebbero derivare dal legame stabile che i magistrati contrarrebbero iscrivendosi a un partito o partecipando in misura significativa alla sua attività. Né è irragionevole - tanto più in un contesto normativo che consente ai magistrati di tornare alla giurisdizione - mantenere separata la fattispecie disciplinare censurata dall'altra ipotesi, che la legge a determinate condizioni consente, di accesso dei magistrati alle cariche elettive e agli uffici pubblici di natura politica. Il magistrato, come qualunque cittadino, ben può infatti svolgere una campagna elettorale o compiere atti tipici del suo mandato od incarico politico senza necessariamente assumere, al contempo, tutti quei vincoli (a partire dallo stabile schieramento che l'iscrizione testimonia) che normalmente discendono dalla partecipazione organica alla vita di un partito politico. Il tenore della disposizione censurata consente al prudente apprezzamento del giudice disciplinare stabilire in concreto se la condotta del magistrato fuori ruolo possa legittimamente incontrare la vita di un partito, o se costituisca invece illecito disciplinare, meritando appropriata sanzione. ( Precedenti citati: sentenze n. 224 del 2009 e n. 172 del 1982 ). In linea generale, se i magistrati debbono godere degli stessi diritti di libertà garantiti ad ogni altro cittadino, le funzioni esercitate e la qualifica che rivestono non sono indifferenti e prive di effetto per l'ordinamento costituzionale, al fine di stabilire i limiti che possono essere opposti all'esercizio di quei diritti, che sono giustificati sia dalla particolare qualità e delicatezza delle funzioni giudiziarie, sia dai principi costituzionali di indipendenza e imparzialità (artt. 101, secondo comma, 104, primo comma, e 108, secondo comma, Cost.) che le caratterizzano, e che vanno tutelati non solo con specifico riferimento all'esercizio delle funzioni giudiziarie, ma anche quali criteri ispiratori di regole deontologiche da osservarsi in ogni comportamento di rilievo pubblico, al fine di evitare che dell'indipendenza e imparzialità dei magistrati i cittadini possano fondatamente dubitare. ( Precedenti citati: sentenze n. 224 del 2009 e n. 100 del 1981 ). Il cittadino-magistrato gode certamente dei diritti fondamentali di cui agli artt. 17, 18 e 21 Cost., il cui esercizio gli consente di manifestare legittimamente le proprie idee, anche di natura politica, a condizione però che ciò avvenga con l'equilibrio e la misura che non possono non caratterizzare ogni suo comportamento di rilevanza pubblica. ( Precedente citato: sentenza n. 224 del 2009 ). La rappresentanza politica, nella Costituzione repubblicana, è in principio rappresentanza attraverso i partiti politici, i quali, ai sensi dell'art. 49 Cost., sono le associazioni che consentono ai cittadini di concorrere, con metodo democratico, a determinare, anche attraverso la partecipazione alle elezioni, la politica nazionale. ( Precedente citato: sentenza n. 35 del 2017 ).

Norme citate

  • decreto legislativo-Art. 3, comma 1
  • legge-Art. 1, comma 3