Pronuncia 98/2006

Sentenza

Collegio

composta dai signori: Presidente: Franco BILE; Giudici: Giovanni Maria FLICK, Francesco AMIRANTE, Ugo DE SIERVO, Romano VACCARELLA, Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Franco GALLO, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Maria Rita SAULLE, Giuseppe TESAURO,

Epigrafe

ha pronunciato la seguente nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 385 del codice penale promosso con ordinanza del 13 gennaio 2004 dal Tribunale di Forlì, sezione distaccata di Cesena, nel procedimento penale a carico di De Cesari Pio, iscritta al n. 583 del registro ordinanze 2004 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 26, prima serie speciale, dell'anno 2004. Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; udito nella camera di consiglio dell'8 febbraio 2006 il Giudice relatore Gaetano Silvestri. Ritenuto che il Tribunale di Forlì, sezione distaccata di Cesena, con ordinanza del 13 gennaio 2004, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 385 del codice penale, in riferimento agli artt. 3, 13, 16, 24, 27 e 111 della Costituzione; che nel giudizio a quo, secondo quanto riferito dal rimettente, si procede per il delitto di evasione a carico di persona che, al momento del fatto contestato, era assoggettata a provvedimento restrittivo con riguardo ad un reato dal quale è stata poi assolta con sentenza divenuta irrevocabile; che, a parere del Tribunale, non è chiaro se l'art. 385 cod. pen., sanzionando la sola condotta di chi sia legalmente arrestato o detenuto, abbia riguardo alla mera legittimità formale del provvedimento restrittivo, o piuttosto si riferisca anche alla sua legittimità sostanziale, la quale farebbe difetto nei casi in cui venga esclusa la responsabilità dell'interessato per il reato posto a fondamento del trattamento cautelare; che il rimettente, pertanto, sollecita «una sentenza della Corte costituzionale additiva e/o interpretativa a chiarimento definitivo della norma», posto che, «nel caso in cui si dovesse ritenere fondata la prima interpretazione», sarebbe dubbia la legittimità costituzionale della norma stessa; che infatti, secondo il Tribunale, qualora il requisito di legalità del provvedimento restrittivo fosse inteso in senso solo formale, la norma incriminatrice dell'evasione violerebbe numerose disposizioni costituzionali: l'art. 3 Cost., in quanto il cittadino illegalmente detenuto dovrebbe «avere gli stessi diritti e le stesse libertà» dei cittadini non arrestati o detenuti; l'art. 13 Cost., non valendo un provvedimento «sostanzialmente illegale e quindi ingiusto» ad assicurare che la restrizione di libertà sia attuata per mezzo di un provvedimento giurisdizionale motivato; l'art. 16 Cost., dovendosi assicurare al cittadino ingiustamente arrestato o detenuto la stessa libertà di circolazione e soggiorno, in qualsiasi parte del territorio nazionale, che spetta ai cittadini non arrestati o detenuti; l'art. 24 Cost., in quanto al cittadino arrestato o detenuto dovrebbero garantirsi «le stesse facoltà di difesa processuale del cittadino non arrestato o non detenuto»; l'art. 27 Cost., dato che, non potendo essere considerato colpevole fino alla sentenza definitiva di condanna, l'imputato non dovrebbe essere privato degli «stessi diritti e delle stesse libertà del cittadino non arrestato o detenuto»; l'art. 111 Cost., in quanto non potrebbe definirsi «giusto» un processo destinato a culminare con una condanna per evasione di un cittadino che, essendo innocente, non avrebbe dovuto essere sottoposto a restrizione della libertà; che il rimettente giudica la questione non «manifestamente irrilevante», ed anzi risolutiva per la decisione sull'accusa mossa all'imputato; che nel giudizio si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni sollevate siano dichiarate infondate; che, secondo la difesa erariale, il rimettente confonderebbe il piano della legalità della detenzione con quello del fondamento delle accuse cui si riferisce il provvedimento cautelare, fondamento che assume rilievo solo nel processo direttamente concernente tali accuse; che, accedendo alla prospettiva di una legittimità «sostanziale» del provvedimento violato attraverso la condotta di evasione, si determinerebbe, sempre secondo l'Avvocatura dello Stato, una sorta di «pregiudizialità necessaria», che la legge non prevede, invece, né per l'evasione né per altri reati contro l'amministrazione della giustizia. Considerato che il giudice rimettente prospetta a questa Corte un dubbio interpretativo riguardante l'art. 385 del codice penale nascente dalla considerazione che la norma in questione, nel sanzionare la condotta di chi evade, essendo legalmente arrestato o detenuto per un reato, non chiarisce, a suo dire, se la legalità dell'arresto o della detenzione debba essere valutata sul piano formale (nel senso che presupponga un provvedimento restrittivo emesso nel rispetto della legge) o sostanziale (nel senso che trovi origine in un provvedimento restrittivo fondato nel merito e quindi giusto); che il giudice a quo non risolve il dubbio interpretativo, ma lo sottopone impropriamente a questa Corte, senza prendere preventivamente posizione in ordine al problema ermeneutico enunciato; che il petitum contenuto nell'ordinanza di rimessione si presenta peraltro ambivalente e indeterminato, come emerge dalla richiesta di una sentenza «additiva e/o interpretativa»; che per i suesposti motivi la questione è manifestamente inammissibile, a prescindere da ogni ulteriore considerazione sugli esiti paradossali di una interpretazione che ponesse quale presupposto del reato di evasione non la legalità dell'arresto o della detenzione, ma la fondatezza delle accuse. Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

