Pronuncia 161/2004

Sentenza

Collegio

composta dai signori: Presidente: Gustavo ZAGREBELSKY; Giudici: Valerio ONIDA, Carlo MEZZANOTTE, Fernanda CONTRI, Guido NEPPI MODONA, Piero Alberto CAPOTOSTI, Annibale MARINI, Franco BILE, Giovanni Maria FLICK, Francesco AMIRANTE, Ugo DE SIERVO, Romano VACCARELLA, Paolo MADDALENA, Alfonso QUARANTA,

Epigrafe

ha pronunciato la seguente nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 2621 e 2622 del codice civile, come sostituiti dall'art. 1 del decreto legislativo 11 aprile 2002, n. 61 (Disciplina degli illeciti penali e amministrativi riguardanti le società commerciali, a norma dell'articolo 11 della legge 3 ottobre 2001, n. 366); dell'art. 1 del d.lgs. 11 aprile 2002, n. 61, e dell'art. 11 della legge 3 ottobre 2001, n. 366 (Delega al Governo per la riforma del diritto societario); dell'art. 11, comma 1, lettera a), numero 1, della legge 3 ottobre 2001, n. 366, e dell'art. 2621, terzo e quarto comma, del codice civile, come sostituito dall'art. 1 del d.lgs. 11 aprile 2002, n. 61, promossi con ordinanze del 19 settembre 2002 del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Forlì, dell'11 dicembre 2002 del Tribunale di Melfi e del 12 febbraio 2003 del Tribunale di Milano, rispettivamente iscritte al n. 535 del registro ordinanze 2002 e ai nn. 171 e 400 del registro ordinanze 2003 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 50, 1ª serie speciale, dell'anno 2002 e nn. 14 e 26, 1ª serie speciale, dell'anno 2003. Visti gli atti di costituzione di G. F., U. L. e A. Z. nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; udito nell'udienza pubblica del 9 marzo 2004 il Giudice relatore Giovanni Maria Flick; uditi gli avvocati Lucio Lucia e Vittorio Virga per G.F., Giorgio Pirroni per U. L., Edda Gandossi e Alessandro Sammarco per A. Z. e l' avvocato dello Stato Oscar Fiumara per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Dispositivo

per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE riuniti i giudizi, 1) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 11, comma 1, lettera a), numero 1), della legge 3 ottobre 2001, n. 366 (Delega al Governo per la riforma del diritto societario), e dell'art. 2621, terzo e quarto comma, del codice civile, come sostituito dall'art. 1 del decreto legislativo 11 aprile 2002, n. 61 (Disciplina degli illeciti penali e amministrativi riguardanti le società commerciali, a norma dell'articolo 11 della legge 3 ottobre 2001, n. 366), sollevate, in riferimento agli artt. 3, 25, 76 e 117 della Costituzione ed all'art. 8 della Convenzione OCSE sulla lotta alla corruzione di pubblici ufficiali stranieri nelle operazioni economiche internazionali, fatta a Parigi il 17 dicembre 1997, dal Tribunale di Milano con l'ordinanza in epigrafe; 2) dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 2621 e 2622 del codice civile, come sostituiti dall'art. 1 del predetto decreto legislativo 11 aprile 2002, n. 61, sollevate, in riferimento agli artt. 3, 24, primo comma, e 27, terzo comma, della Costituzione, dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Forlì con l'ordinanza indicata in epigrafe; 3) dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 1 del predetto decreto legislativo 11 aprile 2002, n. 61, e dell'art. 11 della citata legge 3 ottobre 2001, n. 366, sollevata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dal Tribunale di Melfi con l'ordinanza indicata in epigrafe. Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26 maggio 2004. F.to: Gustavo ZAGREBELSKY, Presidente Giovanni Maria FLICK, Redattore Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere Depositata in Cancelleria l'1 giugno 2004. Il Direttore della Cancelleria F.to: DI PAOLA

Relatore: Giovanni Maria Flick

Data deposito: Tue Jun 01 2004 00:00:00 GMT+0000 (Coordinated Universal Time)

Tipologia: S

Presidente: ZAGREBELSKY

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Massime

Reati e pene - Società commerciali - False comunicazioni sociali - Configurazione della fattispecie contravvenzionale della “dichiarazione infedele” e della fattispecie delittuosa della “dichiarazione infedele con danno” - Lamentata irragionevole differenziazione di figure criminose aventi identico dolo specifico - Motivazione insufficiente, implausibile e contraddittoria circa la rilevanza nel processo 'a quo' - Manifesta inammissibilità della questione.

Manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale degli artt. 2621 e 2622 del codice civile, come sostituiti dall’art. 1 del decreto legislativo 11 aprile 2002, n. 61, sollevata in riferimento all'art. 3 della Costituzione, nella parte in cui tali norme - le quali delineerebbero una «fattispecie a formazione progressiva», reprimendo l’una la «dichiarazione infedele», e l’altra «la dichiarazione infedele a cui consegua un danno specifico e concreto per singoli soci e creditori» - forniscono risposte repressive assai diverse tra loro, costituendo la prima un illecito contravvenzionale (art. 2621 cod. civ.) e la seconda un illecito di natura delittuosa (art. 2622 cod. civ.), a fronte dell’identità del dolo specifico - di inganno dei soci o del pubblico e di ingiusto profitto - che invece caratterizza le due figure criminose. Il rimettente, infatti, nel formulare il quesito di costituzionalità - che investe, nella sostanza, il trattamento sanzionatorio della figura contravvenzionale -, oltre a non specificare in quale direzione dovrebbe concretamente esplicarsi l'intervento correttivo della Corte, offre una motivazione insufficiente, implausibile e contraddittoria circa la sua rilevanza nel procedimento ‘a quo’; a) omettendo di spiegare per quale ragione la falsità oggetto del procedimento principale integrerebbe, oltre alla contravvenzione, anche il delitto; b) non precisando per quale ragione lo stesso ravvisi il difetto della condizione di procedibilità del delitto per mancanza di querela pur a fronte di taluni indici, forniti dallo stesso rimettente nell'ordinanza di rimessione, che lascerebbero viceversa propendere per la sua sussistenza; c) assumendo che l'eventuale remissione della querela per il delitto impedirebbe di configurare l’ipotesi contravvenzionale, stante il rapporto di specialità che intercorrerebbe tra le due norme impugnate, dopo avere viceversa affermato che la mancata proposizione della querela per il delitto lascerebbe comunque salva la possibilità di perseguire 'ex officio' come contravvenzione il falso dannoso per i soci o i creditori.

Parametri costituzionali

Reati e pene - Società commerciali - False comunicazioni sociali - Dichiarazione infedele - Fattispecie contravvenzionale - Lamentata inadeguatezza del modulo contravvenzionale rispetto alle caratteristiche oggettive e soggettive dell’illecito, irragionevole disparità di trattamento rispetto ad altri reati di frode più severamente repressi, non perseguibilità dei fatti commessi all’estero - Motivazione insufficiente, implausibile e contraddittoria circa la rilevanza nel processo 'a quo' - Manifesta inammissibilità della questione.

Manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 2621 del codice civile, come sostituito dall’art. 1 del decreto legislativo n. 61 del 2002, sollevata in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione, nella parte in cui, nel configurare il reato di false comunicazioni sociali come contravvenzione, offrirebbe una risposta sanzionatoria inadeguata rispetto alle caratteristiche oggettive e soggettive dell’illecito, determinando altresì una irragionevole disparità di trattamento della fattispecie criminosa considerata rispetto ad altri reati di frode lesivi del medesimo interesse alla trasparenza del mercato e impedendo di perseguire, ai sensi degli artt. 9 e 10 cod. pen., i fatti commessi all’estero i cui effetti lesivi dell’interesse pubblico alla trasparenza del mercato si determinino nel territorio dello Stato. Il rimettente, infatti, nel formulare il presente quesito di costituzionalità - che investe, nella sostanza, il trattamento sanzionatorio della figura contravvenzionale -, oltre a non specificare in quale direzione dovrebbe concretamente esplicarsi l'intervento correttivo della Corte, offre una motivazione insufficiente, implausibile e contraddittoria circa la sua rilevanza nel procedimento ‘a quo’: a) omettendo di spiegare per quale ragione la falsità oggetto del procedimento principale integrerebbe, oltre alla contravvenzione, anche il delitto di cui all'art. 2622 cod. civ.; b) non precisando per quale ragione lo stesso ravvisi il difetto della condizione di procedibilità del delitto per mancanza di querela pur a fronte di taluni indici, forniti dallo stesso rimettente nell'ordinanza di rimessione, che lascerebbero viceversa propendere per la sua sussistenza; c) assumendo che l'eventuale remissione della querela per il delitto impedirebbe di configurare l’ipotesi contravvenzionale, stante il rapporto di specialità che intercorrerebbe tra le due norme impugnate, dopo avere viceversa affermato che la mancata proposizione della querela per il delitto lascerebbe comunque salva la possibilità di perseguire ‘ex officio’ come contravvenzione il falso dannoso per i soci o i creditori.

Norme citate

Reati e pene - Società commerciali - False comunicazioni sociali - Dichiarazione infedele a cui consegua un danno specifico e concreto per singoli soci e creditori - Fatto commesso nell’ambito di società non quotate - Perseguibilità a querela - Lamentata irragionevolezza e lesione del diritto di difesa - Motivazione insufficiente, implausibile e contraddittoria circa la rilevanza nel processo 'a quo' - Manifesta inammissibilità della questione.

Manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 2622 del codice civile, come sostituito dall’art. 1 del decreto legislativo n. 61 del 2002, sollevata in riferimento agli artt. 3 e 24, primo comma, della Costituzione, nella parte in cui prevede la perseguibilità a querela delle false comunicazioni sociali che hanno cagionato danno ai soci o ai creditori, allorché si tratti di fatto commesso nell’ambito di società non quotate. Il rimettente, infatti, nel formulare il presente quesito di costituzionalità, offre una motivazione insufficiente, implausibile e contraddittoria circa la sua rilevanza nel procedimento ‘a quo’: a) omettendo di spiegare per quale ragione la falsità oggetto del procedimento principale integrerebbe, oltre alla contravvenzione di cui all'art. 2621 cod. civ., anche il delitto di cui alla norma impugnata; b) non precisando per quale ragione lo stesso ravvisi il difetto della condizione di procedibilità del delitto per mancanza di querela pur a fronte di taluni indici, forniti dallo stesso rimettente nell'ordinanza di rimessione, che lascerebbero viceversa propendere per la sua sussistenza; c) assumendo che l'eventuale remissione della querela per il delitto impedirebbe di configurare l’ipotesi contravvenzionale, stante il rapporto di specialità che intercorrerebbe tra le due norme impugnate, dopo avere viceversa affermato che la mancata proposizione della querela per il delitto lascerebbe comunque salva la possibilità di perseguire ‘ex officio’ come contravvenzione il falso dannoso per i soci o i creditori.

Norme citate

Reati e pene - Società commerciali - False comunicazioni sociali - Fattispecie contravvenzionale - Termine di prescrizione - Applicazione del termine stabilito per la generalità delle contravvenzioni - Asserita irragionevolezza di un termine ritenuto eccessivamente breve, irragionevole disparità di trattamento in relazione alla fattispecie delittuosa, irragionevole equiparazione a tutte le altre contravvenzioni punite con l’arresto - Richiesta di ripristino del termine della fattispecie delittuosa - Intervento che esorbita dai limiti del sindacato di costituzionalità - Manifesta inammissibilità della questione.

Manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 1 del decreto legislativo 11 aprile 2002, n. 61, e dell’art. 11 della legge 3 ottobre 2001, n. 366, sollevata in riferimento all’art. 3 della Costituzione, nella parte in cui, nel configurare il reato di false comunicazioni sociali come contravvenzione, hanno modificato il regime anteriore delle false comunicazioni sociali in punto di prescrizione, in maniera tale da rendere praticamente impossibile l’esaurimento delle attività processuali prima dell’estinzione del reato. Il rimettente, infatti, nel richiedere alla Corte costituzionale di sottoporre la figura contravvenzionale di cui all’art. 2621 cod. civ. ad un termine di prescrizione diverso e più lungo rispetto a quello stabilito per la generalità delle contravvenzioni punite con l’arresto dall’art. 157, primo comma, numero 5), cod. pen., propone una soluzione non solo spiccatamente “creativa” – che già di per sé esula dai limiti del sindacato di costituzionalità – ma addirittura totalmente “eccentrica”, in una cornice di sistema, e tale comunque da determinare una frattura, ‘extra ordinem’, tra natura dell’illecito e regime della prescrizione, attraverso la quale il “declassamento” delle false comunicazioni sociali da delitto a contravvenzione si accompagnerebbe al mantenimento, per la nuova ipotesi contravvenzionale, del termine di prescrizione già proprio del delitto.

Norme citate

  • decreto legislativo-Art.
  • legge-Art.

Parametri costituzionali

Reati e pene - Società commerciali - False comunicazioni sociali - Previsione di soglie di punibilità a carattere percentuale - Lamentata lesione del principio della riserva assoluta di legge, carenza nella delega legislativa di principi e criteri direttivi relativi alla configurazione delle soglie in questione, nonché arbitraria e scorretta attuazione della delega, lesione del principio di uguaglianza, contrasto con finalità previste da norme internazionali - Richiesta di pronuncia ablativa con effetti estensivi dell’ambito di applicazione della norma incriminatrice - Scelta sottratta al sindacato di costituzionalità - Inammissibilità della questione - Assorbimento di altri profili di inammissibilità.

