Pronuncia 286/2016

Sentenza

Collegio

composta dai signori: Presidente: Paolo GROSSI; Giudici : Alessandro CRISCUOLO, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI,

Epigrafe

ha pronunciato la seguente nel giudizio di legittimità costituzionale della norma desumibile dagli artt. 237, 262 e 299 del codice civile, 72, primo comma, del regio decreto 9 luglio 1939, n. 1238 (Ordinamento dello stato civile) e 33 e 34 del d.P.R. 3 novembre 2000, n. 396 (Regolamento per la revisione e la semplificazione dell'ordinamento dello stato civile, a norma dell'articolo 2, comma 12, della L. 15 maggio 1997, n. 127), promosso dalla Corte di appello di Genova, nel procedimento proposto da M.M. e M.G., con ordinanza del 28 novembre 2013, iscritta al n. 31 del registro ordinanze 2014 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 13, prima serie speciale, dell'anno 2014. Visto l'atto di costituzione di M.M. e M.G., in proprio e nella qualità di esercenti la potestà sul minore V., nonché l'atto di intervento dell'Associazione Rete per la Parità; udito nell'udienza pubblica dell'8 novembre 2016 il Giudice relatore Giuliano Amato; uditi gli avvocati Antonella Anselmo per l'Associazione Rete per la Parità e Susanna Schivo per M.M. e M.G., in proprio e nella qualità di esercenti la potestà sul minore V.

Dispositivo

per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE 1) dichiara l'illegittimità costituzionale della norma desumibile dagli artt. 237, 262 e 299 del codice civile; 72, primo comma, del regio decreto 9 luglio 1939, n. 1238 (Ordinamento dello stato civile); e 33 e 34 del d.P.R. 3 novembre 2000, n. 396 (Regolamento per la revisione e la semplificazione dell'ordinamento dello stato civile, a norma dell'articolo 2, comma 12, della L. 15 maggio 1997, n. 127), nella parte in cui non consente ai coniugi, di comune accordo, di trasmettere ai figli, al momento della nascita, anche il cognome materno; 2) dichiara in via consequenziale, ai sensi dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), l'illegittimità costituzionale dell'art. 262, primo comma, cod. civ., nella parte in cui non consente ai genitori, di comune accordo, di trasmettere al figlio, al momento della nascita, anche il cognome materno; 3) dichiara in via consequenziale, ai sensi dell'art. 27 della legge n. 87 del 1953, l'illegittimità costituzionale dell'art. 299, terzo comma, cod. civ., nella parte in cui non consente ai coniugi, in caso di adozione compiuta da entrambi, di attribuire, di comune accordo, anche il cognome materno al momento dell'adozione. Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'8 novembre 2016. F.to: Paolo GROSSI, Presidente Giuliano AMATO, Redattore Carmelinda MORANO, Cancelliere Depositata in Cancelleria il 21 dicembre 2016. Il Cancelliere F.to: Carmelinda MORANO Allegato:ordinanza letta all'udienza dell'8 novembre 2016ORDINANZARilevato che, nel giudizio promosso dalla Corte di appello di Genova con ordinanza del 28 novembre 2013 (reg. ord. n. 31 del 2014), il 7 aprile 2014 ha depositato atto di intervento l'associazione Rete per la Parità, in persona del proprio legale rappresentante pro tempore.Considerato che l'Associazione Rete per la Parità non riveste la qualità di parte del giudizio principale;che la costante giurisprudenza di questa Corte (tra le tante, le ordinanze allegate alla sentenza n. 134 del 2013 e all'ordinanza n. 318 del 2013) è nel senso che la partecipazione al giudizio incidentale di legittimità costituzionale è circoscritta, di norma, alle parti del giudizio a quo, oltre che al Presidente del Consiglio dei ministri e, nel caso di legge regionale, al Presidente della Giunta regionale (artt. 3 e 4 delle norme integrative per i giudizi dinanzi alla Corte costituzionale);che a tale disciplina è possibile derogare - senza venire in contrasto con il carattere incidentale del giudizio di costituzionalità - soltanto a favore di soggetti terzi che siano titolari di un interesse qualificato, immediatamente inerente al rapporto sostanziale dedotto in giudizio e non semplicemente regolato, al pari di ogni altro, dalla norma o dalle norme oggetto di censura (ex plurimis, sentenze n. 76 del 2016; n. 221 del 2015 e relativa ordinanza letta all'udienza del 20 ottobre 2015; n. 162 del 2014 e relativa ordinanza letta all'udienza dell'8 aprile 2014; n. 293 e n. 118 del 2011; n. 138 del 2010 e relativa ordinanza letta all'udienza del 23 marzo 2010; ordinanze n. 240 del 2014; n. 156 del 2013; n. 150 del 2012 e relativa ordinanza letta all'udienza del 22 maggio 2012);che, pertanto, sulla posizione soggettiva della parte interveniente l'eventuale declaratoria di illegittimità della legge deve produrre lo stesso effetto che produce sul rapporto oggetto del giudizio a quo;che il presente giudizio - che ha ad oggetto la norma desumibile dagli artt. 237, 262 e 299 del codice civile, 72, primo comma, del regio decreto 9 luglio 1939, n. 1238 (Ordinamento dello stato civile) e 33 e 34 del decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396 (Regolamento per la revisione e la semplificazione dell'ordinamento dello stato civile, a norma dell'articolo 2, comma 12, della L. 15 maggio 1997, n. 127), nella parte in cui prevede «l'automatica attribuzione del cognome paterno al figlio legittimo, in presenza di una diversa contraria volontà dei genitori» - non sarebbe destinato a produrre, nei confronti dell'Associazione interveniente, effetti immediati, neppure indiretti;che, pertanto, essa non riveste la posizione di terzo legittimato a partecipare al giudizio dinanzi a questa Corte.PER QUESTI MOTIVILA CORTE COSTITUZIONALEdichiara inammissibile l'intervento dell'Associazione Rete per la Parità.F.to: Paolo Grossi, Presidente

