Pronuncia 212/2018

Sentenza

Collegio

composta dai signori: Presidente: Giorgio LATTANZI; Giudici : Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI,

Epigrafe

ha pronunciato la seguente nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 3, lettera c), numero 2), e 8 del decreto legislativo 19 gennaio 2017, n. 5, recante «Adeguamento delle disposizioni dell'ordinamento dello stato civile in materia di iscrizioni, trascrizioni e annotazioni, nonché modificazioni ed integrazioni normative per la regolamentazione delle unioni civili, ai sensi dell'articolo 1, comma 28, lettere a) e c), della legge 20 maggio 2016, n. 76)», promosso dal Tribunale ordinario di Ravenna con ordinanza depositata il 22 novembre 2017, iscritta al n. 32 del registro ordinanze 2018 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 8, prima serie speciale, dell'anno 2018. Visto l'atto di costituzione di G. Z.G. e G. G., nonché l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; udito nella udienza pubblica del 9 ottobre 2018 il Giudice relatore Giuliano Amato; udito l'avvocato Stefano Chinotti per G. Z.G. e G. G. e l'avvocato dello Stato Gabriella Palmieri per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Dispositivo

per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE 1) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 3, lettera c), numero 2), e 8 del decreto legislativo 19 gennaio 2017, n. 5, recante «Adeguamento delle disposizioni dell'ordinamento dello stato civile in materia di iscrizioni, trascrizioni e annotazioni, nonché modificazioni ed integrazioni normative per la regolamentazione delle unioni civili, ai sensi dell'articolo 1, comma 28, lettere a) e c), della legge 20 maggio 2016, n. 76», sollevate dal Tribunale ordinario di Ravenna, in riferimento all'art. 22 della Costituzione, con l'ordinanza indicata in epigrafe; 2) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 3, lettera c), numero 2), del d.lgs. n. 5 del 2017, sollevate dal Tribunale ordinario di Ravenna, in riferimento agli artt. 2, 3, 11, 76 e 117, primo comma, Cost., quest'ultimo in relazione all'art. 8 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, e agli artt. 1 e 7 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007, con l'ordinanza indicata in epigrafe; 3) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 8 del d.lgs. n. 5 del 2017, sollevate dal Tribunale ordinario di Ravenna, in riferimento agli artt. 2, 3, 11, 76 e 117, primo comma, Cost., quest'ultimo in relazione all'art. 8 della CEDU e agli artt. 1 e 7 della CDFUE, con l'ordinanza indicata in epigrafe. Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 ottobre 2018. F.to: Giorgio LATTANZI, Presidente Giuliano AMATO, Redattore Roberto MILANA, Cancelliere Depositata in Cancelleria il 22 novembre 2018. Il Direttore della Cancelleria F.to: Roberto MILANA

Relatore: Giuliano Amato

Data deposito: Thu Nov 22 2018 00:00:00 GMT+0000 (Coordinated Universal Time)

Tipologia: S

Presidente: LATTANZI

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Massime

Prospettazione della questione incidentale - Dedotta omessa considerazione della ratio della norma censurata - Questioni riferite alla ratio suddetta - Ammissibilità della questione - Rigetto di eccezione preliminare.

Non è accolta l'eccezione d'inammissibilità, formulata per omessa considerazione della ratio dell'intervento legislativo di cui agli artt. 3, lett. c), n. 2), e 8 del d.lgs. n. 5 del 2017, oggetto del giudizio di legittimità costituzionale. Il giudice a quo appunta le proprie censure proprio sulla volontà del legislatore, attraverso la norma censurata, di assimilare la disciplina del cognome delle unioni civili a quello del cognome coniugale, in quanto, nella sua prospettazione, l'assimilazione dei due istituti avrebbe svuotato di significato una previsione innovativa e caratterizzante il riconoscimento giuridico e sociale delle unioni civili.

Norme citate

  • decreto legislativo-Art. 8
  • decreto legislativo-Art. 3 LETT. C), N. 2)

Prospettazione della questione incidentale - Dedotto difetto di rilevanza, per carente descrizione della fattispecie - Sufficiente esposizione della vicenda - Ammissibilità delle questioni - Rigetto di eccezione preliminare.

Nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 3, lett. c), n. 2), e 8 del d.lgs. n. 5 del 2017, non è accolta l'eccezione d'inammissibilità, per difetto di rilevanza, formulata in considerazione della carente descrizione della fattispecie. L'esposizione della vicenda concreta, se pur sintetica, contenuta nell'ordinanza di rimessione, è comunque sufficiente a soddisfare l'onere di motivazione, essendo stata adeguatamente rappresentata una situazione in cui le doglianze dei ricorrenti non potrebbero altrimenti essere accolte che a seguito dell'eventuale accoglimento della questione di legittimità proposta nei confronti della disposizione di legge di cui i provvedimenti impugnati sono applicazione. ( Precedenti citati: sentenze n. 16 del 2017, n. 151 del 2009, n. 303 del 2007 e n. 4 del 2000 ).

