Articolo 669 - CODICE PROCEDURA CIVILE
Massime della Corte Costituzionale
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
Nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 8 del d.P.R. n. 115 del 2002, e degli artt. 91, 669- quaterdecies e 669- septies cod. proc. civ., non è accolta l'eccezione d'inammissibilità per carente descrizione della fattispecie concreta, ridondante sulla rilevanza. Le censure dell'ordinanza di rimessione sottendono una questione di carattere più generale, afferente la legittimità costituzionale di un sistema, nel quale tutti gli oneri, ed in specie anche quelli della consulenza tecnica d'ufficio, si assume che siano a carico della parte ricorrente, la quale, nella materia della responsabilità sanitaria, è tenuta a proporre il ricorso ex art. 696- bis cod. proc. civ. che costituisce, ai sensi dell'art. 8, comma 2, della legge n. 24 del 2017, condizione di procedibilità della domanda giudiziale di merito.
Sono dichiarate inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 8 del d.P.R. n. 115 del 2002, e degli artt. 91, 669- quaterdecies e 669- septies cod. proc. civ., che disciplinano il regime delle spese processuali. Quanto all'art. 8, il rimettente ne ha fatto applicazione; quanto alle altre disposizioni, esse riguardano la disciplina delle spese processuali, sia in generale (art. 91 cod. proc. civ.), sia nel procedimento cautelare uniforme (artt. 669- quaterdecies e 669- septies cod. proc. civ.), mentre le censure del rimettente si focalizzano sulla sorte delle spese processuali all'esito dello speciale procedimento di consulenza tecnica preventiva previsto dall'art. 8 della legge n. 24 del 2017. L'intervenuta applicazione da parte del giudice a quo della disposizione censurata costituisce ragione di inammissibilità della questione. ( Precedenti citati: ordinanze n. 269 del 2020, n. 289 del 2011 e n. 300 del 2009 ).
Nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 8, commi 1 e 2, della legge n. 24 del 2017, dell'art. 8 del d.P.R. n. 115 del 2002, e degli artt. 91, 669- quaterdecies e 669- septies cod. proc. civ., l'oggetto delle questioni deve essere circoscritto all'art. 8, commi 1 e 2, della legge n. 24 del 2017, ossia alla disciplina della consulenza tecnica preventiva introdotta dalla stessa legge n. 24 del 2017 come condizione di procedibilità della domanda di risarcimento del danno derivante da responsabilità sanitaria. Dalla motivazione dell'ordinanza di rimessione si evince chiaramente, infatti, che le altre disposizioni, pur parimenti indicate come censurate, sono in realtà richiamate al solo fine di illustrare il più ampio contesto normativo nel quale si colloca la fattispecie oggetto dei dubbi di legittimità costituzionale.
È manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 669- terdecies cod. proc. civ. - là dove non contempla espressamente la reclamabilità dell'ordinanza cautelare emessa dalla Sezione agraria specializzata del Tribunale, e laddove non attribuisce detta potestà cautelare al Presidente della Sezione agraria medesima - nonché dell'art. 26, terzo comma, della legge 11 febbraio 1971, n. 11 - ove lo stesso non sia ritenuto implicitamente abrogato, per contrasto con gli artt. 669- sexies , primo e secondo comma, 669- terdecies e quaterdecies cod. proc. civ. - poiché le censure, sollevate in riferimento agli artt. 2, 3, 24 e 97 Cost., da un lato appaiono finalizzate ad ottenere dalla Corte un avallo interpretativo che salvi il provvedimento da emanare dal possibile annullamento in sede di impugnazione, da un altro si presentano prive di rilevanza o comunque premature e ipotetiche in relazione al giudizio a quo , e da un altro ancora demandano alla Corte il compito di verificare la vigenza della norma impugnata. Sull'inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale finalizzate ad ottenere dalla Corte un avallo interpretativo ad una determinata interpretazione, v., tra le altre, la sentenza n. 320/2009 e le ordinanze n. 219/ 2010 e n. 150/2009.Sull'inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale sollevate in via ipotetica v., da ultimo, le ordinanze n. 96/2010 e n. 109/2010.
