Pronuncia 268/2020

Sentenza

Collegio

composta dai signori: Presidente: Giancarlo CORAGGIO; Giudici : Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA,

Epigrafe

ha pronunciato la seguente nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 91, primo comma, secondo periodo, del codice di procedura civile, in combinato disposto con l'art. 420, primo comma, del medesimo codice, promosso dalla Corte d'appello di Napoli, sezione lavoro, nel procedimento vertente tra M. V. e A. D., con ordinanza del 22 luglio 2019, iscritta al n. 205 del registro ordinanze 2019 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 47, prima serie speciale, dell'anno 2019. Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; udito nella camera di consiglio del 18 novembre 2020 il Giudice relatore Giovanni Amoroso; deliberato nella camera di consiglio del 19 novembre 2020.

Dispositivo

per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE 1) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 91, primo comma, secondo periodo, del codice di procedura civile, sollevate, in riferimento agli artt. 3, 4, 24, 35 e 117 primo comma, della Costituzione, quest'ultimo in relazione agli artt. 6, 13 e 14 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, nonché agli artt. 21 e 47 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (CDFUE), proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007, dalla Corte di appello di Napoli, sezione lavoro, con l'ordinanza indicata in epigrafe; 2) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 420, primo comma, cod. proc. civ., sollevate, in riferimento agli artt. 3, 4, 24, 35 e 117, primo comma, Cost., quest'ultimo in relazione agli artt. 6, 13 e 14 CEDU, nonché agli artt. 21 e 47 CDFUE, dalla Corte di appello di Napoli, sezione lavoro, con l'ordinanza indicata in epigrafe. Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19 novembre 2020. F.to: Giancarlo CORAGGIO, Presidente Giovanni AMOROSO, Redattore Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria Depositata in Cancelleria l'11 dicembre 2020. Il Direttore della Cancelleria F.to: Roberto MILANA

Relatore: Giovanni Amoroso

Data deposito: Fri Dec 11 2020 00:00:00 GMT+0000 (Coordinated Universal Time)

Tipologia: S

Presidente: CORAGGIO

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Massime

Prospettazione della questione incidentale - Individuazione del petitum dall'esame complessivo dell'ordinanza di rimessione - Duplice capo di censura - Scrutinio prospettato non in combinato disposto, ma in termini gradatamente sequenziali di entrambe le disposizioni.

Laddove il giudice a quo prospetta le questioni di legittimità costituzionale riferendole all'art. 91, primo comma, secondo periodo, cod. proc. civ., sia in sé considerato, sia in combinato disposto con l'art. 420, primo comma, cod. proc. civ., può ritenersi, ad un esame complessivo dell'ordinanza di rimessione, che in realtà egli censuri gradatamente entrambe le predette disposizioni.

Procedimento civile - Spese processuali - Rifiuto ingiustificato della proposta conciliativa o transattiva della controparte - Accoglimento della domanda in misura non superiore alla proposta rifiutata - Condanna al pagamento delle spese processuali maturate dopo la formulazione della proposta - Ritenuta applicazione anche alle controversie in materia di lavoro - Denunciata irragionevolezza e violazione del diritto alla tutela giurisdizionale, in materia di lavoro, nonché dei principi convenzionali relativi al diritto a un equo processo, e di quelli dell'Unione europea concernenti il divieto di non discriminazione e il diritto a un ricorso effettivo - Erroneità del presupposto interpretativo - Difetto di rilevanza - Inammissibilità delle questioni.

Sono dichiarate inammissibili, per erroneità del presupposto interpretativo e difetto di rilevanza, le questioni di legittimità costituzionale - sollevate dalla Corte di appello di Napoli, sez. lavoro, in riferimento agli artt. 3, 4, 24, 35 e 117 primo comma, Cost., quest'ultimo in relazione agli artt. 6, 13 e 14 CEDU, nonché agli artt. 21 e 47 CDFUE - dell'art. 91, primo comma, secondo periodo, cod. proc. civ., secondo cui il giudice, se accoglie la domanda in misura non superiore all'eventuale proposta conciliativa, condanna la parte che ha rifiutato senza giustificato motivo la proposta al pagamento delle spese del processo maturate dopo la formulazione della proposta, salvo quanto disposto dal secondo comma dell'articolo 92. La disposizione censurata, come interpretata dalla giurisprudenza di legittimità, non trova applicazione nella fattispecie processuale oggetto della cognizione del rimettente, poiché dall'ordinanza di rimessione si evince con chiarezza che la proposta conciliativa oggetto del rifiuto, asseritamente ingiustificato, da parte del lavoratore non era stata formulata dall'altra parte, bensì dal giudice. In ogni caso, tale disposizione, che si risolve in una "sanzione" per la parte che agisce in giudizio, è di dubbia compatibilità con un processo, come quello del lavoro, che si caratterizza per una serie di norme di favore per il lavoratore, per lo più parte ricorrente, volte a tenere in considerazione la sua strutturale debolezza, anche sotto il profilo economico. ( Precedente citato: sentenza n. 77 del 2018 ).

