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Pronuncia 17/2017

Sentenza

Collegio

composta dai signori: Presidente: Paolo GROSSI; Giudici : Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI,

Epigrafe

ha pronunciato la seguente nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 275, comma 4, del codice di procedura penale promosso dal Tribunale ordinario di Roma nei procedimenti penali riuniti (n. 12621/15 e n. 15385/15) a carico di C.M. e altri con ordinanza dell'11 novembre 2015, iscritta al n. 64 del registro ordinanze 2016 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 14, prima serie speciale, dell'anno 2016. Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; udito nella camera di consiglio del 7 dicembre 2016 il Giudice relatore Nicolò Zanon.

Dispositivo

per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 275, comma 4, del codice di procedura penale, sollevate, in riferimento agli artt. 3, 13, 24, 31 e 111 della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Roma, con l'ordinanza indicata in epigrafe. Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 dicembre 2016. F.to: Paolo GROSSI, Presidente Nicolò ZANON, Redattore Roberto MILANA, Cancelliere Depositata in Cancelleria il 24 gennaio 2017. Il Direttore della Cancelleria F.to: Roberto MILANA

Relatore: Nicolò Zanon

Data deposito:

Tipologia: S

Presidente: GROSSI

Massime

Processo penale - Misure cautelari - Custodia cautelare in carcere - Applicazione nei confronti della madre di minori imputata per gravi reati - Divieto solo in presenza di prole di età non superiore a sei anni - Conseguente applicazione automatica della custodia carceraria al compimento del sesto anno di età del minore - Denunciata impossibilità per il giudice di valutare le peculiarità del caso concreto - Dedotta violazione dell'effettività dell'obbligo di motivazione dei provvedimenti giurisdizionali in materia di libertà personale nonché del diritto di difesa - Insussistenza dei vizi ipotizzati - Riferibilità del censurato automatismo alla presunzione legale di adeguatezza della sola custodia cautelare carceraria per gli imputati di alcuni gravi reati (tra cui l'associazione di tipo mafioso) - Non fondatezza della questione.

È dichiarata non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 275, comma 4, cod. proc. pen., censurato dal Tribunale di Roma - in riferimento agli artt. 3, 13, 24 e 111 Cost. - nella parte in cui, prevedendo "che non possa essere disposta o mantenuta la custodia cautelare in carcere nei confronti di imputati [...] per gravi reati, che siano genitori di prole solo di età non superiore a sei anni", imporrebbe automaticamente l'applicazione della misura cautelare carceraria al compimento del sesto anno d'età del minore, senza permettere al giudice di valutare le particolarità del caso concreto, con asserita lesione dell'effettività dell'obbligo di motivazione dei provvedimenti giurisdizionali in materia di libertà personale. Il limite legislativo dei sei anni di età del minore - cui è condizionata l'operatività del divieto di custodia carceraria nei confronti della madre imputata per gravi delitti (in specie, di tipo mafioso) - non può essere accostato alle presunzioni legali assolute che comportano l'applicazione di determinate misure o pene sulla base di un titolo di reato, poiché il divieto di applicazione della custodia carceraria, previsto (salve esigenze cautelari di eccezionale rilevanza) dalla disposizione censurata, prescinde dal titolo di reato, riferendosi in generale ad alcune categorie di imputati (tra i quali la madre di figli minori infraseienni con lei conviventi). L'automatismo denunciato dal rimettente è, semmai, quello contenuto nell'art. 275, comma 3, cod. proc. pen., che stabilisce una presunzione - considerata non irragionevole dalla Corte costituzionale - di adeguatezza della sola custodia cautelare carceraria per gli imputati di alcuni gravi reati, tra i quali quello di cui all'art. 416-bis cod. pen. Al contrario, il censurato comma 4 dello stesso art. 275 comporta una deroga (sia pur soggetta a condizioni e limiti) ai criteri di scelta delle misure cautelari dettati dai precedenti commi dello stesso articolo, e, quindi, anche alla suddetta presunzione legale. ( Precedenti citati: sentenze n. 48 del 2015, n. 57 del 2013 e n. 265 del 2010, ordinanza n. 450 del 1995, sulla non irragionevolezza della valutazione legislativa, basata sull'id quod plerumque accidit, di adeguatezza della sola misura custodiale carceraria per gli imputati di reati di stampo mafioso ).

Minori - Interesse del minore a mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori - Riconoscimento e tutela sia nell'ordinamento costituzionale (con la previsione della protezione dell'infanzia), sia nell'ordinamento internazionale (in particolare, nella Convenzione sui diritti del fanciullo e nella Carta dei diritti fondamentali dell'UE) - Possibile bilanciamento con interessi contrapposti, anch'essi di rilievo costituzionale, come quelli di difesa sociale.

