Articolo 51 - CODICE PROCEDURA CIVILE
Massime della Corte Costituzionale
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
Sono manifestamente inammissibili le questioni di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 101, 111 e 117, primo comma, Cost. nonché all'art. 6, par. 1, CEDU, di numerose disposizioni concernenti l'ordinamento e l'organizzazione della giustizia tributaria (d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 545, artt. 2, 13, 15, 29- bis , 31, 32, 33, 34 e 35; d.P.R. 30 giugno 1972, n. 748, art. 37; d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 72, comma 1, lett. b; d.lgs. 25 luglio 2006, n. 240; d.l. 6 luglio 2012, n. 95 - convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 7 agosto 2012, n. 135 - artt. 2, comma 10- ter , e 23- quinquies ; legge 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, comma 404; d.P.R. 30 gennaio 2008, n. 43, art. 15, comma 8; d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 6; cod. proc. civ., art. 51; d.P.C.m. 27 febbraio 2013, n. 67, art. 15, commi 1 e 3). Il rimettente, infatti, invoca plurimi interventi additivi, omettendo di indicarne la direzione ed i contenuti, tra i molteplici astrattamente ipotizzabili, con conseguente indeterminatezza e ambiguità dei petita . Inoltre, i richiesti interventi - caratterizzati da un grado di creatività e manipolatività tanto elevato da investire non singole disposizioni o il congiunto operare di alcune di esse ma un intero sistema di norme - sono estranei alla giustizia costituzionale, poiché eccedono i poteri della Corte e implicano scelte affidate alla discrezionalità del legislatore. Infine, le censure riguardano in modo indifferenziato numerose ed eterogenee disposizioni, senza specificare i termini nei quali ciascuna di esse violerebbe singolarmente i parametri invocati; tale eterogeneità è accentuata dal fatto che le questioni sono genericamente poste anche in correlazione o in rapporto con altre norme di variegato contenuto, talune di natura regolamentare, o con interi testi legislativi, in difetto di qualsiasi argomento che consenta di collegare le singole norme evocate ai predetti parametri. Sull'inammissibilità, anche manifesta, delle questioni per l'indeterminatezza e l'ambiguità dei petita , v., ex plurimis , le seguenti citate decisioni: sentenze nn. 220/2014, 218/2014, 220/2012, 186/2011 e 117/2011; ordinanze nn. 269/2015, 335/2011, 260/2011 e 21/2011. Sull'estraneità degli interventi manipolativi di sistema alla giustizia costituzionale, siccome eccedenti i poteri della Corte e implicanti scelte affidate alla discrezionalità del legislatore, v., ex plurimis , le seguenti citate decisioni: sentenze nn. 248/2014 e 252/2012; ordinanze nn. 269/2015, 156/2013, 182/2009 e 117/1989. Sull'inammissibilità, anche manifesta, delle questioni per l'eterogeneità degli oggetti delle norme censurate e per la carenza di una reciproca e intima connessione tra essi, v., ex plurimis , le seguenti citate decisioni: sentenze nn. 39/2014, 249/2009 e 263/1994; ordinanza n. 81/2001.
È manifestamente infondata, in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 Cost., la questione di legittimità costituzionale degli artt. 51, primo comma, n. 4), cod. proc. civ., e 1, comma 51, della legge 28 giugno 2012, n. 92, i quali, nel disciplinare il nuovo rito impugnatorio dei licenziamenti individuali, stabiliscono che l'opposizione avverso l'ordinanza che decide in via semplificata sul ricorso del lavoratore debba essere depositata dinanzi al Tribunale che ha emesso il provvedimento opposto, senza prevedere l'obbligo di astensione per il magistrato investito dell'opposizione ove abbia pronunciato l'ordinanza. Questione identica, infatti, è stata già dichiarata non fondata, in relazione a ciascuno dei parametri evocati, con sent. n. 78 del 2015 ed il rimettente non ha addotto alcun argomento che non sia stato preso in considerazione e motivatamente disatteso in tale pronuncia. Per il rigetto di questione sostanzialmente identica, v. le citate sentenza n. 78/2015 e ordinanza n. 275/2015.
E' manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 1, comma 51, della legge 28 giugno 2012, n. 92 e 51, primo comma, numero 4), cod. proc. civ., impugnati, in riferimento all'art. 111, secondo comma, Cost., nella parte in cui rispettivamente non prevedono, nell'ambito della disciplina del nuovo rito impugnatorio dei licenziamenti e, in particolare, dell'opposizione avverso l'ordinanza che decide in via semplificata sul ricorso del lavoratore, l'incompatibilità del medesimo giudice persona fisica a trattare sia la fase sommaria che quella di opposizione a cognizione piena e l'astensione obbligatoria del giudice che ha trattato la fase sommaria del predetto giudizio rispetto alla trattazione della successiva fase di opposizione a cognizione piena. Questione sostanzialmente identica è stata già dichiarata non fondata con la sentenza n. 78 del 2015 ed il rimettente non ha addotto alcun argomento che non sia stato preso in considerazione e motivatamente disatteso in tale pronuncia. Invero, il fatto che entrambe le fasi (sommaria e di opposizione) del primo grado del giudizio de quo possano essere svolte dal medesimo magistrato non confligge con il principio di terzietà del giudice e si rivela funzionale all'attuazione del principio del giusto processo, per il profilo della sua ragionevole durata. E ciò a vantaggio anche, e soprattutto, del lavoratore, il quale, in virtù dell'effetto anticipatorio dell'ordinanza che chiude la fase sommaria, può conseguire una più celere tutela dei propri diritti, mentre la successiva, ed eventuale, fase a cognizione piena è volta a garantire alle parti, che non restino soddisfatte dal contenuto dell'ordinanza opposta, una pronuncia più pregnante e completa. Per il rigetto di questione sostanzialmente identica, v. la citata sentenza n. 78/2015.
Non è fondata la questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 Cost., degli artt. 51, comma 1, n. 4, cod.proc.civ. e 1, comma 51, della legge 28 giugno 2012, n. 92, i quali, nel disciplinare il nuovo rito impugnatorio dei licenziamenti individuali, stabiliscono che l'opposizione avverso l'ordinanza che decide in via semplificata sul ricorso del lavoratore debba essere depositata dinanzi al Tribunale che ha emesso il provvedimento opposto, senza prevedere l'obbligo di astensione per il magistrato investito dell'opposizione ove abbia pronunciato l'ordinanza. La disciplina processuale assunta a tertium comparationis - ossia quella del reclamo contro i provvedimenti cautelari di cui all'art. 669- terdecies cod.proc.civ. - è, in realtà, ben diversa da quella in esame, la quale, a differenza della prima, prevede una prima, necessaria, fase sommaria ed informale e una successiva, eventuale, fase a cognizione piena. Inoltre, diversamente da quanto ritenuto dai rimettenti, l'opposizione de qua non verte sullo stesso oggetto dell'ordinanza opposta (pronunciata su un ricorso "semplificato", e sulla base dei soli atti di istruzione ritenuti, allo stato, indispensabili) né è tantomeno circoscritta alla cognizione di errores in procedendo o in iudicando eventualmente commessi, ma può investire anche diversi profili soggettivi (stante il possibile intervento di terzi), oggettivi (in ragione dell'ammissibilità di domande nuove, anche in via riconvenzionale, purchè fondate sugli stessi fatti costitutivi) e procedimentali. Ciò esclude che la fase oppositoria possa configurasi come la riproduzione dell'identico itinerario logico decisionale già seguito per pervenire all'ordinanza opposta, e, dunque, come un altro grado del processo rispetto al quale sarebbe da ritenersi sussistente l'obbligo di astensione. Il fatto che entrambe le fasi dell'unico grado di un procedimento unitario possano essere svolte dal medesimo magistrato non confligge, quindi, con il principio di terzietà del giudice ma si rivela funzionale all'attuazione del principio del giusto processo per il profilo della sua ragionevole durata e ad una miglior tutela del lavoratore. Infatti, quest'ultimo, in virtù dell'effetto anticipatorio dell'ordinanza che chiude la fase sommaria, può conseguire un'immediata, o comunque più celere, tutela dei propri diritti, mentre la successiva, ed eventuale, fase a cognizione piena è volta a garantire alle parti, che non restino soddisfatte dal contenuto dell'ordinanza opposta, una pronuncia più pregnante e completa. - Per la manifesta inammissibilità di analoga questione di legittimità costituzionale, v. la citata ordinanza n. 205/2014. - Sull'incompatibilità per il giudice che si è pronunciato con decreto ex art. 28, comma 1, della legge n. 300 del 1970 a conoscere dell'opposizione al decreto stesso, v. la citata sentenza n. 387/1999. - Sull'inapplicabilità nel processo civile delle regole in tema di incompatibilità del processo penale, v. la citata sentenza n. 387/1999. - Sul principio di imparzialità del giudice, di cui costituisce estrinsecazione la disciplina dell'astensione, v. la citata ordinanza n. 220/2000. - Sull'obbligo di astensione del giudice nel procedimento civile, si vedano le citate sentenze nn. 460/2005, 363/1998 e 326/1997 e le citate ordinanze nn. 101/2004, 497/2002, 220/2000, 168/2000 e 359/1998.
È manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli artt. 1, comma 51, della legge 28 giugno 2012, n. 92 e 51, comma 1, numero 4), cod. proc. civ., impugnati, in riferimento agli artt. 3, primo e secondo comma, 24, primo e secondo comma, 25, primo comma, 97 e 111, primo comma, Cost., nella parte in cui la prima disposizione non prevede che il giudizio di opposizione alla ordinanza che accoglie o rigetta il licenziamento del lavoratore abbia svolgimento davanti al medesimo giudice persona fisica della fase sommaria e la seconda non esclude la fattispecie in parola dall'obbligo di astensione del giudice che abbia conosciuto della vicenda oggetto del giudizio in altro grado del processo. Infatti, oltre all'inadeguatezza della motivazione dell'ordinanza di rimessione, alla prospettazione di inconvenienti fattuali non rilevanti ai fini del sindacato di legittimità costituzionale ed alla evocazione di plurimi parametri costituzionali in modo cumulativo, la questione in esame si risolve in un uso distorto dell'incidente di costituzionalità al fine di ottenere l'avallo dell'interpretazione proposta dal rimettente in ordine ad un contesto normativo suscettibile di duplice lettura. - Sull'irrilevanza ai fini del sindacato di legittimità costituzionale della prospettazione di inconvenienti fattuali, v. le citate ordinanza nn. 166/2013 e 112/2013. - Sulla manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale proposta al fine di ottenere un avallo interpretativo, v. le citate ordinanza nn. 139/2011, 185/2012, 304/2012, 196/2013.
E' manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 51, secondo comma, cod. proc. civ., impugnato, in riferimento agli artt. 3, 54, secondo comma, e 111, secondo comma, Cost., nella parte in cui non prevede che il giudice di pace - che ritenga di non poter essere o apparire imparziale a causa del proprio trattamento economico fondato sul "cottimo" ai sensi dell'art. 11, comma 2, della legge n. 374 del 1991, cioè basato su un certo compenso per ogni procedimento definito o cancellato dal ruolo - possa astenersi senza autorizzazione del capo dell'ufficio. La prospettazione della questione è contraddittoria, in quanto, in base alle stesse argomentazioni del rimettente, anche la dichiarazione di astensione, quale risulterebbe possibile in esito all'intervento additivo invocato, sarebbe contrastata dall'interesse economico del giudicante a non astenersi per non perdere il compenso. Inoltre, risultano generiche le censure con le quali è dedotta la violazione degli artt. 3 e 54, secondo comma, Cost. Infine, il quesito è rivolto a sollecitare un intervento non costituzionalmente obbligato, oltre che largamente creativo, in un ambito, quale quello della disciplina del processo e della conformazione degli istituti processuali, riservato all'ampia discrezionalità del legislatore col solo limite della manifesta irragionevolezza delle scelte compiute. - Per la manifesta inammissibilità di identica questione, sollevata dal medesimo rimettente, v. la citata ordinanza n. 128/2013.
È manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 10, comma 1, della legge 21 novembre 1991, n. 374, e 51, secondo comma, cod. proc. civ., impugnati, in riferimento agli artt. 3 e 111, secondo comma, secondo periodo, Cost., nella parte in cui prevedono obblighi di astensione del giudice di pace e, quindi, anche quando sussiste un suo personale interesse correlato al regime di trattamento economico fondato sul cottimo. Oltre alla genericità delle censure, il rimettente si sottrae ad uno sforzo di esegesi diversa, che consenta di superare i dubbi di costituzionalità o che sia costituzionalmente orientata, esperendo un improprio tentativo di ottenere dalla Corte l'avallo dell'interpretazione proposta, con un uso distorto dell'incidente di costituzionalità. Infine, la prospettazione della questione è contraddittoria in quanto il rimettente assume che il trattamento economico del giudice di pace, fondato sul "cottimo", ne mini l'imparzialità ed al contempo censura proprio le norme che, a suo dire, gli imporrebbero di astenersi per salvaguardarla.
E' manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 51, secondo comma, cod. proc. civ., impugnato, in riferimento agli artt. 3, 54, secondo comma, e 111, secondo comma, Cost., nella parte in cui non prevede che il giudice di pace - che ritenga di non poter essere o apparire imparziale a causa del proprio trattamento economico fondato sul "cottimo" ai sensi dell'art. 11, comma 2, della legge n. 374 del 1991, cioè basato su un certo compenso per ogni procedimento definito o cancellato dal ruolo - possa astenersi senza autorizzazione del capo dell'ufficio. A suo avviso, quanto previsto dell'art. 11, comma 2, della legge n. 374 del 1991 - secondo cui «Ai magistrati onorari che esercitano la funzione di giudice di pace è corrisposta un'indennità [...] di euro 56,81 per ogni altro processo assegnato e comunque definito o cancellato dal ruolo» - farebbe sorgere nel giudicante un interesse personale a decidere, nel minor tempo possibile, il maggior numero di cause, circostanza che ne pregiudicherebbe l'imparzialità. La questione risulta: 1) priva di rilevanza perché il remittente l'ha sollevata senza aver preventivamente formulato al capo dell'ufficio richiesta di autorizzazione all'astensione (che, se accolta, gli avrebbe consentito di essere spogliato del processo, così ottenendo il medesimo risultato cui è finalizzato l'incidente di costituzionalità); 2) prospettata in modo contraddittorio, in quanto, in base alle stesse argomentazioni del rimettente, anche la richiesta di autorizzazione all'astensione sarebbe contrastata dall'interesse economico del giudicante a non astenersi per non perdere il compenso; 3) supportata da argomentazioni generiche, sia per la dedotta violazione dell'art. 3 Cost. (che si limita a dire che è espressivo del canone di «ragionevolezza), sia per il prospettato contrasto con l'art. 54, secondo comma, Cost., di cui si limita a richiamare l'incipit «I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore»; 4) diretta a chiedere a questa Corte un intervento non costituzionalmente obbligato, oltre che largamente creativo, come tale riservato al legislatore, perché riguardante un ambito, quale quello della disciplina del processo e della conformazione degli istituti processuali, caratterizzato dall'ampia discrezionalità spettante al legislatore col solo limite della manifesta irragionevolezza delle scelte compiute. - Sull'ampia discrezionalità - col solo limite della manifesta irragionevolezza delle scelte compiute - da riconoscere al legislatore nella disciplina del processo e della conformazione degli istituti processuali, ordinanza n. 240/2012.
Vanno rinviati gli atti al giudice rimettente in quanto l'ordinanza è irricevibile, dato che essa non ha rimesso espressamente alla Corte la questione prospettata, ma ha solo rilevato che questa già pende a seguito di altra ordinanza di rimessione emessa in altro procedimento promosso avanti allo stesso ufficio, e ha disposto la sospensione del giudizio in attesa della sua definizione. Pertanto, in assenza di qualsiasi manifestazione della volontà del giudicante di rimettere gli atti davanti a questa Corte per la soluzione di un giudizio di costituzionalità, il provvedimento è inidoneo a promuovere il giudizio incidentale. - V., nello stesso senso, ordinanze n. 9 del 1991, n. 28 del 1994, n. 264 del 1995 e n. 216 del 2001.
Va dichiarata la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale degli articoli 51 ss. cod. proc. civ. in quanto, a prescindere dalla completa carenza di descrizione delle fattispecie concrete sottoposte all'esame del rimettente nei giudizi a quibus , esse non contengono alcuna argomentazione che consenta alla Corte di verificarne la effettiva rilevanza; inoltre, quand'anche si assumesse che il singolo processo principale non sia stato utilizzato quale mera occasione per proporre il vaglio di costituzionalità, riguardante propriamente la impugnabilità del provvedimento amministrativo del capo dell'ufficio di diniego della dichiarazione e/o dell'istanza di astensione asseritamente illegittimo, va sottolineato che, se è vero che il magistrato, prima di procedere alla cognizione della causa, ha certamente il potere-dovere di verificare la regolare costituzione dell'organo giudicante, anche in rapporto alla legittimità costituzionale delle norme che la disciplinano, tuttavia ciò è consentito unicamente al fine di accertare l'inesistenza di vizi relativi alla propria costituzione, tali da determinare nullità insanabile e rilevabile d'ufficio: viceversa il rimettente ha completamente omesso qualunque considerazione in ordine alle eventuali ricadute dei denunciati vizi attinenti la designazione del giudice sul versante della validità del singolo processo a quo nonché della eventuale incidenza della mancata astensione sulla concreta definizione della specifica res iudicanda ivi dedotta.