E' costituzionalmente illegittimo, per violazione del principio di ragionevolezza e del diritto di difesa, l'art. 669- quaterdecies cod. proc. civ., nella parte in cui, escludendo l'applicazione dell'art. 669- quinquies dello stesso codice ai provvedimenti di cui all'art. 696 cod. proc. civ., impedisce, in caso di clausola compromissoria, di compromesso o di pendenza di giudizio arbitrale, la proposizione della domanda di accertamento tecnico preventivo al giudice che sarebbe competente a conoscere del merito. Premesso che i provvedimenti di istruzione preventiva hanno natura cautelare e che tra l'art. 696 cod. proc. civ., concernente l'accertamento tecnico preventivo, e la normativa generale sui provvedimenti cautelari non sussiste alcuna incompatibilità contraria al carattere espansivo di quest'ultima; l'esclusione dell'accertamento tecnico preventivo dall'ambito applicativo definito dall'art. 669- quaterdecies cod. proc. civ., con conseguente inapplicabilità dell'art. 669- quinquies dello stesso codice, non supera lo scrutinio di ragionevolezza, in riferimento all'art. 3, primo comma, Cost. Infatti, la ratio diretta ad evitare che la durata del processo ordinario si risolva in un pregiudizio per la parte che intende far valere le proprie ragioni, comune ai provvedimenti di cui agli artt. 669- bis e seguenti ed all'art. 696 cod. proc. civ., il carattere provvisorio e strumentale dei detti provvedimenti rispetto al giudizio a cognizione piena, del pari comune, nonché l'assenza di argomenti idonei a giustificare la diversità di disciplina normativa, con riguardo all'arbitrato, tra il provvedimento di cui al citato art. 696 e gli altri provvedimenti cautelari, i quali possono essere ottenuti ricorrendo al giudice, anche se la controversia, nel merito, è devoluta ad arbitri (art. 669- quinquies cod. proc. civ.), rendono del tutto irragionevole la detta esclusione. La norma denunciata viola, altresì, l'art. 24, comma secondo, Cost., perché l'impossibilità di espletare l'accertamento tecnico preventivo in caso di controversia devoluta ad arbitri (i quali, ai sensi dell'art. 818 cod. proc. civ., non possono concedere provvedimenti cautelari, salva diversa disposizione di legge) compromette il diritto alla prova, per la possibile alterazione dello stato dei luoghi o di ciò che si vuole sottoporre ad accertamento tecnico, con conseguente pregiudizio per il diritto di difesa. Per l'affermazione che l'univoco tenore della norma segna il confine in presenza del quale il tentativo interpretativo deve cedere il passo al sindacato di legittimità costituzionale, v. la citata sentenza n. 219/2008. Con specifico riguardo alla natura cautelare dei provvedimenti di istruzione preventiva, v. la citata sentenza n. 144/2008, che ne evidenzia la ratio ispiratrice, diretta ad evitare che la durata del processo si risolva in un danno per la parte che dovrebbe vedere riconosciute le proprie ragioni. Più in generale, sul ruolo strumentale della tutela cautelare rispetto alla piena attuazione della funzione giurisdizionale, v. le citate sentenze n. 421/1996 e n. 253/1994.
Sono costituzionalmente illegittimi - in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 Cost., unitariamente considerati - gli artt. 669- quaterdecies e 695 del codice di procedura civile, nella parte in cui non prevedono la reclamabilità del provvedimento di rigetto dell'istanza per l'assunzione preventiva dei mezzi di prova di cui agli articoli 692 e 696 dello stesso. La disciplina della istruzione preventiva fa parte della tutela cautelare, di cui condivide la ratio ispiratrice (che è quella di evitare che la durata del processo si risolva in un pregiudizio della parte che dovrebbe veder riconosciute le proprie ragioni), sicché la non reclamabilità dei provvedimenti che respingono ricorsi per provvedimenti di istruzione preventiva appare come un'incoerenza interna alla disciplina della tutela cautelare, per la discrasia che determina rispetto alla reclamabilità dei provvedimenti di rigetto di istanze cautelari sostanziali e ancor più rispetto alla reclamabilità del provvedimento di diniego di sequestro giudiziario per provvedere alla custodia temporanea di libri, registri, documenti, campioni e di ogni altra cosa da cui si pretende desumere elementi di prova, disciplinato dall'art. 670, secondo comma, cod. proc. civ. La non impugnabilità dei provvedimenti sia di rigetto che di accoglimento neppure comporta parità di tutela tra le parti, dal momento che il danno che può derivare al ricorrente da un provvedimento di rigetto può essere irreparabile, mentre quello che può subire il resistente per effetto della concessione ed esecuzione di un provvedimento di istruzione preventiva non è definitivo. - Sui principi della non necessaria previsione di un doppio grado di merito per la realizzazione del diritto di difesa e della non necessaria attribuzione di identiche facoltà a tutte le parti, purché sia ad esse assicurata la sostanziale parità di efficacia degli strumenti processuali predisposti, v. citata ordinanza n. 107/2007. - Sul principio secondo cui il legislatore fruisce di ampi margini di scelta nella regolazione degli istituti processuali, v. citata sentenza n. 237/2007. - Sulla sottoponibilità della disciplina del processo allo scrutinio di ragionevolezza, v. citata ordinanza n. 128/1999. - Sull'analogia di ragioni tra la tutela cautelare e l'istruzione preventiva, nonché sul rapporto che lega il diritto di esercitare l' onus probandi con la garanzia di cui all'art. 24 Cost., v. citate sentenze nn. 471/1990, 257/1996, 46/1997. - Sulla non equivalenza della facoltà di reclamo a quella di riproposizione dell'istanza al giudice che ha emesso il provvedimento di rigetto (art. 669- septies cod. proc. civ.), v. citata sentenza n. 253/1994.