Relatore: Giuliano Amato

Data deposito: Wed Dec 21 2016 00:00:00 GMT+0000 (Coordinated Universal Time)

Tipologia: S

Presidente: GROSSI

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Massime

Contraddittorio davanti alla Corte costituzionale - Intervento nel giudizio incidentale - Soggetto non titolare di un interesse qualificato inerente in modo diretto e immediato al rapporto sostanziale dedotto in giudizio - Difetto di legittimazione - Inammissibilità dell'intervento.

È dichiarato inammissibile, per difetto di legittimazione, l'intervento dell'Associazione Rete per la Parità nel giudizio incidentale di costituzionalità avente ad oggetto la norma (desumibile dagli artt. 237, 262 e 299 cod. civ., 72, primo comma, del r.d. n. 1238 del 1939, 33 e 34 del d.P.R. n. 396 del 2000) che prevede l'automatica attribuzione del cognome paterno al figlio nato in costanza di matrimonio, pur in presenza di una diversa contraria volontà dei genitori. L'interveniente - che non è parte del giudizio a quo - non riveste la posizione di terzo legittimato a partecipare al giudizio incidentale, non essendo quest'ultimo destinato a produrre, nei suoi confronti, effetti immediati e neppure indiretti. Per costante giurisprudenza, la partecipazione al giudizio incidentale di legittimità costituzionale è circoscritta, di norma, alle parti del giudizio a quo , oltre che al Presidente del Consiglio dei ministri e, nel caso di legge regionale, al Presidente della Giunta regionale (artt. 3 e 4 delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale). A tale disciplina è possibile derogare - senza venire in contrasto con il carattere incidentale del giudizio - soltanto a favore di soggetti terzi che siano titolari di un interesse qualificato, immediatamente inerente al rapporto sostanziale dedotto in giudizio e non semplicemente regolato, al pari di ogni altro, dalla norma o dalle norme oggetto di censura. Perché l'intervento sia ammissibile, l'eventuale declaratoria di incostituzionalità della legge deve, quindi, produrre sulla posizione soggettiva degli intervenienti lo stesso effetto che produce sul rapporto oggetto del giudizio a quo . ( Precedenti citati: sentenze n. 76 del 2016, n. 221 del 2015, n. 162 del 2014 e relative ordinanze dibattimentali, n. 293 del 2011, n. 118 del 2011, n. 138 del 2010 e relativa ordinanza dibattimentale; ordinanze n. 240 del 2014, n. 156 del 2013; ordinanze allegate alla sentenza n. 134 del 2013 e all'ordinanza n. 318 del 2013; ordinanza n. 150 del 2012 e relativa ordinanza dibattimentale ).

Norme citate

Parametri costituzionali

  • norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale (7/10/2008)-Art. 3
  • norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale (7/10/2008)-Art. 4

Oggetto del giudizio - Norma non espressamente prevista, ma implicitamente presupposta e desumibile da disposizioni regolatrici di fattispecie diverse - Attuale vigenza e forza imperativa nel sistema - Sottoponibilità allo scrutinio incidentale di legittimità costituzionale.

