Pronuncia 292/2002

Sentenza

Collegio

composta dai signori: Presidente: Cesare RUPERTO; Giudici: Riccardo CHIEPPA, Gustavo ZAGREBELSKY, Valerio ONIDA, Carlo MEZZANOTTE, Fernanda CONTRI, Guido NEPPI MODONA, Piero Alberto CAPOTOSTI, Annibale MARINI, Franco BILE, Giovanni Maria FLICK, Francesco AMIRANTE, Ugo DE SIERVO, Romano VACCARELLA;

Epigrafe

ha pronunciato la seguente nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 195, comma 4, e 500 del codice di procedura penale, promosso, nell'ambito di un procedimento penale, dalla Corte di assise di Potenza con ordinanza del 28 giugno 2001, iscritta al n. 779 del registro ordinanze 2001 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 40, 1ª serie speciale, dell'anno 2001. Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; Udito nella camera di consiglio del 22 maggio 2002 il giudice relatore Guido Neppi Modona. Ritenuto che con ordinanza del 28 giugno 2001 la Corte di assise di Potenza ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, 25, 111 e 112 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 195, comma 4, e 500 del codice di procedura penale, come modificati dalla legge 1 marzo 2001, n. 63; che il rimettente premette che in dibattimento alcuni imputati in procedimento connesso si erano avvalsi della facoltà di non rispondere ex art. 210, comma 4, cod. proc. pen., mentre gli ufficiali di polizia giudiziaria che nella fase delle indagini preliminari avevano raccolto le dichiarazioni da loro rese quando non erano ancora indagati non avevano potuto riferire sul contenuto di tali dichiarazioni per il divieto sancito dal comma 4 dell'art. 195 cod. proc. pen; che, ad avviso del giudice a quo, gli artt. 195, comma 4, e 500 cod. proc. pen. sarebbero in contrasto con l'art. 3 Cost., per l'irragionevole disparità di trattamento introdotta dal divieto della testimonianza de relato per i soli ufficiali o agenti di polizia giudiziaria, "ritenuti, evidentemente, meno affidabili delle altre persone, cui parimenti è conferita la capacità di testimoniare, ciò in contrasto, peraltro, anche con l'impostazione della Corte costituzionale, espressa nella sentenza n. 24 del 1992"; che la disciplina dettata dalle disposizioni censurate violerebbe inoltre l'art. 24 Cost., e segnatamente il diritto di difesa della persona offesa dal reato, "che ha il sicuro e qualificato interesse a pervenire al raggiungimento della verità"; l'art. 25 Cost., dal quale discende la necessità che la verità processuale sia aderente alla verità storica; l'art. 111 Cost., che pone il principio di parità tra accusa e difesa, nel contraddittorio tra le parti; l'art. 112 Cost., che finalizza l'obbligatorietà dell'azione penale "all'accertamento necessario ed effettivo delle responsabilità penali"; che nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha chiesto che la questione sia dichiarata infondata, riportandosi all'atto di intervento depositato nel giudizio promosso con ordinanza n. 514 del r.o. del 2001 e deciso con la sentenza n. 32 del 2002. Considerato che dall'ordinanza di rimessione non emerge alcuna indicazione che consenta di individuare gli specifici profili di incostituzionalità relativi all'art. 500 cod. proc. pen., evocato, tra l'altro, nella sua globalità, senza ulteriori precisazioni; che, lamentando la rimettente l'impossibilità di acquisire i verbali delle precedenti dichiarazioni rese da imputati in procedimento connesso che si sono avvalsi in dibattimento della facoltà di non rispondere loro riconosciuta dall'art. 210, comma 4, cod. proc. pen., la situazione processuale rappresentata sembrerebbe peraltro regolata dall'art. 513, comma 2, cod. proc. pen; che il difetto di adeguata motivazione sia sulla rilevanza, sia sulla non manifesta infondatezza comporta la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale riferita all'art. 500 cod. proc. pen; che, per quanto attiene all'art. 195, comma 4, cod. proc. pen., con la sentenza n. 32 del 2002, successiva all'ordinanza di rimessione, questa Corte ha dichiarato infondate, in riferimento all'art. 3 Cost., questioni analoghe sollevate sulla base di argomentazioni che traevano anch'esse spunto da quelle svolte nella sentenza n. 24 del 1992, rilevando come, rispetto al momento in cui tale sentenza era stata emessa, "è profondamente mutato non solo il sistema delle norme che disciplinano l'attività investigativa della polizia giudiziaria e il regime della lettura degli atti irripetibili, ma, ciò che più conta, il quadro di riferimento costituzionale, ora integrato dalla previsione, contenuta nella prima parte del quarto comma dell'art. 111 Cost., del principio del contraddittorio nella formazione della prova"; che, nell'ambito della disciplina attuativa di tale principio, il divieto della testimonianza indiretta degli ufficiali e agenti di polizia giudiziaria previsto dalla norma censurata è volto ad evitare che dichiarazioni unilateralmente raccolte nel corso delle indagini preliminari possano surrettiziamente confluire nel materiale probatorio utilizzabile in giudizio; che la disciplina sottoposta a scrutinio di costituzionalità è coerente con la regola di esclusione probatoria dettata dall'art. 500, comma 2, cod. proc. pen., secondo cui le dichiarazioni raccolte nel corso delle indagini preliminari "possono essere utilizzate ai fini della credibilità del teste", ma non come prova dei fatti in esse affermati (v. ordinanza n. 36 del 2002), salvi i casi specificamente considerati dai commi 4, 6 e 7 del medesimo articolo, nonché dall'art. 512 cod. proc. pen; che tali rilievi valgono anche per le ulteriori censure prospettate in riferimento agli artt. 24, 25, 111 e 112 Cost., con le quali il giudice a quo lamenta, in sostanza, la perdita di elementi di conoscenza e il nocumento che ne conseguirebbe per l'accertamento della verità; che infatti la norma censurata, essendo finalizzata ad evitare l'elusione del contraddittorio nella formazione della prova, è essa stessa espressione di un principio assunto a regola costituzionale; che per la parte riferita all'art. 195, comma 4, cod. proc. pen. la questione va pertanto dichiarata manifestamente infondata in riferimento a tutti i parametri evocati. Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

