Articolo 52 - CODICE PROCEDURA CIVILE
Massime della Corte Costituzionale
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
E? manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 52, 53 e 54 del codice di procedura civile, nella parte in cui ?non consentono allo stesso giudice ricusato di dichiarare inammissibile l?istanza di ricusazione che tale appaia ? per motivi di rito e di merito - immediatamente e manifestamente?, sollevata con riferimento agli artt. 3, 24, 25 e 111 della Costituzione per l?asserito contrasto con i principi del giudice naturale, del giusto processo, del contraddittorio, di parità ed eguaglianza delle parti, di imparzialità ed indipendenza del giudice, nonché per la ritenuta irragionevolezza e disparità di trattamento rispetto al processo amministrativo. Ed invero, le norme denunciate sono suscettibili di essere interpretate in modo conforme al dettato costituzionale, in quanto, come già affermato dalla Corte costituzionale, la sospensione del processo, in presenza di una istanza di ricusazione, non ha carattere automatico, esistendo un potere delibatorio del giudice della causa a fronte di ricusazioni che rivelino un uso distorto dell?istituto. - Vedi, citata, ordinanza n. 388/2002.
Manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24, e 111 della Costituzione, dell'art. 52, secondo comma, del codice di procedura civile, che non prevede la possibilità di proporre istanza di ricusazione dopo l'inizio della trattazione o della discussione, quando la causa di ricusazione sia sopravvenuta ovvero sia conosciuta in corso di causa. Il rimettente, infatti, non precisando quando sia stata proposta la ricusazione, né il motivo che avrebbe dovuto obbligare il giudice ad astenersi né la ragione per la quale non sia stata tempestivamente proposta l'istanza di ricusazione né quando sia intervenuta la causa di astensione, non consente di verificare la rilevanza della questione nel giudizio 'a quo', risultando, altresì, del tutto insufficiente la motivazione relativa all'asserita violazione dei parametri costituzionali invocati.
Manifesta infondatezza, per erroneità del presupposto interpretativo assunto dal giudice 'a quo', della questione di legittimità costituzionale dell'art. 52, terzo comma, del codice di procedura civile, censurato, con riferimento agli artt. 3, 101 e 111 della Costituzione, in quanto prevede che «la ricusazione sospende il processo», anche quando la relativa istanza, costituendo mera reiterazione di altra già dichiarata inammissibile dal giudice competente, appaia carente dei requisiti formali per la sua ammissibilità ed espressione di un uso distorto, teso all'esclusivo fine di procrastinare o di paralizzare l'attività giurisdizionale. Infatti, nonostante l'apparente rigidità della formula, la norma, secondo la giurisprudenza di legittimità di gran lunga prevalente, consente al giudice di delibare preventivamente i presupposti formali della valida ricusazione, in tal modo escludendosi che un ricorso per ricusazione presentato senza rispettare le condizioni e i termini prescritti produca la sospensione del processo, non integrando esso la fattispecie che tale sospensione impone.