La giurisprudenza costituzionale ha più volte evidenziato la speciale rilevanza dell'interesse del figlio minore a vivere e a crescere nell'ambito della propria famiglia, mantenendo un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, ed ha riconosciuto che tale interesse è complesso e articolato in diverse situazioni giuridiche, che trovano riconoscimento e tutela sia nell'ordinamento costituzionale interno - il quale demanda alla Repubblica di proteggere l'infanzia, favorendo gli istituti necessari a tale scopo (art. 31, secondo comma, Cost.) - sia nell'ordinamento internazionale, nel quale gli artt. 3, comma 1, della Convenzione sui diritti del fanciullo, e 24, comma 2, della Carta dei diritti fondamentali dell'UE qualificano come "superiore" l'interesse del minore, stabilendo che in tutte le decisioni relative ad esso, adottate da autorità pubbliche o istituzioni private, tale interesse deve essere considerato "preminente": precetto, questo, che assume una pregnanza particolare quando si discuta dell'interesse del bambino in tenera età a godere dell'affetto e delle cure materne. ( Precedenti citati: sentenze n. 239 del 2014, n. 7 del 2013 e n. 31 del 2012 ). L'elevato rango dell'interesse del minore a fruire in modo continuativo dell'affetto e delle cure materne, tuttavia, non lo sottrae in assoluto ad un possibile bilanciamento con interessi contrapposti, pure di rilievo costituzionale, quali sono certamente quelli di difesa sociale, sottesi alle esigenze cautelari, laddove la madre sia imputata di gravi delitti. ( Precedente citato: sentenza n. 239 del 2014 ).

Parametri costituzionali

Processo penale - Misure cautelari - Custodia cautelare in carcere - Applicazione nei confronti della madre di minori imputata per gravi reati - Divieto solo in presenza di prole di età non superiore a sei anni - Denunciata lesione del "preminente" interesse del minore a fruire dell'affetto e delle cure materne dopo il sesto anno d'età - Dedotto contrasto con la garanzia costituzionale della protezione dell'infanzia (anche alla luce della Convenzione sui diritti del fanciullo) - Insussistenza del vizio ipotizzato - Bilanciamento legislativo non irragionevole tra le esigenze di difesa sociale e l'interesse del minore - Non fondatezza della questione.

È dichiarata non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 275, comma 4, cod. proc. pen., censurato dal Tribunale di Roma - in riferimento agli artt. 3 e 31, [secondo comma], Cost. (quest'ultimo anche alla luce della Convenzione sui diritti del fanciullo) - nella parte in cui, prevedendo "che non possa essere disposta o mantenuta la custodia cautelare in carcere nei confronti di imputati [...] per gravi reati, che siano genitori di prole solo di età non superiore a sei anni", sacrificherebbe irragionevolmente alle esigenze cautelari l'interesse del minore a fruire oltre tale età dell'assistenza e delle cure genitoriali. La disposizione censurata è frutto di un non irragionevole bilanciamento, compiuto necessariamente in astratto dal legislatore, tra le esigenze di difesa sociale, sottese a quelle cautelari, e l'interesse, anch'esso di rilievo costituzionale, alla protezione dell'infanzia, garantita dall'art. 31 Cost., poiché non preclude in assoluto alla madre imputata per gravi reati di accedere alla misura cautelare più idonea a garantire il suo rapporto col figlio minore in tenera età, ma stabilisce che tale accesso trova un limite laddove il minore abbia compiuto l'età di sei anni, la quale coincide (in base a dati di esperienza tenuti in conto nei lavori preparatori della legge n. 62 del 2011) con l'assunzione, da parte del minore, dei primi obblighi di scolarizzazione e, dunque, con l'inizio di un processo di relativa autonomizzazione rispetto alla madre. Non può quindi accogliersi la richiesta di una pronuncia additiva che - cancellando il bilanciamento non manifestamente irragionevole operato dal legislatore - attribuisca prevalenza assoluta all'interesse del minore, indipendentemente dalla sua età, a mantenere un rapporto continuativo con la madre; né minori incongruità produrrebbe una soluzione che affidasse alla discrezionalità del giudice penale l'apprezzamento, caso per caso, della particolare condizione del minore di qualsiasi età, derivando da essa l'incoerente condizione di un giudice penale chiamato ad applicare una misura nei confronti di un imputato, sulla base di valutazioni relative non già a quest'ultimo, ma a un soggetto terzo - il minore - estraneo al processo. ( Precedenti citati: sentenze n. 239 del 2014 e n. 177 del 2009, ordinanza n. 145 del 2009, sulla protezione costituzionale dell'infanzia ). I criteri oggettivi calibrati sull'età del minore - indicati da tutte le misure che i codici penale e di procedura penale e l'ordinamento penitenziario prevedono a tutela dei minori estranei al processo e non coinvolti nelle valutazioni sulla pericolosità del genitore imputato - costituiscono anche un efficace usbergo della serenità del giudice, chiamato a delicate decisioni, in special modo nei casi relativi a gravi delitti di criminalità organizzata. Nelle ipotesi in cui la giurisprudenza costituzionale ha consentito al giudice di derogare caso per caso a limiti o differenze di età fissati dal legislatore per l'adozione di minori, la valutazione più flessibile è condotta secondo modalità tutte interne al preminente interesse del minore, senza confliggere con altri, e opposti, interessi di rango costituzionale. ( Precedenti citati: sentenze n. 283 del 1999, n. 303 del 1996, n. 148 del 1992, n. 44 del 1990 e n. 183 del 1988 ).