Non vi è ragione di dubitare dell'attuale vigenza e forza imperativa della norma in base alla quale il cognome del padre si estende ipso iure al figlio. Sebbene non abbia trovato corpo in una disposizione espressa, essa è presupposta e desumibile dalle disposizioni, regolatrici di fattispecie diverse, individuate dal rimettente (artt. 237, 262 e 299 cod. civ., 33 e 34 del d.P.R. n. 396 del 2000; nonché, solo a fini esplicativi, art. 72, primo comma, del r.d. n. 1238 del 1939, abrogato dall'art. 110 del citato d.P.R.), e la sua perdurante immanenza nel sistema, come traduzione in regola dello Stato di un'usanza consolidata nel tempo, è stata già riconosciuta sia dalla giurisprudenza costituzionale, sia dalla giurisprudenza di legittimità. ( Precedenti citati: sentenze n. 61 del 2006 e n. 176 del 1988; ordinanze n. 145 del 2007 e n. 586 del 1988 ).

Norme citate

Thema decidendum - Ricognizione da parte della Corte - Riferimento al petitum formulato dal rimettente - Corrispondente limitazione dell'accertamento (e della dichiarazione) di illegittimità costituzionale della norma censurata.

L'estensione ipso iure del cognome del padre al figlio è censurata dalla rimettente Corte d'appello di Genova per la sola parte in cui non consente ai genitori - i quali ne facciano concorde richiesta al momento della nascita - di attribuire al figlio anche il cognome materno. Essendo la Corte chiamata a risolvere la questione come formulata dal rimettente, l'accertamento della illegittimità della norma censurata è, pertanto, limitato alla sola ipotesi in cui sia presente una comune volontà dei coniugi di trasmettere ai figli, al momento della nascita, anche il cognome materno.

Norme citate

Nome - Cognome del figlio nato nel matrimonio (prima del 2013, figlio legittimo) - Trasmissione automatica del cognome paterno - Possibilità per i coniugi, di comune accordo, di trasmettere, al momento della nascita, anche il cognome materno - Omessa previsione - Violazione del diritto all'identità personale del minore, del principio di uguaglianza e della parità morale e giuridica dei coniugi - Illegittimità costituzionale in parte qua.

È dichiarata costituzionalmente illegittima - per violazione degli artt. 2, 3 e 29 Cost. - la norma desumibile dagli artt. 237, 262 e 299 cod. civ., 72, primo comma, del r.d. n. 1238 del 1939, 33 e 34 del d.P.R. n. 396 del 2000, nella parte in cui non consente ai coniugi, di comune accordo, di trasmettere ai figli, al momento della nascita, anche il cognome materno. La norma censurata dalla Corte d'appello di Genova, impedendo alla madre di attribuire al figlio, sin dalla nascita, il proprio cognome, e al figlio di essere identificato, sin dalla nascita, anche con il cognome materno, pregiudica il diritto all'identità personale del minore e, al contempo, costituisce un'irragionevole disparità di trattamento fra i coniugi, in nessun modo giustificata dalla finalità di salvaguardia dell'unità familiare. La piena ed effettiva realizzazione del diritto all'identità personale - che ha copertura costituzionale assoluta e che nel nome trova il suo primo ed immediato riscontro - e il riconoscimento del paritario rilievo di entrambe le figure genitoriali nel processo di costruzione dell'identità personale impongono l'affermazione del diritto del figlio ad essere identificato, sin dalla nascita, attraverso l'attribuzione del cognome di entrambi i genitori. La diversità di trattamento dei coniugi nell'attribuzione del cognome ai figli, in quanto espressione di una superata concezione patriarcale della famiglia e dei rapporti fra coniugi, non è compatibile né con il principio di uguaglianza, né con il principio di "eguaglianza morale e giuridica dei coniugi", poiché la perdurante mortificazione del diritto della madre a che il figlio acquisti anche il suo cognome - lungi dal garantire - contraddice, ora come allora, quella finalità di salvaguardia dell'unità familiare (art. 29, secondo comma, Cost.), individuata quale ratio giustificatrice, in generale, di eventuali deroghe alla parità dei coniugi. ( Precedenti citati: ordinanze n. 176 del 1988 e n. 586 del 1988, sulla possibilità per il legislatore di introdurre un criterio di trasmissione del cognome più rispettoso dell'autonomia dei coniugi e capace di conciliare i due principi sanciti dall'art. 29 Cost.; sentenza n. 61 del 2006, sulla incompatibilità della norma in esame con l'uguaglianza morale e giuridica dei coniugi e sulla sua incoerenza con i principi dell'ordinamento e con il valore costituzionale dell'uguaglianza tra uomo e donna ). Il valore dell'identità della persona, nella pienezza e complessità delle sue espressioni, e la consapevolezza della valenza, pubblicistica e privatistica, del diritto al nome, quale punto di emersione dell'appartenenza del singolo a un gruppo familiare, portano ad individuare nei criteri di attribuzione del cognome del minore profili determinanti della sua identità personale, che si proietta nella sua personalità sociale, ai sensi dell'art. 2 Cost. ( Precedenti citati: sentenze n. 297 del 1996, sul cognome come autonomo segno distintivo della identità personale; sentenze n. 120 del 2001 e n. 268 del 2002, sul cognome come tratto essenziale della personalità; sentenza n. 278 del 2013, sul cognome quale "elemento significativo nel sistema costituzionale di tutela della persona"; Corte EDU 7 gennaio 2014, Cusan e Fazzo c. Italia, secondo cui l'impossibilità per i genitori di attribuire al figlio, alla nascita, il cognome della madre, anziché quello del padre, integra violazione dell'art. 14 - divieto di discriminazione - in combinato disposto con l'art. 8 - diritto al rispetto della vita privata e familiare - della CEDU ). La finalità di salvaguardia dell'unità familiare, di cui all'art. 29, secondo comma, Cost., non giustifica diversità di trattamento dei coniugi, in quanto è proprio l'eguaglianza che garantisce quella unità e, viceversa, è la diseguaglianza a metterla in pericolo, rafforzandosi l'unità nella misura in cui i reciproci rapporti fra i coniugi sono governati dalla solidarietà e dalla parità. ( Precedente citato: sentenza n. 133 del 1970 ).