Sono inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 11, comma 1, lettera a), numero 1), della legge 3 ottobre 2001, n. 366, e dell’art. 2621, terzo e quarto comma, del codice civile, come sostituito dall’art. 1 del decreto legislativo 11 aprile 2002, n. 61, sollevate in riferimento agli artt. 3, 25, 76 e 117 della Costituzione ed all’art. 8 della Convenzione OCSE sulla lotta alla corruzione di pubblici ufficiali stranieri nelle operazioni economiche internazionali, fatta a Parigi il 17 dicembre 1997, in quanto: a) la prima delle due disposizioni impugnate conterrebbe una «delega in bianco» in materia penale, poiché la previsione di generiche «soglie quantitative», non accompagnata dall’indicazione di specifici parametri di riferimento, non sarebbe idonea ad indirizzare in alcun modo l’attività normativa del legislatore delegato; b) la seconda delle due disposizioni, subordinando la punibilità del reato di false comunicazioni sociali al necessario superamento di determinate "soglie quantitative", da un lato consentirebbe alle soglie di punibilità introdotte dal citato decreto legislativo - in mancanza della fissazione di direttive nella legge delega - di integrare il contenuto precettivo della norma penale, in contrasto con il principio della riserva assoluta di legge e senza che il legislatore abbia, tra l'altro, spiegato le ragioni delle sue scelte, limitandosi a fornire giustificazioni «non veritiere» o non pertinenti rispetto all’oggetto della delega; da un altro lato lascerebbe irragionevolmente esenti da pena fatti idonei a pregiudicare gravemente la capacità informativa delle comunicazioni sociali, in contrasto, tra l'altro, con l'esigenza – fatta propria dalla citata convenzione OCSE – di impedire la creazione di «fondi neri» utilizzabili a scopo di corruttela. Ed infatti – non potendosi condividere l’assunto del rimettente, secondo cui le anzidette soglie di punibilità si presterebbero ad essere ricomprese nella categoria normativa delle c.d. norme penali di favore, integrando piuttosto le stesse requisiti essenziali di tipicità del fatto –, alla richiesta rimozione delle censurate soglie di punibilità a carattere percentuale, in modo da estendere l’ambito di applicazione della norma incriminatrice di cui all’art. 2621 cod. civ. a fatti che attualmente non vi sono compresi, osta il secondo comma dell’art. 25 Cost., il quale - per costante giurisprudenza costituzionale - nell’affermare il principio secondo cui nessuno può essere punito se non in forza di una legge entrata in vigore prima del fatto commesso, esclude che la Corte costituzionale possa introdurre in via additiva nuovi reati o che l’effetto di una sua sentenza possa essere quello di ampliare o aggravare figure di reato già esistenti, trattandosi di interventi riservati in via esclusiva alla discrezionalità del legislatore. Tale profilo d'inammissibilità preclude l’esame nel merito anche delle censure di violazione dell’art. 76 della Costituzione. – Sul fatto che, in virtù del principio secondo cui nessuno può essere punito se non in forza di una legge entrata in vigore prima del fatto commesso, la Corte costituzionale non possa introdurre in via additiva nuovi reati o che l’effetto di una sua sentenza non possa essere quello di ampliare o aggravare figure di reato già esistenti, trattandosi di interventi riservati in via esclusiva alla discrezionalità del legislatore, v. le richiamate sentenze n. 49/2002, n. 183, n. 508 e n. 580/2000, n. 411/1995. – Sulla possibilità di sottoporre a sindacato di costituzionalità, anche in 'malam partem', le c.d. norme penali di favore, ossia le norme che stabiliscono, per determinati soggetti o ipotesi, un trattamento penalistico più favorevole di quello che risulterebbe dall’applicazione di norme generali o comuni, v. le richiamate sentenze n. 25/1994, n. 167 e n. 194/1993, n. 148/1983.

Norme citate

Parametri costituzionali

Reati e pene - Società commerciali - False comunicazioni sociali - Requisito dell’alterazione “sensibile” della rappresentazione della situazione economica, patrimoniale e finanziaria - Lamentata lesione dei principi di determinatezza dell’illecito penale e di uguaglianza - Questione irrilevante nel giudizio 'a quo' - Inammissibilità.

E' inammissibile, per difetto di rilevanza, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2621, terzo e quarto comma, del codice civile, come sostituito dall’art. 1 del decreto legislativo 11 aprile 2002, n. 61, sollevata in riferimento agli artt. 3 e 25 della Costituzione, nella parte in cui subordina la sussistenza del reato ad un'alterazione «sensibile» della rappresentazione della situazione economica, patrimoniale e finanziaria della società o del gruppo di appartenenza. Ed infatti, posto che, secondo la prevalente opinione, il criterio dell’«alterazione sensibile» resta inoperante rispetto alle falsità che rimangono al di sotto delle c.d. soglie percentuali, le quali si traducono in altrettante presunzioni 'iuris et de iure' di “non significatività” dell’alterazione, la circostanza che - per espressa affermazione del giudice 'a quo' - gli imputati dovrebbero essere nel caso di specie assolti in ragione della mancata contestazione del superamento delle soglie numeriche, rende dunque irrilevante la questione relativa al requisito dell’alterazione sensibile, trattandosi di elemento di fattispecie che non viene comunque in rilievo nel giudizio 'a quo'.