Non è fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale degli artt. 703 e 669- octies del codice di procedura civile, censurati, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, nella parte in cui non prevedono che, con il provvedimento di accoglimento della domanda possessoria, il giudice debba provvedere anche sulle spese. Premesso che la dichiarazione di illegittimità di una disposizione è giustificata dalla constatazione che non ne è possibile una interpretazione conforme alla Costituzione, ma non dalla mera possibilità di attribuire ad essa un significato che contrasti con parametri costituzionali, e premesso altresì che, nella specie, trattandosi di norma processuale, l'interpretazione va condotta attribuendo rilievo al principio di economia dei giudizi, espressione di quello, fondamentale, di ragionevolezza, le norme censurate non violano gli evocati parametri, in quanto nell'ordinamento già esiste un principio generale secondo il quale il giudice che emette un provvedimento conclusivo di un procedimento, anche solo ipoteticamente idoneo a divenire definitivo, deve anche provvedere sulle spese. - Sulla impossibilità di dichiarare l'illegittimità di una disposizione allorquando della stessa è possibile darne una interpretazione conforme a Costituzione, v. la, citata, sentenza n. 356/1996, nonché le ordinanze n. 86/2006 e n. 87/2007.
E? manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, in riferimento all?art. 3 della Costituzione, dell?art. 669-quaterdecies del codice di procedura civile, nella parte in cui prevede l?applicazione integrale della disciplina regolatrice del procedimento cautelare uniforme anche ai procedimenti di denuncia di nuova opera (e di danno temuto). L?asserita assimilabilità dei procedimenti enunciatori a quello possessorio, infatti, non comporta alcun vincolo per il legislatore a regolarne in modo identico il rapporto con il giudizio di merito e, in particolare, a limitarne la libertà di variamente articolare il rapporto di strumentalità dei provvedimenti interinali rispetto al giudizio di merito.
Manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'articolo 669-septies, secondo comma, del codice di procedura civile, censurato - per violazione dell'articolo 3 della Costituzione - in quanto non prevede che il giudice possa provvedere sulle spese nel caso di pronuncia di rigetto o di dichiarazione di incompetenza sulla domanda di provvedimento cautelare proposta nel corso della causa di merito, ammettendo invece la liquidazione delle stesse solo in caso di rigetto della misura cautelare richiesta 'ante causam' o di dichiarazione di incompetenza a provvedere su di essa. La norma rappresenta un'applicazione della regola generale di cui all'art. 91 cod. proc. civ., che riconosce al giudice tale possibilità solo per provvedimenti che definiscono il giudizio - anche se ciò avvenga non con sentenza, come nel caso di estinzione del processo - e tra i quali non può ricomprendersi la pronuncia di rigetto ipotizzata dal giudice 'a quo', cosicché la mancanza di omogeneità delle due ipotesi raffrontate esclude la configurabilità della lamentata disparità di trattamento. Del resto, le deroghe a detta regola non possono essere assunte come 'tertia comparationis', perché, al di là delle peculiarità di struttura e funzione di ciascun istituto, esse sono correlate all'attitudine dei singoli provvedimenti ad acquisire successivamente un certo grado di stabilità; infine, la tendenza alla riproposizione di istanze cautelari, è un inconveniente rispetto al quale può soccorrere l'istituto della responsabilità, disciplinato dall'art. 96 dello stesso codice.
Manifesta inammissibiltà della questione di legittimità costituzionale degli articoli del codice di procedura civile, 669-quinquies, nella parte in cui non prevede la competenza del giudice ordinario che sarebbe competente ad emettere il provvedimento cautelare anche nel caso in cui la controversia sia oggetto di clausola compromissoria di arbitrato irrituale, e 669-octies, quinto comma, nella parte in cui non stabilisce i termini entro cui la parte deve notificare all'altra un atto nel quale dichiara la propria intenzione di iniziare il procedimento di arbitrato irrituale, sollevata in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione. Infatti la questione, come prospettata, non coinvolge problemi di legittimità costituzionale, ma problemi di interpretazione del sistema normativo e della volontà contrattuale delle parti, la cui soluzione spetta alla giurisprudenza comune, alla luce dei principî di inviolabilità del diritto costituzionale alla tutela giudiziaria e di disponibilità, entro i limiti delle norme imperative, dei diritti spettanti alle parti in relazione a vicende in cui si estrinseca la loro autonomia contrattuale.