Parametri costituzionali

Procedimento civile - Spese processuali - Rifiuto ingiustificato della proposta conciliativa o transattiva del giudice - Comportamento valutabile dal giudice ai fini della decisione - Denunciata irragionevolezza e violazione del diritto alla tutela giurisdizionale, in materia di lavoro, nonché dei principi convenzionali relativi al diritto a un equo processo, e di quelli dell'Unione europea concernenti il divieto di non discriminazione e il diritto a un ricorso effettivo - Insussistenza - Non fondatezza delle questioni.

Sono dichiarate non fondate le questioni di legittimità costituzionale - sollevate dalla Corte di appello di Napoli, sez. lavoro, in riferimento agli artt. 3, 4, 24, 35 e 117, primo comma, Cost., quest'ultimo in relazione agli artt. 6, 13 e 14 CEDU, nonché agli artt. 21 e 47 CDFUE - dell'art. 420, primo comma, cod. proc. civ., in base al quale il rifiuto della proposta transattiva o conciliativa del giudice, senza giustificato motivo, costituisce comportamento valutabile dal giudice ai fini della decisione. La disposizione censurata non pone un ostacolo al lavoratore, pur parte "debole" del rapporto, all'accesso e alla piena realizzazione della tutela giurisdizionale, limitandosi ad ampliare il novero delle ipotesi nelle quali il giudice, motivatamente, può compensare, a fronte di una condotta comunque ingiustificata della parte, le spese di lite. Inoltre, la possibilità del giudice di vagliare in modo simmetrico la condotta di entrambe le parti in causa, e non del solo lavoratore, per la statuizione sulle spese di lite - in vista di un'eventuale compensazione e non già di una condanna esclusivamente della parte vittoriosa al pagamento delle stesse - rispetto all'ingiustificato rifiuto di una proposta conciliativa, esclude ogni forma di potenziale discriminazione in danno del lavoratore. ( Precedenti citati: sentenze n. 77 del 2018, n. 77 del 2007 e n. 190 del 1985 ). Secondo la giurisprudenza costituzionale, sebbene il principio victus victori , espresso dalla prima parte dell'art. 91 cod. proc. civ., costituisca un completamento del diritto di azione in giudizio sancito dall'art. 24 Cost., laddove evita che le spese del giudizio vengano poste a carico della parte che ha ragione, tuttavia esso, pur di carattere generale, non è assoluto ed inderogabile, rientrando nella discrezionalità del legislatore la possibilità di modulare l'applicazione della regola generale secondo cui alla soccombenza nella causa si accompagna la condanna al pagamento delle spese di lite. Ed infatti, proprio nella conformazione degli istituti processuali, nella quale rientra la disciplina delle spese del processo, il legislatore gode di ampia discrezionalità, con il solo limite della manifesta irragionevolezza. ( Precedenti citati: sentenze n. 58 del 2020, n. 47 del 2020, n. 271 del 2019, n. 97 del 2019, n. 225 del 2018, n. 77 del 2018, n. 45 del 2018, n. 196 del 1982; ordinanza n. 3 del 2020 ). Secondo la giurisprudenza costituzionale, la qualità di «lavoratore» della parte che agisce (o resiste), nel giudizio avente ad oggetto diritti ed obblighi nascenti dal rapporto di lavoro, non costituisce, di per sé sola, ragione sufficiente - pur nell'ottica della tendenziale rimozione degli ostacoli di ordine economico e sociale alla tutela giurisdizionale - per derogare al generale canone di par condicio processuale espresso dal secondo comma dell'art. 111 Cost., e ciò vieppiù tenendo conto della circostanza che la situazione di disparità in cui, in concreto, venga a trovarsi la parte «debole» trova un possibile riequilibrio, secondo il disposto del terzo comma dell'art. 24 Cost., in «appositi istituti» diretti ad assicurare ai non abbienti i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione. ( Precedente citato: sentenza n. 77 del 2018 ).

Parametri costituzionali