Processo penale - Giudizio abbreviato - Contestazioni suppletive di reati connessi a norma dell'art. 12, comma 1, lett. b) , cod. proc. pen. - Possibilità per il pubblico ministero di effettuare contestazioni suppletive anche in assenza di integrazioni probatorie disposte dal giudice e sulla base di fatti e circostanze già in atti e noti all'imputato - Mancata previsione - Ritenuta violazione del diritto di difesa nonché dei principi di uguaglianza, di obbligatorietà dell'esercizio dell'azione penale, di buon andamento dell'amministrazione della giustizia e del giusto processo - Esclusione - Non fondatezza della questione.
Non è fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 441 e 441- bis cod. proc. pen. Non ricorre, in primo luogo, la prospettata violazione dell'art. 3 Cost., essendo le due ipotesi poste a raffronto - giudizio abbreviato con e senza integrazione probatoria - tra loro non equiparabili ai fini considerati: soltanto nella prima, e non nella seconda, si prospetta l'esigenza di rendere possibile un eventuale adeguamento dell'imputazione a nuove acquisizioni, che il pubblico ministero non aveva potuto in precedenza considerare. D'altro canto, e proprio in tale logica, il vigente assetto normativo consente - se non addirittura impone, anche ad evitare un diverso vulnus costituzionale - di ritenere che, nel caso di integrazione probatoria, la contestazione suppletiva possa derivare solo dalle nuove risultanze di essa, e non anche da quanto era già precedentemente noto alle parti: donde l'insussistenza della stessa ipotizzata esigenza di omologazione, su quest'ultimo versante, della disciplina relativa al giudizio abbreviato rimasto privo di arricchimenti del panorama probatorio. Nessuna violazione dell'art. 112 Cost. appare poi configurabile, per l'assorbente ragione che il pubblico ministero conserva comunque la possibilità di esercitare l'azione penale per il reato connesso, non "tempestivamente" contestato, nei modi ordinari e in un processo separato. Né sussiste lesione dei principi e i connotati del «giusto processo» (art. 111 Cost.) - tantomeno quello della «lealtà processuale delle parti», che il giudice a quo assume insito negli enunciati costituzionali -, in quanto la preclusione in esame risulta anzi coerente con essi, impedendo ad una delle parti di mutare e imporre unilateralmente il tema del giudizio abbreviato. Inconferente è, poi, il riferimento al principio di buon andamento dei pubblici uffici (art. 97 Cost.), trattandosi di principio riferibile all'amministrazione della giustizia solo per quanto attiene all'organizzazione e al funzionamento degli uffici giudiziari e non all'attività giurisdizionale in senso stretto. Infine, non è ravvisabile alcuna violazione del diritto di difesa (art. 24 Cost.), in quanto la disciplina censurata è posta a garanzia dell'imputato; in ogni caso, il diritto di difesa non potrebbe considerarsi compromesso dal mero «aggravio» derivante dallo svolgimento di processi separati per reati in continuazione. Infatti, ciò non impedisce che l'imputato possa esplicare il diritto stesso, con pienezza di garanzie, in tutte le diverse sedi processuali nelle quali vengono esaminati i reati esecutivi del medesimo disegno criminoso, fino ad ottenerne il riconoscimento in sede di esecuzione, nel caso di separate pronunce (art. 671 cod. proc. pen.). Sulle valutazioni dell'imputato in ordine alla convenienza dei riti alternativi al dibattimento, v. citate sentenze n. 333/2009 e n. 265/1994. In senso analogo, sull'art. 97 Cost., v. citate sentenze n. 64/2009 e n. 117/2007, ordinanza n. 408/2008. In senso analogo, sul diritto di difesa, v. citate sentenza n. 64/2009; con riguardo ad altra ipotesi di connessione di procedimenti, sentenza n. 198/1972.