Prospettazione della questione incidentale - Motivazione sintetica, ma non implausibile, relativa alla violazione del parametro evocato - Attinenza al merito delle valutazioni in ordine alla persuasività degli argomenti addotti - Ammissibilità delle questioni - Rigetto di eccezione preliminare.

Nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 3, lett. c), n. 2), e 8 del d.lgs. n. 5 del 2017, non è accolta l'eccezione d'inammissibilità della censura relativa all'eccesso di delega, perché generica e non adeguatamente motivata. Con motivazione sintetica, ma non implausibile, il giudice a quo deduce la violazione dell'art. 76 Cost., enucleando i termini della questione con un'argomentazione adeguata. Attiene al merito - e non al profilo preliminare dell'ammissibilità - la valutazione della forza persuasiva degli argomenti addotti a sostegno delle censure. ( Precedente citato: sentenza n. 259 del 2017 ).

Parametri costituzionali

Stato civile - Unione civile - Cognome comune - Intestazione della scheda anagrafica individuale al cognome posseduto prima dell'unione civile, anziché al cognome comune eventualmente adottato - Conseguente annullamento dell'annotazione relativa alla scelta del cognome effettuata - Denunciata violazione del diritto al nome - Carente argomentazione - Inammissibilità delle questioni.

Sono dichiarate inammissibili, per carente argomentazione, le questioni di legittimità costituzionale - sollevate dal Tribunale di Ravenna in riferimento all'art. 22 Cost. - degli artt. 3, lett. c), n. 2), e 8 del d.lgs. n. 5 del 2017, che rispettivamente intestano le schede anagrafiche al cognome posseduto prima dell'unione civile, e dispongono l'annullamento dell'annotazione relativa alla scelta del cognome effettuata. Il rimettente, osservato che il nome costituisce elemento distintivo della personalità, omette qualsiasi argomentazione a sostegno del denunciato contrasto tra le disposizioni censurate e il parametro evocato, il quale esclude la privazione del nome per motivi politici. Inoltre, nessun argomento è svolto circa la natura politica della lamentata privazione. Per costante giurisprudenza costituzionale, non basta l'indicazione delle norme da raffrontare per valutare la compatibilità dell'una rispetto al contenuto precettivo dell'altra, ma è necessario motivare il giudizio negativo in tal senso e, se del caso, illustrare i passaggi interpretativi operati al fine di enucleare i rispettivi contenuti di normazione. ( Precedenti citati: sentenze n. 240 del 2017, n. 35 del 2017, n. 120 del 2015 e n. 236 del 2011; ordinanze n. 26 del 2012, n. 321 del 2010 e n. 181 del 2009 ).

Parametri costituzionali

Stato civile - Unione civile - Cognome comune - Intestazione della scheda anagrafica individuale al cognome posseduto prima dell'unione civile, anziché al cognome comune eventualmente adottato - Denunciata irragionevolezza, nonché violazione della legge delega e del diritto al nome, in riferimento ai parametri convenzionali ed europei - Insussistenza - Non fondatezza delle questioni.

Sono dichiarate non fondate le questioni di legittimità costituzionale - sollevate dal Tribunale di Ravenna in riferimento agli artt. 2, 3, 11, 76 e 117, primo comma, Cost., quest'ultimo in relazione all'art. 8 CEDU e agli artt. 1 e 7 CDFUE - dell'art. 3, lett. c), n. 2), del d.lgs. n. 5 del 2017, che inserisce, nell'art. 20 del d.P.R. n. 223 del 1989, il comma 3-bis, prevedendo che per le parti dell'unione civile le schede devono essere intestate al cognome posseduto prima dell'unione civile. L'art. 1, comma 10, della legge delega n. 76 del 2016, laddove espressamente delimita la durata del cognome comune, eventualmente adottato, a quella dell'unione civile, determina che dallo scioglimento dell'unione civile, anche in caso di morte di una delle parti, discende la perdita automatica del cognome comune. Non discende invece né dalle norme costituzionali, né da quelle interposte richiamate, che il diritto al nome, quale elemento costitutivo dell'identità personale, debba concretizzarsi nel cognome comune, anche perché la ipotizzata valenza anagrafica del cognome comune sarebbe suscettibile di produrre effetti pregiudizievoli sulla sfera personale e giuridica dei figli di quella delle parti che avesse assunto tale cognome in sostituzione del proprio, in quanto, a seguito dello scioglimento dell'unione civile, i figli minori rimarrebbero privi di uno degli elementi che identificava il relativo nucleo familiare. È espressivo di un principio caratterizzante l'ordinamento dello stato civile che il cognome d'uso assunto dalla moglie a seguito di matrimonio non comporti alcuna variazione anagrafica del cognome originario. La natura paritaria e flessibile della disciplina del cognome comune da utilizzare durante l'unione civile e la facoltà di stabilirne la collocazione accanto a quello originario - anche in mancanza di modifiche della scheda anagrafica - costituiscono garanzia adeguata dell'identità della coppia unita civilmente e della sua visibilità nella sfera delle relazioni sociali in cui essa si trova ad esistere.