Norme citate

Thema decidendum - Accoglimento della questione di costituzionalità in riferimento ad alcuni dei parametri evocati - Assorbimento della censura riferita ad altro parametro.

Dichiarata l'illegittimità costituzionale in parte qua della norma desumibile dagli artt. 237, 262 e 299 cod. civ., 72, primo comma, del r.d. n. 1238 del 1939, 33 e 34 del d.P.R. n. 396 del 2000, per violazione degli artt. 2, 3 e 29 Cost., rimane assorbita l'ulteriore censura riferita all'art. 117, primo comma, Cost.

Norme citate

Parametri costituzionali

Nome - Cognome del figlio nato fuori del matrimonio (prima del 2013, figlio naturale) - Assunzione del cognome paterno in caso di riconoscimento contemporaneo da parte di entrambi i genitori - Possibilità per questi ultimi, di comune accordo, di trasmettere, al momento della nascita, anche il cognome materno - Omessa previsione - Preclusione identica a quella dichiarata incostituzionale per il figlio nato nel matrimonio - Illegittimità costituzionale consequenziale in parte qua.

È dichiarato costituzionalmente illegittimo in via consequenziale - ai sensi dell'art. 27 della legge n. 87 del 1953 - l'art. 262, primo comma, cod. civ., nella parte in cui non consente ai genitori, di comune accordo, di trasmettere al figlio, al momento della nascita, anche il cognome materno. La disposizione contiene - con riferimento alla fattispecie del riconoscimento del figlio nato fuori del matrimonio (prima del 2013, figlio naturale) effettuato contemporaneamente da entrambi i genitori - una norma identica a quella dichiarata in contrasto con la Costituzione per il figlio nato nel matrimonio.

Parametri costituzionali

  • legge-Art. 27

Nome - Cognome dell'adottato maggiorenne - Assunzione automatica del cognome del marito in caso di adozione da parte di entrambi i coniugi - Possibilità per questi ultimi di attribuire, di comune accordo, anche il cognome della moglie al momento dell'adozione - Omessa previsione - Preclusione identica a quella dichiarata incostituzionale per il figlio nato nel matrimonio - Illegittimità costituzionale consequenziale in parte qua.

È dichiarato costituzionalmente illegittimo in via consequenziale - ai sensi dell'art. 27 della legge n. 87 del 1953 - l'art. 299, terzo comma, cod. civ., nella parte in cui non consente ai coniugi, in caso di adozione compiuta da entrambi, di attribuire, di comune accordo, anche il cognome materno al momento dell'adozione. La disposizione contiene - con riferimento alla fattispecie dell'adozione di persona maggiore d'età da parte di coniugi - una norma identica a quella dichiarata in contrasto con la Costituzione per il figlio nato nel matrimonio.

Parametri costituzionali

  • legge-Art. 27

Pronunce della Corte costituzionale - Dichiarazione di parziale incostituzionalità di norme relative alla trasmissione del cognome - Portata limitata all'ipotesi di accordo dei genitori - Conseguenze - Residua applicabilità, in assenza di accordo, della generale previsione dell'attribuzione del (solo) cognome paterno - indifferibilità di un intervento organico del legislatore.

In assenza dell'accordo tra i genitori sulla trasmissione, al momento della nascita, del cognome materno al figlio, residua la generale previsione dell'attribuzione del cognome paterno, in attesa di un indifferibile intervento legislativo, destinato a disciplinare organicamente la materia, secondo criteri finalmente consoni al principio di parità.