Sono manifestamente infondate, con riferimento agli artt. 2, 3, 24, comma secondo, 101, comma secondo, e 107, comma terzo, Cost., le questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 10 l. 21 novembre 1991, n. 374 (Istituzione del giudice di pace), degli artt. 51, comma 2, cod. proc. civ. e 78 disp. attuaz. cod. proc. civ. e dell'art. 52 cod. proc. civ. - laddove tali norme attribuiscono al capo dell'ufficio il potere di emettere un provvedimento di diniego della richiesta di astensione, anche quando la grave ragione di convenienza riguardi il difetto o il pericolo di imparzialita'; e laddove non prevedono il diritto del giudice di astenersi, ne' la possibilita' per le parti di ricusare il giudice che non sia stato autorizzato ad astenersi - in quanto - posto che l'istituto dell'astensione del giudice, pur finalizzato alla concreta attuazione del principio di imparzialita', costituisce tuttavia una deroga al dovere di 'ius dicere', che il magistrato assume entrando a far parte dell'ordine giudiziario; che, pertanto, le ipotesi in cui il giudice e' esonerato da tale dovere, in quanto eccezionali, sono tipiche e tassativamente predeterminate dal legislatore, senza alcun margine di discrezionalita'; che, oltre ai casi tipici nei quali e' gia' espressa la valutazione dell'esistenza di un pregiudizio alla imparzialita' dell'organo giudicante, il legislatore ha considerato anche il possibile verificarsi di situazioni che rendano opportuna l'astensione del giudice in presenza di "gravi ragioni di convenienza"; e che tale espressione, formulata dal legislatore in termini necessariamente generici, stante la varieta' delle ipotesi possibili, comporta in sede applicativa la valutazione in concreto della ricorrenza di una grave ragione idonea a determinare l'astensione del giudice - il legislatore, del tutto ragionevolmente ha rimesso il controllo in ordine a tale valutazione ad un soggetto diverso dall'interessato, sia per impedire arbitrarie astensioni in assenza dei relativi presupposti, sia per consentire un giudizio piu' obiettivo e distaccato sulla opporunita' che il giudice sia esonerato dal dovere di decidere; ed in quanto - rivestendo il provvedimento del capo dell'ufficio un carattere meramente ordinatorio, quale espressione della facolta' di distribuzione del lavoro e, piu' in generale, della potesta' direttiva - al relativo procedimento restano necessariamente estranee le parti del giudizio (nel corso del quale viene richiesta l'autorizzazione all'astensione), la cui tutela si realizza efficacemente attraverso l'attribuzione ad esse del potere di ricusazione del giudice nei casi tassativamente previsti. - O. n. 35/1988
E' manifestamente inammissibile la questione di legittimita' costituzionale quando il giudice a quo dichiari di non condividere l'interpretazione prospettata e di sollevare la questione solo per "tuziorismo" (nella specie si trattava dell'eventuale contrasto tra gli artt. 51 e 52 c.p.c., in quanto consentono l'astensione e la ricusazione di un giudice che abbia nella causa un interesse meramente politico con gli artt. 21 e 101 Cost.).
Le norme istitutive delle Sezioni specializzate agrarie (art. 5 legge 18 agosto 1948 n. 1140; art. 1 legge 3 giugno 1950 n. 392, sostitutivo del testo dell'art. 2 legge 25 giugno 1949 n. 353) sono costituzionalmente illegittime, oltre che in relazione all'art. 102, secondo comma, Cost., anche in relazione all'art. 108, comma secondo, Cost., in quanto non assicurano l'indipendenza degli estranei chiamati a far parte delle Sezioni. Infatti, da una parte, la nomina degli esperti, se pure affidata ai capi delle Corti di appello, rimane vincolata alla scelta di uno dei due nomi designati dalle associazioni, e dall'altra fa difetto ogni determinazione della durata in carica dei medesimi, il che accresce di fatto il potere delle associazioni di richiedere in ogni momento la sostituzione dei membri in carica con altri (deficienze queste che appaiono tanto piu' gravi quando si tenga presente la prevalenza numerica nelle sezioni di primo grado dei membri predetti rispetto ai giudici togati). Ed e' da aggiungere che l'applicazione delle norme le quali demandano alle associazioni di categoria la designazione dei membri estranei si presenta, in via di fatto, di incerta applicazione allorche' - come di solito accade - piu' siano le associazioni rappresentative di una stessa categoria. Manca inoltre ogni predisposizione normativa relativa alla istituzione dei membri supplenti; carenza che, rendendo praticamente impossibile l'applicazione degli artt. 51 e 52 c.p.c. conduce necessariamente alla violazione o del principio dell'imparzialita', o di quello della precostituzione del giudice, ove si pensasse di sostituire il membro ricusato o astenutosi con altro che fosse designato per l'occasione.