Dispositivo

per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE Dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 500 del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24, 25, 111 e 112 della Costituzione, dalla Corte di assise di Potenza, con l'ordinanza in epigrafe; Dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 195, comma 4, del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24, 25, 111 e 112 della Costituzione, dalla Corte di assise di Potenza, con l'ordinanza in epigrafe. Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19 giugno 2002. Il Presidente: Ruperto Il redattore: Neppi Modona Il cancelliere: Di Paola Depositata in cancelleria il 26 giugno 2002. Il direttore della cancelleria: Di Paola

Relatore: Guido Neppi Modona

Data deposito:

Tipologia: O

Presidente: RUPERTO

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Massime

Processo penale - Acquisizione di prove - Dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari da imputati in procedimento connesso, che si siano avvalsi della facoltà di non rispondere - Divieto di testimonianza 'de relato' per ufficiali e agenti di polizia giudiziaria - Asserita, irragionevole, disparità di trattamento, con violazione del diritto di difesa dell?offeso dal reato e del principio di parità tra le parti del processo - Evocazione non motivata della norma censurata - Manifesta inammissibilità della questione.

Manifesta inammissibilità, per difetto di adeguata motivazione sulla rilevanza e sulla non manifesta infondatezza, della questione di legittimità costituzionale, sollevata in riferimento agli artt. 3, 24, 25, 111 e 112 della Costituzione, dell'art. 500 del codice di procedura penale, censurato nella sua globalità, relativamente al divieto della testimonianza 'de relato' prevista per i soli ufficiali o agenti di polizia giudiziaria.

Processo penale - Acquisizione di prove - Dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari da imputati in procedimento connesso, che si siano avvalsi della facoltà di non rispondere - Divieto di testimonianza 'de relato' per ufficiali e agenti di polizia giudiziaria - Asserita, irragionevole, disparità di trattamento, con violazione del diritto di difesa dell?offeso del reato e del principio di parità tra le parti del processo - Manifesta infondatezza della questione.

Manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 195, comma 4, del codice di procedura penale, censurato, in riferimento agli artt. 3, 24, 25, 111 e 112 della Costituzione, in quanto prevede il divieto della testimonianza 'de relato' per i soli ufficiali o agenti di polizia giudiziaria. Analoghe questioni sono state infatti dichiarate infondate, in riferimento all'art. 3 Cost., successivamente all'ordinanza di rimessione, mentre, in relazione agli altri parametri va rilevato che la norma è coerente con la regola di esclusione probatoria di cui all'art. 500, comma 2, cod. proc. pen. e costituisce espressione di un principio assunto a regola costituzionale, essendo finalizzata ad evitare l'elusione del contraddittorio nella formazione della prova. - V., quali precedenti alla decisione ivi richiamati, sentenze nn. 32/2002, 24/1992 e ordinanza n. 36/2002.