Dispositivo

per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 385 del codice penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 13, 16, 24, 27 e 111 della Costituzione, dal Tribunale di Forlì, sezione distaccata di Cesena, con l'ordinanza indicata in epigrafe. Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 marzo 2006. F.to: Franco BILE, Presidente Gaetano SILVESTRI, Redattore Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere Depositata in Cancelleria il 10 marzo 2006. Il Direttore della Cancelleria F.to: DI PAOLA

Relatore: Gaetano Silvestri

Data deposito: Fri Mar 10 2006 00:00:00 GMT+0000 (Coordinated Universal Time)

Tipologia: O

Presidente: BILE

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Massime

ORD. 98/06. REATI E PENE - EVASIONE - DELITTO COMMESSO DA PERSONA ASSOGGETTATA A PROVVEDIMENTO RESTRITTIVO PER UN REATO DAL QUALE È STATA POI ASSOLTA CON SENTENZA DIVENUTA IRREVOCABILE - DENUNCIATA DISPARITÀ DI TRATTAMENTO IN DANNO DEL CITTADINO INGIUSTAMENTE DETENUTO, COMPRESSIONE DELLA LIBERTÀ PERSONALE, DELLA LIBERTÀ DI CIRCOLAZIONE E SOGGIORNO, DEL DIRITTO DI DIFESA, VIOLAZIONE DEI DIRITTI DELL'IMPUTATO E DEI PRINCIPI DEL GIUSTO PROCESSO - QUESTIONE MERAMENTE INTERPRETATIVA CON 'PETITUM' AMBIVALENTE E INDETERMINATO - MANIFESTA INAMMISSIBILITÀ.

E' manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 385 del codice penale, in riferimento agli artt. 3, 13, 16, 24, 27 e 111 della Costituzione, in quanto la norma in questione, nel sanzionare la condotta di chi evade, essendo legalmente arrestato o detenuto per un reato, non renderebbe chiaro - secondo la prospettazione del remittente - se la legalità dell'arresto o della detenzione debba essere valutata sul piano formale (nel senso che presupponga un provvedimento restrittivo emesso nel rispetto della legge) o sostanziale (nel senso che trovi origine in un provvedimento restrittivo fondato nel merito e quindi giusto). Infatti, il giudice a quo , per un verso, omette di risolvere il dubbio interpretativo non prendendo posizione in ordine al problema ermeneutico enunciato e, per altro verso, formula un petitum ambivalente e indeterminato.