Parametri costituzionali

Stato civile - Unione civile - Cognome comune - Disciplina transitoria relativa alle unioni civili costituite tra la vigenza del d.p.c.m. n. 144 del 2016 e il d.lgs. n. 5 del 2017 - Annullamento dell'annotazione relativa alla scelta del cognome comune effettuata medio tempore - Denunciata irragionevolezza, nonché violazione della legge delega e del diritto all'identità personale, in riferimento ai parametri convenzionali ed europei - Insussistenza - Non fondatezza delle questioni.

Sono dichiarate non fondate le questioni di legittimità costituzionale - sollevate dal Tribunale di Ravenna, in riferimento agli artt. 2, 3, 11, 76 e 117, primo comma, Cost., quest'ultimo in relazione all'art. 8 CEDU e agli artt. 1 e 7 CDFUE - dell'art. 8 del d.lgs. n. 5 del 2017, che detta una disciplina transitoria per le unioni civili costituite nell'intervallo temporale tra il d.P.C.m. n. 144 del 2016 e il medesimo decreto legislativo, nelle quali sia stata esercitata l'opzione per il cognome comune e altresì effettuata la variazione anagrafica - successivamente esclusa dall'art. 3, lett. c), n. 2), del decreto - prevedendo l'applicazione della procedura di correzione dell'art. 98 del d.P.R. n. 396 del 2000, con conseguente annullamento dell'annotazione relativa alla scelta del cognome effettuata. Il legislatore delegato ha previsto la caducazione delle annotazioni effettuate medio tempore, in applicazione di una fonte normativa, provvisoria e di carattere secondario - quale il d.P.C.m. indicato - non coerente con i principi della legge delega. Né è violato l'asserito diritto ad una nuova identità personale, perché la dichiarata transitorietà del d.P.C.m. n. 144 e la relativa brevità del suo orizzonte temporale escludono che le novità da esso introdotte abbiano determinato un ragionevole affidamento in ordine all'emersione e al consolidamento di un nuovo tratto identificativo della persona; non é infine fondata la censura di irragionevolezza, in quanto il modello procedimentale prescelto dal legislatore delegato garantisce il contraddittorio, consentendo, sia pure in una fase differita, di contestare l'annullamento delle annotazioni anagrafiche suddette. ( Precedente citato: sentenza n. 13 del 1994 ).

Parametri costituzionali

Delegazione legislativa - Controllo di conformità della norma delegata alla norma delegante - Criteri di ordine generale - Rapporto di coerente sviluppo e completamento tra le norme delegate e le scelte del legislatore delegante - Interpretazione delle disposizioni delegate nel significato compatibile con i principi ed i criteri direttivi della delega - Successivo confronto tra gli esiti dei due paralleli processi ermeneutici - Riconoscimento al legislatore delegato di discrezionalità limitata.

Per costante giurisprudenza costituzionale, la previsione di cui all'art. 76 Cost. non osta all'emanazione, da parte del legislatore delegato, di norme che rappresentino un coerente sviluppo e un completamento delle scelte espresse dal legislatore delegante, dovendosi escludere che la funzione del primo sia limitata ad una mera scansione linguistica di previsioni stabilite dal secondo. Il sindacato costituzionale sulla delega legislativa deve svolgersi attraverso un confronto tra gli esiti di due processi ermeneutici paralleli, riguardanti, da un lato, le disposizioni che determinano l'oggetto, i princìpi e i criteri direttivi indicati dalla legge di delegazione e, dall'altro, le disposizioni stabilite dal legislatore delegato, da interpretarsi nel significato compatibile con i princìpi e i criteri direttivi della delega. Il che, se porta a ritenere del tutto fisiologica quell'attività normativa di completamento e sviluppo delle scelte del delegante, circoscrive, d'altra parte, il vizio in discorso ai casi di dilatazione dell'oggetto indicato dalla legge di delega, fino all'estremo di ricomprendere in esso materie che ne erano escluse. ( Precedenti citati: sentenze n. 194 del 2015, n. 229 del 2014, n. 182 del 2014 e n. 50 del 2014 ).

Parametri costituzionali