Processo penale - Misure cautelari - Custodia cautelare in carcere - Applicazione nei confronti della madre di minori imputata per gravi reati - Divieto solo in presenza di prole di età non superiore a sei anni - Denunciata restrizione della tutela del preminente interesse del minore rispetto a quella assicurata, sino al compimento dell'età di dieci anni, ai minori figli di soggetti già condannati in via definitiva - Insussistenza del vizio ipotizzato - Diversità delle esigenze di difesa sociale poste in bilanciamento con l'interesse del minore nei due casi - Non fondatezza della questione.

È dichiarata non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 275, comma 4, cod. proc. pen., censurato dal Tribunale di Roma - in riferimento all'art. 3 Cost. - nella parte in cui, prevedendo "che non possa essere disposta o mantenuta la custodia cautelare in carcere nei confronti di imputati [...] per gravi reati, che siano genitori di prole solo di età non superiore a sei anni", tutelerebbe il preminente interesse dei minori, figli di genitori imputati, solo fino al sesto anno d'età, anziché fino al decimo, come previsto da varie disposizioni dell'ordinamento penitenziario per i minori figli di soggetti già condannati in via definitiva. Se è vero che l'interesse del minore non muta a seconda del titolo (cautelare o esecutivo) che legittima la restrizione della libertà personale del genitore, le esigenze di difesa sociale sono di natura profondamente diversa a seconda del titolo di detenzione, essendo le misure cautelari, a differenza della pena, volte a presidiare i pericula libertatis, cioè ad evitare la fuga, l'inquinamento delle prove e la commissione di reati. Ne consegue che il principio da porre in bilanciamento con l'interesse del minore è, nei due casi, differente. E non raggiunge, pertanto, il livello della irragionevolezza manifesta la circostanza che il bilanciamento tra tali distinte esigenze e l'interesse del minore fornisca esiti non coincidenti. ( Precedenti citati: sentenza n. 25 del 1979 e ordinanza n. 145 del 2009, sulle ben diverse funzioni della pena e della custodia cautelare in carcere; ordinanza n. 532 del 2002, sulla finalità delle misure cautelari ). Secondo la giurisprudenza costituzionale, le disposizioni in materia cautelare finalizzate alla tutela dell'interesse dei minori figli di genitori imputati non costituiscono idonei tertia comparationis rispetto a quelle analoghe dettate dall'ordinamento penitenziario per i genitori ristretti a seguito di condanna. Né sono assimilabili, ai fini di uno scrutinio di eguaglianza, status fra loro eterogenei, come quello dell'imputato sottoposto ad una misura cautelare personale, da una parte, e quello del condannato in fase di esecuzione della pena, dall'altra. ( Precedente citato: ordinanza n. 260 del 2009 ).

Parametri costituzionali

Processo penale - Misure cautelari - Custodia cautelare in carcere - Applicazione nei confronti della madre di minori imputata per gravi reati - Divieto solo in presenza di prole di età non superiore a sei anni - Eventuale pronuncia della Corte costituzionale che affermi l'applicabilità del divieto oltre il sesto anno d'età del minore nei casi di assenza del padre - Eccentricità della sua ratio rispetto alle disposizioni del codice di procedura penale e dell'ordinamento penitenziario, attualmente orientate ad assicurare in via primaria il rapporto del minore con la madre.

Lungi dal giovare alla continuità del rapporto tra madri imputate e figli minori, una pronuncia - peraltro non richiesta dal rimettente Tribunale di Roma - che affermi, nei casi di assenza del padre (in specie, esso pure ristretto in custodia carceraria), il divieto di disporre o mantenere la misura della custodia cautelare in carcere nei confronti della madre, pur oltre il limite del sesto anno di età del minore (previsto dall'art. 275, comma 4, cod. proc. pen.), risulterebbe ispirata al principio dell'indispensabile presenza di uno dei due genitori, giustificando persino la custodia in carcere della madre se il padre è presente, secondo una ratio del tutto eccentrica rispetto al contesto normativo desumibile dalle disposizioni del codice di procedura penale e dell'ordinamento penitenziario, attualmente orientate nel senso di assicurare in via primaria il rapporto del minore con la madre.