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Pronuncia 34/2020

Sentenza

Collegio

composta dai signori: Presidente: Aldo CAROSI; Giudici : Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI,

Epigrafe

ha pronunciato la seguente nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 593 del codice di procedura penale, come sostituito dall'art. 2, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 6 febbraio 2018, n. 11, recante «Disposizioni di modifica della disciplina in materia di giudizi di impugnazione in attuazione della delega di cui all'articolo 1, commi 82, 83 e 84, lettere f), g), h), i), l) e m), della legge 23 giugno 2017, n. 103», promosso dalla Corte d'appello di Messina nel procedimento penale a carico di G. A., con ordinanza del 18 gennaio 2019, iscritta al n. 88 del registro ordinanze 2019 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 24, prima serie speciale, dell'anno 2019. Udito nella camera di consiglio del 4 dicembre 2019 il Giudice relatore Franco Modugno.

Dispositivo

per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 593 del codice di procedura penale, come sostituito dall'art. 2, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 6 febbraio 2018, n. 11, recante «Disposizioni di modifica della disciplina in materia di giudizi di impugnazione in attuazione della delega di cui all'articolo 1, commi 82, 83 e 84, lettere f), g), h), i), l) e m), della legge 23 giugno 2017, n. 103», sollevate, in riferimento agli artt. 3, 27, 97 e 111 della Costituzione, dalla Corte d'appello di Messina con l'ordinanza indicata in epigrafe. Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 dicembre 2019. F.to: Aldo CAROSI, Presidente Franco MODUGNO, Redattore Roberto MILANA, Cancelliere Depositata in Cancelleria il 26 febbraio 2020. Il Direttore della Cancelleria F.to: Roberto MILANA

Relatore: Franco Modugno

Data deposito:

Tipologia: S

Presidente: CAROSI

Massime

Processo penale - Principio di parità tra accusa e difesa - Alterazioni all'identità di poteri e facoltà tra pubblico ministero e imputato - Possibilità, nei limiti della ragionevolezza.

Il principio di parità tra accusa e difesa, che trova il suo referente più immediato nella specifica previsione dell'art. 111, secondo comma, Cost., non comporta necessariamente l'identità dei poteri processuali del pubblico ministero e del difensore dell'imputato, in quanto le fisiologiche differenze che connotano le posizioni delle due parti, correlate alle diverse condizioni di operatività e ai differenti interessi di cui sono portatrici, rendono compatibili con il suddetto principio alterazioni della simmetria dei rispettivi poteri e facoltà, purché tali alterazioni trovino un'adeguata ratio giustificatrice nel ruolo istituzionale del pubblico ministero, ovvero in esigenze di funzionale e corretta esplicazione della giustizia, e risultino contenute entro i limiti della ragionevolezza. ( Precedenti citati: sentenze n. 298 del 2008, n. 320 del 2007, n. 26 del 2007, n. 115 del 2001, n. 98 del 1994, n. 432 del 1992 e n. 363 del 1991; ordinanze n. 46 del 2004, n. 110 del 2003, n. 165 del 2003, n. 347 del 2002, n. 421 del 2001, n. 426 del 1998, n. 324 del 1994 e n. 305 del 1992 ).

Parametri costituzionali

Processo penale - Impugnazione nel merito della sentenza di primo grado - Potere del pubblico ministero - Maggiore cedevolezza rispetto al simmetrico potere dell'imputato.

Il potere di impugnazione nel merito della sentenza di primo grado da parte del pubblico ministero presenta margini di "cedevolezza" più ampi rispetto al simmetrico potere dell'imputato, in quanto il potere di impugnazione della parte pubblica non può essere configurato come proiezione necessaria del principio dell'obbligatorietà dell'azione penale, enunciato dall'art. 112 Cost., mentre, sull'altro fronte, il potere dell'imputato si correla anche al fondamentale valore espresso dal diritto di difesa, che ne accresce la forza di resistenza al cospetto di sollecitazioni di segno inverso. ( Precedenti citati: sentenze n. 183 del 2017, n. 274 del 2009, n. 242 del 2009, n. 298 del 2008, n. 26 del 2007, n. 280 del 1995 e n. 98 del 1994; ordinanze n. 165 del 2003 e n. 347 del 2002 ). La garanzia del doppio grado di giurisdizione non fruisce, di per sé, di riconoscimento costituzionale. ( Precedenti citati: sentenze n. 274 del 2009, n. 242 del 2009, n. 298 del 2008, n. 26 del 2007, n. 288 del 1997 e n. 280 del 1995; ordinanze n. 316 del 2002 e n. 421 del 2001 ).

Parametri costituzionali

Processo penale - Appello contro le sentenze di condanna - Potere del pubblico ministero di proporlo - Limitazione alle sentenze che modificano il titolo del reato o escludono la sussistenza di una circostanza aggravante ad effetto speciale o stabiliscono una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato - Denunciata violazione dei principi di parità tra le parti processuali, di ragionevolezza e di buon andamento dell'amministrazione della giustizia, nonché della finalità rieducativa della pena - Insussistenza - Non fondatezza delle questioni.

Sono dichiarate non fondate le questioni di legittimità costituzionale, sollevate dalla Corte d'appello di Messina in riferimento agli artt. 3, 27, 97 e 111 Cost., dell'art. 593 cod. proc. pen., come sostituito dall'art. 2, comma 1, lett. a ), del d.lgs. n. 11 del 2018, nella parte in cui prevede che il pubblico ministero può appellare contro le sentenze di condanna solo quando modificano il titolo del reato o escludono la sussistenza di una circostanza aggravante ad effetto speciale o stabiliscono una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato. La limitazione indicata non è incompatibile con il principio di parità delle parti, in quanto persegue la finalità di assicurare la ragionevole durata del processo e riguarda sentenze che hanno accolto, nell'an, la "domanda di punizione", senza incidere in modo significativo sulla prospettazione accusatoria, risultando quindi contenuta e non sproporzionata rispetto all'obiettivo, e, sul piano sistematico, non intrinsecamente irragionevole, atteso che il limite, riferito solo al quantum della pena inflitta, è comunque meno ampio rispetto a quello previsto per il rito abbreviato; il p.m., inoltre, resta pur sempre abilitato ad attivare il controllo della Cassazione sulla motivazione che sorregge il dosaggio della pena mediante il ricorso immediato. Infondate sono anche le censure di violazione del principio del buon andamento dell'amministrazione della giustizia, che non è riferibile all'attività giurisdizionale, e della funzione rieducativa della pena, parametro non pertinente alla tematica della limitazione dei poteri di appello del pubblico ministero. ( Precedenti citati: sentenze n. 274 del 2009, n. 242 del 2009, n. 298 del 2008, n. 85 del 2008, n. 320 del 2007, n. 26 del 2007, n. 98 del 1994 e n. 363 del 1991; ordinanze n. 46 del 2004, n. 165 del 2003, n. 347 del 2002, n. 421 del 2001, n. 305 del 1992 e n. 373 del 1991 ). Per costante giurisprudenza, il principio del buon andamento è riferibile all'amministrazione della giustizia soltanto per quanto attiene all'organizzazione e al funzionamento degli uffici giudiziari, non all'attività giurisdizionale. ( Precedenti citati: sentenze n. 90 del 2019, n. 91 del 2018, n. 44 del 2016 e n. 66 del 2014 ). La funzione rieducativa della pena non postula imprescindibilmente che sia assicurato un controllo di merito sulla quantificazione della sanzione operata dal giudice di primo grado, intesa a evitare che siano inflitte pene sproporzionate per difetto. ( Precedente citato: sentenza n. 155 del 2019 ).

Norme citate